Recensione Silent Hill: Homecoming

Konami pronta a far calare la nebbia sulla next gen

Silent Hill: Homecoming
Recensione: PlayStation 3
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Ritorno alla “Collina Silenziosa”

    Correva l'anno 1999. Capcom dominava il mondo dei survival horror grazie a Resident Evil, zombie-game chiaramente ispirato alle pellicole di George Romero e giunto, ai tempi, alla seconda incarnazione.
    In terra nipponica, tuttavia, non tutti erano convinti che quello fosse il miglior concept realizzabile per un titolo del genere; Konami, in particolare, non vedeva di buon occhio la dose sin troppo moderata di turbamento psicologico in seno alle vicende di Racoon City, dovuta principalmente alla scelta di far impersonare al giocatore protagonisti ottimamente addestrati dotati di poderosi arsenali bellici.
    Giunse così, come il più classico dei fulmini a ciel sereno, Silent Hill, produzione davvero innovativa nell'ambito in cui andava a collocarsi.
    Protagonista della vicenda era infatti Harry, un “signor nessuno” incappato per caso nelle oscure vicende della cittadina fantasma più famosa di sempre, senza alcuna abilità in combattimento e completamente privo d'armi.
    A dispetto di questo, lo scenario in cui il giocatore veniva catapultato era ben peggiore rispetto a quello di Resident Evil: una cittadina completamente isolata (sradicata) dal resto del mondo, la visibilità ridotta al minimo da una nebbia perenne ed una serie di creature dalle fattezze inquietanti erano solo l'antipasto; un'introduzione al mondo demoniaco che, di lì in poi, avrebbe accompagnato la “città marcia” in ogni sua incarnazione.
    Atmosfere psicologicamente debilitanti ed impossibilità di cavarsela agevolmente negli scontri contribuivano quindi a modellare un gameplay fondato sulla fuga piuttosto che sulla lotta, impreziosito da una componente esplorativa d'ampio respiro e da una serie di enigmi capaci di impegnare ogni porzione del cervello.
    Dopo il primo, fortunato, sequel (Silent Hill 2) l'alchimia che aveva caratterizzato Team Silent sembrò opacizzarsi per svanire definitivamente con lo scialbo Silent Hill 4: The Room.
    Passati quasi cinque anni Konami ha deciso di produrre un nuovo capitolo per l'atteso esordio next gen di uno dei suoi brand di punta.
    Per rimescolare le carte e riassaporare antichi splendori il colosso giapponese ha commissionato lo sviluppo di Silent Hill: Homecoming a Double Helix, team californiano nato dalle ceneri di Backbone Entertainment e Shiny Entertainment.
    Il titolo, disponibile per ora solo in versione import, è previsto per Playstation 3 ed Xbox 360 il 19 Febbraio; la distribuzione in territorio nostrano è curata da Halifax.

    Di tutto un po'

    Il background narrativo di Silent Hill: Homecoming si rifà alle vicende dei primi tre capitoli della serie e all'omonimo film uscito nelle sale circa due anni or sono.
    Alex Shepard ha appena fatto ritorno nella sua cittadina natale, Shepherd's Green, situata sulla sponda opposta -rispetto a Silent Hill- del famigerato lago Toluca. Dopo un lungo periodo d'assenza, il protagonista viaggia animato da strani sentimenti, scaturiti da un sogno raffigurante il fratello Joshua in pericolo.
    Giunto a casa si accorge immediatamente che qualcosa non quadra: l'intera cittadina è avvolta in una fitta nebbia, gli abitanti spariti ed i suoi stessi parenti (eccezion fatta per la madre, ritrovata in stato catatonico) scomparsi nel nulla.
    Tra ricordi ed incontri, Alex darà il via ad un'indagine personale, che porterà infine alla luce oscuri e macabri segreti in cui il nostro alter-ego risulterà più coinvolto di quanto non si possa immaginare.
    Nonostante la vicenda nella sua interezza risulti discreta, il ritmo della narrazione risulta sbilanciato; nelle prime ore di gioco, infatti, la trama pare quasi assente e gli eventi completamente scollegati tra loro e privi di un continuum logico sensato.
    Solo nel finale, quando i misteri verranno definitivamente chiariti, i numerosi pezzi del complesso puzzle in mano al giocatore si incastreranno tra loro con naturalezza, dipingendo un quadro di per sé abbastanza interessante.
    L'appeal dell'intreccio, purtroppo, è fortemente minato da una recitazione digitale spesso insufficiente, incapace di esprimere le sensazioni provate dai protagonisti e coinvolgere in tal modo i fruitori dell'opera.
    Particolarmente significativa, in questo senso, la totale ed irreale mancanza di sconcerto e smarrimento (di “comportamenti umani”, se vogliamo) nell'animo di Alex, anche nei momenti più raccapriccianti dell'avventura.
    Tale difetto è molto probabilmente figlio di un charachter design povero e superficiale che non approfondisce minimamente il carattere ed il profilo psicologico di alcun personaggio, nemmeno del protagonista.
    Tutto il peso del disturbo psico-fisico, elemento da sempre caratterizzante del brand, è quindi caricato sulle atmosfere di gioco che, per la fortuna del team, riescono ad immergere in dai primi minuti, creando, grazie ad una sapiente combinazione di arti visive ed uditive, una potente miscela di panico e ribrezzo.
    Queste sensazioni, quasi palpabili, riescono a mantenere costante l'interesse per l'incedere non sempre brillante del plot, e rendere quindi mediamente piacevoli le dieci/dodici ore di gioco necessarie al completamento.
    Il passaggio di consegna dallo sviluppatore nipponico a quello statunitense ha prodotto infine alcuni clichè sparsi tra una cut-scene e l'altra.
    Vi è in primis una denuncia nemmeno troppo velata agli estremismi/fanatismi legati generalmente a sette e culti religiosi, ed in secondo luogo una spruzzata di patriottismo americano, spiattellata sullo schermo in un preciso momento in cui senza una ragione apparente la telecamera si allontana mostrando in primo piano lo sventolio della bandiera a stelle e strisce e lasciando sullo sfondo i protagonisti.

    Silent Fighter

    Il gameplay di Silent Hill: Homecoming può tranquillamente essere scaglionato in due distinti frangenti: esplorazione e combattimento.
    La fase esplorativa non si discosta troppo dalle precedenti incarnazioni del brand: saremo infatti chiamati a visitare edifici e girovagare per le strade di Shepherd's Green e Silent Hill alla ricerca di indizi ed oggetti che ci aiutino a far luce sul fitto mistero.
    Di tanto in tanto (con frequenza ridotta rispetto al solito, a dire il vero) l'azione si sposterà nel mondo “demoniaco”, mostrando nuove aree oltre ad un maggior numero di avversari da affrontare.
    Molti saranno poi gli enigmi da risolvere: parecchi davvero banali (trova la chiave adatta per la porta), altri capaci di mettere in moto l'intelletto in maniera più che soddisfacente; ed alcuni, infine, privi di logica, alla cui soluzione si potrà arrivare soltanto per tentativi.
    Anche se, di primo acchito, l'incedere ricorda i primi capitoli di Silent Hill, la linearità è, in questo caso, davvero troppo spinta: in nessun caso, infatti, verrà data possibilità di scegliere la via da percorrere; anche in presenza di numerosi bivi la strada sarà sempre e solo una.
    Fortunatamente in determinate situazioni ci sarà la possibilità di effettuare scelte multiple che influenzeranno leggermente lo sviluppo del finale, generando un totale di cinque "ending" alternativi.
    Se fino a questo punto, complice una scelta di location non troppo fantasiosa (strade, hotel, casa, ospedale), Homecoming ha tutta l'aria d'essere un deja vu, è proprio nella fase di combattimento che si riscontrano le innovazioni introdotte da Double Helix. Alex, al contrario dei suoi predecessori, sarà in grado di lottare agevolmente, concatenando addirittura alcune semplici combo. Il sistema di controllo prevede infatti una differenziazione tra attacchi leggeri (più veloci) ed attacchi pesanti (più lenti, con la possibilità di caricamento del colpo), capace di dar luce ad una serie di attacchi per ciascuna arma da mischia.
    Il repertorio annovera poi la schivata, affidata ad uno dei tasti frontali e regolata da un algoritmo in grado di calcolare, se innescato con dovuto tempismo, la miglior direzione nella quale muovere l'alter ego digitale per prepararlo al contrattacco. Alcune varianti particolari (contrattacco immediato dopo la schivata e rapida ripresa da terra) chiudono un quadro che, visto così, farebbe pensare ad una bella ventata di freschezza, in grado -forse- di far accettare il lieve snaturamento del gameplay fino ad ora radicato nell'evitare lo scontro.
    Il condizionale è in realtà d'obbligo per un semplicissimo motivo: l'impianto ludico, in queste fasi di gioco, non funziona, vuoi per l'imprecisione di alcuni dei meccanismi alla base, vuoi per un comparto animazioni molto macchinoso (ma ne riparleremo in seguito), ma soprattutto per un'intelligenza artificiale a dir poco ridicola.
    Quest'ultimo aspetto balza agli occhi sin dal primo incontro: ogni tipologia d'avversario in cui ci imbatteremo avrà un pattern predefinito di due, massimo tre attacchi, sfruttati a ritmo ciclico senza la benchè minima variazione.
    Le creature non sono inoltre capaci (probabilmente per volontà dei programmatori) di sfruttare eventuali superiorità numeriche, quantomeno attaccando simultaneamente. Fortunatamente un pizzico di tattica è necessaria, quantomeno per valutare quali mostri colpire con armi deboli ma veloci e quali affrontare con ferri più potenti, anche se lenti.
    In ogni caso il goffo comportamento degli avversari non avvantaggia più di tanto il giocatore, alle prese con un sistema di controllo lento ed impreciso. Entrando in “posa” da combattimento (grilletto sinistro) noteremo anzitutto in notevole rallentamento nei movimenti che spesso non permetterà di avvicinarsi efficacemente ad un avversario, costringendoci a mollare il tasto, correre incontro alla creatura e riprendere posizione.
    Il problema principale risiede però nell'algoritmo che gestisce la schivata, in una parola incomprensibile. Le decisioni della CPU in merito alle mosse evasive risultano alquanto sconcertanti: molto spesso -al di là del tempismo d'esecuzione- Alex si produrrà, ad esempio, in un arretramento nel tentativo di schivare un “fendente”, ed altrettanto spesso l'evasione porterà il nostro beniamino ad incastrarsi irreparabilmente in un angolo, alla completa mercè dei nemici.
    Nemmeno i boss fight, anch'essi terribilmente agevoli, riescono ad impreziosire una fase in ultima analisi senza mordente alcuno: ed allora, di fronte alla scarsa abilità nella programmazione, non si capisce come mai il team di sviluppo abbia optato per calcare l'impronta "Action" sacrificando un orrore più dimesso in favore dell'adrenalina dello scontro.

    Le nebbie di Silent Hill

    Il comparto tecnico dell'ultima produzione Konami è caratterizzato da alti è bassi che mettono chiaramente in luce le difficoltà di un team non del tutto familiare con l'hardware della corrente generazione.
    I modelli poligonali dei personaggi (a livello di modellazione fisica) sono sufficientemente convincenti ed i mostri, in particolar modo, paiono raccapriccianti e terrorizzanti quasi come usciti da un incubo in pieno stile Clive Barker.
    Quel che non convince è la riproduzione dei volti, inespressiva e non certo all'altezza degli standard a cui le produzioni odierne ci hanno abituato.
    Largamente sotto tono il reparto animazioni, quantitativamente e qualitativamente al di sotto della media e compromesse soprattutto dalla mancata ricerca per la naturalezza nei movimenti: sebbene, ad esempio in fase d'attacco, vi siano animazioni variegate per ciascuna arma, queste sono poco fluide e affatto realistiche.
    Spesso perciò, sia il protagonista che i comprimari (ma anche gli avversari), si muoveranno in maniera molto macchinosa ed esteticamente sgradevole; un difetto in grado di intaccare anche il gameplay dato che la mancanza di fluidità tra i vari attacchi rende il nostro alter ego decisamente vulnerabile.
    Molto diverso il discorso riguardante atmosfere ed ambientazioni, vero fiore all'occhiello della produzione statunitense.
    Anche senza avvalersi di complicate e sofisticate tecniche di texturing, infatti, Silent Hill: Homecoming vanta una delle ambientazioni più “vive” e coinvolgenti dell'intero panorama horror odierno e -senza esagerare- dell'immediato futuro.
    La particolare alchimia è data prima di tutto da un sistema d'illuminazione dinamico davvero eccellente, capace, in ambienti costantemente oscuri, di mostrare solo lo stretto indispensabile in maniera tale da tenere il giocatore costantemente sulle spine. In secondo luogo troviamo altri pregevoli dettagli stilistici: gli oggetti presenti in ciascuno scenario proiettano ombre dalle sagome particolari: aguzze, quasi taglienti, come fossero una minaccia sempre pronta a sovrastare il protagonista.
    Il tutto è infine condito da filtri visivi, che rendono un effetto molto simile a quello delle vecchie pellicole, e da una palette di colori diversa -ed azzeccatissima- per ciascuna evenienza. Immancabile un accompagnamento sono da brividi, nel senso letterale della parole. Non ci sarà mai il silenzio attorno ad Alex Shepard: urla, strisciare di membra sulle pareti, cigolii, tonfi e chi più ne ha più ne metta ci faranno compagnia per l'intera avventura, conferendo un continuo senso d'angoscia, di claustrofobia, e di terrore ansiogeno.
    L'impeccabile colonna sonora, capace di sottolineare alla perfezione le sensazioni di ciascun istante di gioco, è infine curata dal geniale Akira Yamaoka, già compositore per le precedenti incarnazioni del brand.

    Silent Hill: Homecoming Silent Hill: HomecomingVersione Analizzata Xbox 360Silent Hill: Homecoming, a dispetto delle aspettative, si affaccia sul mercato come una produzione piuttosto mediocre. Per quanto coinvolgenti ed affascinanti, non bastano infatti stupende atmosfere e musiche azzeccatissime per reggere il peso di una produzione next gen. Il gameplay è pesantemente minato da un sistema di controlli impreciso, da un battle system poco curato, e dall'estrema linearità dell'avventura. La storyline, per quanto discretamente affascinante, non è sorretta da una recitazione digitale credibile e coinvolgente, né tantomeno da una sceneggiatura bilanciata e redatta con criterio. Il comparto tecnico, certamente figlio dell'inesperienza, non risulta pienamente all'altezza delle produzioni odierne, specie a meno di un mese dal debutto di Resident Evil 5, almeno graficamente su un altro pianeta. Come già accennato in precedenza tutto si regge insomma sulle atmosfere di gioco che riescono, nonostante tutto, a rendere la decina d'ore di gameplay piuttosto godibile. La nuova creatura Konami rimane quindi nel limbo: non da avere a tutti i costi ma nemmeno da sconsigliare definitivamente; una gradita forma di intrattenimento per gli amanti del terrore psicologico.

    6

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