Recensione The Last Remnant

Square-Enix alla riscossa

The Last Remnant
Recensione: Xbox 360
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • RPG che passione

    Nemmeno un anno fa, girovagando lungo le community online, era possibile scorgere un viscerale malcontento per la cronica mancanza di produzioni "ruolistiche" giapponesi in seno alla next generation, avviata già da un bel pezzo.
    Oggi, ripensando a quei momenti, sembra quasi le varie software house abbiano accolto le lamentele, iniziando una produzione ciclica che da Blue Dragon in poi non si è più fermata.
    Oltre al sopracitato abbiamo visto Lost Odyssey, Eternal Sonata, Infinite Undiscovery, Valkyria Chronicles e The Last Remnant (qui in esame).
    Square-Enix -ai bei tempi solo Squaresoft, sinonimo di qualità- ha puntato molto sulla sua ultima fatica, tentando di riscattarsi dagli infelici risultati di Infinite Undiscovery e, più in generale, da un'apatia creativa che pervade la software house nipponica dalla dipartita del suo (ex) guru Hironobu Sakaguchi.
    The Last Remnant, in ogni caso, ha già fatto parlare di sé, nel bene e nel male: in Giappone è stato accolto molto calorosamente da pubblico e stampa, riportando addirittura un clamoroso 38/40 da Famitsu; in occidente, invece, sta destando molte perplessità che Everyeye spera oggi di aiutare a risolvere.
    Distribuito da Halifax il titolo è disponibile sul territorio italiano a partire dal 14 Novembre.

    "C'era un ragazzo che come me...."

    L'ultimo nato di casa Square-Enix metterà il giocatore nei panni di Rush Sykes, un diciottenne spensierato in trepida attesa -assieme alla sorellina- del ritorno in patria dei genitori, famosi ricercatori impegnati oramai da anni in un progetto segreto.
    Di lì a poco, tuttavia, Irina -questo il nome della sorella- verrà rapita da imprecisati quanto loschi figuri che lasceranno il povero Rush, scoperto un potere in lui sopito, con un pugno di mosche.
    Sarà proprio la ricerca dell'adorata consanguinea, embrionale incipit dell'intera avventura, ad accompagnare il giovane eroe lungo un viaggio nel quale incontrerà esseri d'ogni specie, a volte amichevoli e sinceri a volte subdoli e malvagi.
    Come in ogni racconto fantasy che si rispetti protagonisti e comprimari saranno legati tra loro, in questo caso dai Remnant, potenti ed antichissimi artefatti capaci di tramutarsi -non senza un alto prezzo da pagare- in armi dall'indicibile potenza qualora legati ad un essere vivente dalle debite capacità.

    Il ritmo e la qualità della narrazione mai come in quest'opera si possono ironicamente definire "Diesel".
    Il plot si apre, infatti, in maniera molto lenta ed abbastanza noiosa, complici i continui andirivieni tra la "base operativa" del gruppo e le location nelle immediate vicinanze, ma, passate alcune ore, assume la sua vera connotazione, ispessendosi in maniera graduale e sempre nuova sino ad oltre metà dell'avventura.
    A conti fatti la trama di The Last Remnant risulta molto gradevole, matura e coinvolgente anche se incapace -ssolutamente per scelta- di toccare le tematiche profonde di Lost Odyssey o di suscitare, se non in sparuti frangenti, forti emozioni.
    Il suo più grande pregio è paradossalmente il suo peggior difetto: la lentezza con la quale gli eventi vengono raccontanti, superato lo scoglio iniziale, riesce a mantenere incollati allo schermo per l'intera durata dell'avventura (una trentina di ore per la sola main quest), rivelando con cautela ma con altrettanta arguzia un risvolto dopo l'altro.
    Complice della buona riuscita del comparto narrativo è indubbiamente la regia magistrale di alcune cut-scene ed il character design di alto livello che caratterizza alcuni tra i protagonisti e i comprimari.
    Se dal punto di vista puramente estetico-strutturale la maggior parte dei personaggi ricorda stereotipi assolutamente infelici, da quello psicologico un'abbondante metà degli stessi è sorprendentemente curata e sfaccettata ed in grado di regalare, grazie ad un doppiaggio di ottima fattura ed un lip sync appropriato, momenti di alta recitazione digitale.

    Come accontentare le masse

    Il gameplay di The Last Remnant presenta alcune differenze sostanziali rispetto ai giochi di ruolo attualmente in circolazione, differenze che lo portano ad essere -fatta eccezione per il battle system- più immediato e meno impegnativo, maggiormente appetibile quindi per chi avesse poca esperienza con questo genere di produzioni.
    Non dimentichiamo però che questa semplificazione delle meccaniche esplorative, già in atto in Lost Odyssey, comporta una parziale rinuncia dell'affascinante ermetismo tipico della concezione nipponica del gioco di ruolo.
    L'ultima fatica Square-Enix, come anticipato poche righe più sopra, propone una fase esplorativa davvero molto misera.
    Nelle città ci potremo muovere tra un quartiere e l'altro tramite una mappa fornita di cursore; in tali location avremo la facoltà di interagire solo con determinati personaggi e di entrare solo in determinati edifici (locanda e gilda).
    Delle comode indicazioni a schermo ci aiuteranno a riconoscere negozianti, indicati da uno stemma che simboleggia i materiali offerti, ed NPC con i quali chiacchierare, divisi in due categorie a seconda dell'importanza delle informazioni fornite (curiosità o quest).
    A dispetto dei canoni classici del genere, quindi, non vi saranno edifici da esplorare, oggetti da recuperare in forzieri, vasi o credenze, né tanto meno quest secondarie da attivare dando il via a microcosmi ludici paralleli alla trama principale.
    In qualsiasi cittadina del regno, insomma, saremo sicuri di trovare armi, oggetti e missioni sempre nello stesso posto, semplicemente seguendo le icone a schermo.
    Questa prima scelta si rivela ben presto un'arma a doppio taglio: da una parte consente ai giocatore "alle prime armi" di non mancare nessuna missione secondaria e non perdere quindi i segreti tipici di un RPG (oggetti, armamenti), dall'altra, tuttavia, non offre ai più smaliziati la sfida dell'estenuante ricerca di tali segreti, dell'interpretazione delle parole di ogni singolo NPC e, di conseguenza, la vera soddisfazione nel recuperare rari cimeli.
    I dungeon stessi (ovvero tutte le aree al di fuori delle città) non mostreranno una grossissima componente esplorativa, a dispetto delle enormi dimensioni di alcuni di essi, indubbiamente i più grandi mai visti in un gioco di ruolo.
    Una volta esauriti i forzieri contenenti oggettistica varia, che richiederanno se non altro la visita di tutte le aree della location, non resteranno che i punti d'estrazione e di scavo: piccoli spot luminescenti debitamente indicati a schermo da un punto esclamativo dai quali Drill (una sorta di talpa robotizzata sempre al nostro fianco) potrà estrarre minerali, componenti, soldi e quant'altro, a seconda delle sue abilità (in progressione parallelamente al numero di scavi).
    Fortunatamente la longevità ne risente solo in parte in quanto The Last Remnant propone -tra gilda e locanda- uno spropositato numero di quest secondarie, capaci da sole di far scoprire l'intera mappa senza quasi lambire l'avventura principale e di triplicare il numero di ore necessarie per completare al 100% il gioco.
    Ancora una volta però Square-Enix pare voler remare contro i più classici standard della "vecchia scuola" nipponica, non prevedendo, nella gran parte di questi incarichi collaterali, interessanti intrecci o convincenti approfondimenti del background dei comprimari.
    Molte -azzardiamo almeno l'80%- delle missioni secondarie consisteranno infatti nel ritrovamento di oggetti/persone scomparse (con annesso combattimento) o nel semplice abbattimento di qualche creatura leggendaria.
    Anche in questo caso saremo enormemente facilitati dagli algoritmi del sistema che accettato l'incarico ci trasporteranno immediatamente in loco e portato a termine riuniranno l'intero gruppo -per la dovuta ricompensa- nel punto esatto in cui avremo incontrato il "datore di lavoro".
    Ad alleviare la monotonia di sin troppe sub-quest prodotte con lo stampino ci penseranno due interessanti ed uniche introduzioni, la prima delle quali riguarda i componenti del proprio gruppo.
    Essendo il battle system di The Last Remnant basato su unioni e non su singole unità (ne approfondiremo in seguito le meccaniche) avremo la facoltà di arruolare leader e sottoposti, ognuno con diverse doti, equipaggiamento e caratteristiche.
    Visto che alcuni dei quest giver saranno proprio combattenti esperti, una volta espletati i loro incarichi potremo comprarne l'appoggio -in qualità di leader- rivolgendoci alla gilda.
    In secondo luogo potremmo trarre giovamento dai continui viaggi all'interno degli affollati dungeon e dalla conseguente carneficina, portando i componenti ricavati (i nemici catturati potranno infatti essere scomposti) ai fabbri presenti in ogni città, capaci di migliorare la propria dotazione ma anche di crearne di nuova utilizzando tali oggetti.
    Viene quindi a galla l'estrema importanza data in questa produzione alle battaglie ed, in particolare, al farming (compulsiva raccolta di oggetti - potenziamento dei personaggi) più estremo.
    Giunge quindi il momento di far luce sul battle system, cuore pulsante di ogni gioco di ruolo e vero e proprio cavallo di battaglia in questo particolare titolo.
    Il sistema di ingaggio -prima di tutto- prende liberamente spunto da Blue Dragon: i mostri (visibili a schermo) potranno essere agganciati assieme utilizzando un particolare comando che farà scaturire una circonferenza immaginaria dal corpo del nostro eroe.
    Per battagliare quanti più nemici possibili allo stesso momento (punto focale di The Last Remnant in quanto aumenterà a dismisura la ricompensa) avremo poi la possibilità di fermare il tempo per una manciata di secondi: tutti gli avversari "linkati" (semplicemente passandoci vicino) in questo frangente -anche se lontani- verranno compresi al via dello scontro.
    Come abbondantemente anticipato non saranno più singoli personaggi a darsi battaglia, ma unioni composte da un leader ed un massimo di quattro unità.
    E' importantissimo interiorizzare sin dalle prime battute questo concetto, in quanto il singolo conterà davvero poco nell'ambito dei combattimenti: gli HP verranno visualizzati come somma dei componenti di un'unione e i comandi (ordini, in questo caso), allo stesso modo, verranno impartiti all'unione.
    Il sistema, rigorosamente a turni, inizialmente lascia un po' disorientati in quanto non da la possibilità di scegliere -come in tutti gli altri RPG- le azioni da far eseguire al singolo, né tanto meno il bersaglio preciso da colpire all'interno di un'unione nemica.
    Imparando a conoscerlo, tuttavia, il battle system di The Last Remnant risulta discretamente profondo e capace di regalare parecchie soddisfazioni, soprattutto grazie ad una spruzzata tattica che permette di accerchiare i nemici, colpirli alle spalle, cambiare formazione e quant'altro, con i pro e i contro che ne conseguono.
    Dopo diverse ore però, oltre ai pregi, fuoriescono anche i limiti: primo tra tutti la mancanza di un tutorial adeguato e capace di spiegare tutti gli aspetti di un sistema, in fin dei conti, molto complesso e, in secondo luogo, la mancanza di alcuni elementi intrinseci al battle system stesso e capaci di renderlo completo a tutti gli effetti.
    Parliamo, in particolare, dell'impossibilità di muoversi liberamente sul terreno di scontro (sarà possibile avanzare soltanto verso un nemico), della poca varietà locazionale (ogni arena è situata in pianura e non presenta alcun ostacolo) e dall'assenza delle armi a lunga gittata.
    Alla luce di tale complessità nel sistema di combattimento troviamo azzeccate alcune scelte di Square-Enix, atte a semplificare la gestione dei molti personaggi in gioco.
    Non dovremo, anzitutto, preoccuparci né di distribuire l'esperienza (non ci saranno livelli singoli ma solo un globale "combat level" valido per l'intero insieme di unioni) né di imparare nuove arti: basterà semplicemente focalizzarsi su attacchi fisici o magici in battaglia per far crescere in maniera totalmente automatica i parametri ad essi legati.
    Lo stesso sistema varrà per il grado delle abilità: maggiore sarà l'utilizzo di un'arte, maggiore sarà la velocità con la quale ne incrementeremo la potenza, aumentandone dapprima il livello (danno, raggio d'azione, velocità) e tramutandola poi nell'evoluzione successiva (una mossa completamente diversa).
    Giustamente facilitata, infine, la gestione dell'equipaggiamento: personalmente potremo metter mano solamente alla dotazione di Rush; tutti gli altri, di tanto in tanto, ci chiederanno anelli o armi che non utilizziamo oppure componenti in lascito in seguito ad una battaglia per migliorare i loro ninnoli, gestendo tutto in maniera assolutamente autonoma.

    I misteri dell'Unreal Engine III

    The Last Remnant si avvale dell'Unreal Engine III, il motore grafico di casa Epic che, a detta di molti, pare essere uno dei più -se non il più- malleabile presente in circolazione.
    Tale concetto sembra però estraneo agli sviluppatori del Sol Levante che non riescono ad integrarlo al meglio in alcuna delle loro produzioni. Lost Odyssey e The Last Remnant ne sono gli esempi.
    La produzione Square-Enix mostra una modellazione poligonale estremamente curata, molti impressionanti dettagli facciali ed un comparto texture d'alto livello, sia per quanto riguarda la copertura dei modelli sia quella delle strutture, altrettanto ben realizzate.
    Il comparto animazioni è invece scaglionabile in due distinti fronti: da una parte la mimica facciale ed il lip-sync risultano a dir poco perfetti, aumentando notevolmente il realismo delle cut scene e della narrazione più in generale; dall'altra, non appena anche il resto del corpo si mette in moto si scorge una leggera legnosità e l'incompletezza di alcuni movimenti come, ad esempio, lo sfodero o il rinfodero di un'arma.
    Come già accaduto nella produzione Mistwalker, inoltre, i dungeon, a dispetto delle già citate dimensioni, si presentano spogli e spesso caratterizzati da un level design lineare e scarsamente ispirato, tanto a livello artistico quanto strutturale; sicuramente di maggior impatto -anche se estremamente limitate- in questo senso le città.
    Se queste risultano essere pecche di carattere squisitamente stilistico ben altri sono i problemi che affliggono il motore in ambito di ottimizzazione.
    Con il solo protagonista a schermo possiamo intanto scorgere evidenti problemi nella gestione delle collisioni che portano spesso Rush a compiere fantasiose camminate nel vuoto; d'altronde, sebbene in minor misura, lo stesso Gears of War 2 presenta di queste problematiche.
    Ciò che davvero stupisce è il pop-in (comparsa ritardata delle texture) che affligge ogni superficie non appena ci si imbatte in un qualsiasi caricamento (passaggio da un'area all'altra, inizio e fine battaglia), e gli spaventosi cali di frame rate durante gli scontri, capaci davvero di rendere tale importantissima fase fastidiosa.
    Grazie alle funzionalità delle console di nuova generazione abbiamo eseguito un ulteriore test, installando i giochi su hard drive per constatare se i problemi derivavano dal caricamento da unità ottica.
    Il pop-in ha subito un discreto decremento: se prima le texture mettevano due secondi abbondanti ad apparire ora il tempo massimo rasenta a malapena il secondo; nessun miglioramento, al contrario, riguardo ai cali di frame rate, in alcuni casi davvero imbarazzanti.

    Il comparto audio risente senza ombra di dubbio della dipartita di Nobuo Uematsu, vero e proprio pilastro per quanto riguarda le colonne sonore in ambito videoludico.
    La colonna sonora durante l'intera avventura risulta infatti non più che orecchiabile mentre sono scialbi e ripetitivi gli stacchi durante i combattimenti.
    Buona la campionatura ambientale e la riproduzione del fragore prodotto dalla dotazione bellica di eroi e nemici e degno di particolare e smisurata lode il doppiaggio, capace di accentuare, grazie ad una netta separazione tra british ed american english, il retaggio dei protagonisti ed alcuni risvolti della loro personalità.
    Condividiamo quindi la scelta di adottare solamente i sottotitoli (realizzati in maniera impeccabile, per altro) in italiano, impedendo -duole ammetterlo- che doppiatori di dubbia professionalità rovinino un'esperienza di gioco gratificante.

    The Last Remnant The Last RemnantVersione Analizzata Xbox 360The Last Remnant non costituisce certo un punto di riferimento in ambito "ruolistico", almeno per quella che è la concezione occidentale del termine, sdoganata dai vari Final Fantasy. In primis perchè adotta una struttura ludica tipica di produzioni catalogate come "Dungeon Crawler", chiuse, prive d'elementi esplorativi e votate quasi esclusivamente al farming, ed in secondo luogo per la scarsa capacità d'utilizzo ed implementazione delle moderne tecniche grafiche (leggasi Unreal Engine III). Tuttavia la produzione si ispira liberamente ad alcuni dei suoi predecessori (Blue Dragon e Lost Odyssey su tutti) offrendo una trama ispirata e coinvolgente, interpretata in maniera soddisfacente da alcuni protagonisti ben caratterizzati ed ottimamente doppiati. Propone inoltre un battle system interessante ancorchè ibrido e non sempre fruibile. Il titolo è pertanto consigliabile a chi avesse fame di RPG, anche a patto di scendere a qualche piccolo compromesso.

    7

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