La storia di Halo e Master Chief, aspettando il debutto di Halo Infinite

In attesa dell'arrivo di Halo Infinite, ripercorriamo la genesi e l'evoluzione della saga di Master Chief iniziata nel lontano 2001.

Halo Infinite: la storia di Master Chief
Speciale: Xbox Series X
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  • Xbox Series X
  • Tante sono le serie videoludiche che hanno continuato a prosperare nei decenni ma poche sono quelle che, da sole, incarnano la storia di un intero platform holder. Nel circolo ristretto di queste IP leggendarie trova posto anche Halo, lo sparatutto in prima persona che ha stravolto il genere di riferimento e fatto di Xbox un'icona del gaming. All'alba della nuova avventura firmata da 343 Industries, su cui metteremo le mani molto presto, non avremmo potuto esimerci dal ripercorrere la nascita e l'evoluzione di Halo, che nel corso di una carriera segnata da trionfi stellari e momenti d'incertezza, non ha mai smesso di battagliare per vincere e infiammare i cuori di milioni di persone, proprio come ha fatto il suo eterno eroe: Master Chief. Senza ulteriori indugi, saliamo a bordo del Pelican e lanciamoci in un viaggio appassionante, cominciato verso i primi anni '90 all'Università di Chicago.

    Le origini di Bungie... e le basi fondanti di Halo

    Contrastando apertamente il volere del padre, che per lui sognava una carriera più stabile e "tradizionale", il giovane Alex Seropian si è lanciato nel mondo dello sviluppo di videogiochi con la sua piccola compagnia, che ha deciso di chiamare Bungie. Conclusi i lavori su "Gnop", un clone del ben più celebre Pong, Seropian ha raccolto dei fondi da famiglia e amici per realizzare Operation: Desert Storm, un tank shooter con visuale top down che avrebbe venduto ben 2,500 copie masterizzate e accuratamente confezionate dal giovane creativo. Forte del successo del suo gioco, Alex ha capito che era arrivato il momento di pensare più in grande, da qui l'incontro e il reclutamento di Jason Jones tra i banchi dell'Università di Chicago, dove il programmatore Macintosh stava seguendo un corso di intelligenza artificiale. Parliamo dei primordi di un sodalizio con pochi eguali, che vedeva Jones gestire la parte creativa e tecnica dello sviluppo e Seropian quella amministrativa e commerciale. È grazie a questo lavoro sinergico che sono nati titoli come Minotaur: The Labyrinths of Crete o il Pathways into Darkness del '93, un first person shooter che chiamava un soldato delle Forze Speciali ad annientare una divinità intenzionata a distruggere il mondo.

    Il successo commerciale del gioco - che ha provato a Bungie l'importanza della componente narrativa negli FPS - ha permesso a Seropian e Jones di trasferirsi in un piccolo studio a Chicago, di assumere i primi dipendenti e collaborare con artisti quali Martin O'Donnell, il compositore a cui dobbiamo le memorabili colonne sonore originali di Halo. In buona sostanza, senza la partecipazione di professionalità specifiche, l'esperienza in materia di sparatutto e l'ambizione di sfornare grandi giochi, Bungie non sarebbe mai riuscita a compiere il miracolo e a donare a Xbox la sua prima, vera, killer app.

    Combat Evolved: l'alba di una leggenda

    Pubblicato il primo Myth nel 1997, Bungie era pronta a svilupparne il sequel ma anche a dedicarsi a un side-project capitanato proprio da Jason Jones e dal neo assunto Marcus Lehto, che sarebbe diventato il papà di Master Chief. Nome in codice "Armor" doveva essere un RTS di stampo sci-fi dai ritmi sostenuti, perché basato sulle più intime convinzioni di Bungie: Myth sarebbe stato migliore se sci-fi based e Starcraft più divertente senza la tediosa gestione delle risorse. Consci del fatto che la fisica avrebbe impattato positivamente sul gameplay, gli sviluppatori hanno realizzato dei veicoli degni di questo nome, capaci di muoversi in modo realistico in ambientazioni pienamente tridimensionali. Nei mesi Armor è diventato "Monkey Nuts" e poi "Blam!", perché mai Jones avrebbe potuto utilizzare l'appellativo equivoco di fronte alla madre. Originariamente isometrica, la visuale del gioco si è avvicinata progressivamente ai marine, fino a quando il prototipo del '98 non ha permesso di guidare i mezzi direttamente: prima che Seropian e i suoi potessero accorgersene, Blam! era diventato un promettente sparatutto in terza persona, che meritava di essere presentato al pubblico.

    A quel punto, l'allora vice presidente di Bungie ha sfruttato i suoi contatti in Apple per bussare alla porta di Steve Jobs che - rimasto stupito dalla qualità del prodotto - ha fatto sì che venisse mostrato in pompa magna alla Macworld Conference & Expo del '99. Pochi giorni prima dell'evento, Blam! è stato ribattezzato in Covenant, per poi diventare ufficialmente Halo grazie al suggerimento dell'artista Paul Russell e al benestare di Lehto, convinto del fatto che il nome descrivesse alla perfezione il senso di mistero che permeava l'intero universo del gioco.

    "Tutto ciò che state per vedere gira in tempo reale su Macintosh": con questa promessa Jason Jones ha avviato il primo trailer di Halo, un video che mostrava un articolato scontro tra i militari e gli esseri alieni che sarebbero diventati gli Elite al servizio dei Covenant. L'epica colonna sonora accompagnava delle scene a dir poco avveniristiche sul fronte tecnico, tra il mondo aperto a forma di anello, le armi e gli equipaggiamenti ben diversificati a seconda della fazione e un immaginario genuinamente fresco per l'epoca, elementi questi che hanno colmato di meraviglia gli occhi degli astanti.


    Bungie aveva superato il primo incontro col pubblico ma in realtà lo sparatutto era poco più che una massa informe di grandi idee e una serie di meccaniche vincenti, un diamante allo stato grezzo il cui avvenire era incerto, a causa delle precarie condizioni finanziare dello studio. Da qui la cessione di alcune delle sue IP a Take-Two, l'entrata in famiglia Microsoft (per ben 30 milioni di dollari) e la certezza di dover scrivere il futuro della prima console del colosso americano.

    Tra l'intelaiatura ludica da finalizzare, il cambio repentino di piattaforma - con tanto di lamentele da parte di Steve Jobs - e la necessità di dover uscire in contemporanea con la console, il team sapeva che il restante anno e mezzo di sviluppo sarebbe stato infernale. Per alleggerire un pubblico lecitamente preoccupato per le sorti del progetto, è stata creata una pubblicità ispirata a uno spot della Budweiser, con protagonisti i marine del gioco che parlavano con le voci sentite nel commercial della bevanda. Nel frattempo per gli sviluppatori era giunto il tempo delle decisioni difficili, a partire dal passaggio alla visuale in soggettiva e al taglio dell'open world, in favore di mappe ampie all'insegna della libertà d'azione. Le missioni chiaramente presentavano obiettivi da completare e luoghi da raggiungere ma il modo in cui ciò andava fatto era completamente nelle mani del giocatore.

    Ad esempio, prendere la jeep con a bordo un mitragliere o l'agile Ghost dei Covenant, gli consentiva di decimare facilmente le unità di terra o di saltare del tutto alcuni scontri ma al contempo rendeva il protagonista un bersaglio facile. Le rifiniture al comparto narrativo dell'ultimo minuto non sono mancate, così come i tour de force del team di sviluppo, che spesso era costretto a dormire in ufficio per ottimizzare i tempi di lavorazione.

    Il mitico multiplayer di Halo - che intanto ha assunto il sottotitolo di Combat Evolved per volere di Microsoft - ha rischiato fino all'ultimo di essere tagliato eppure, al netto di queste difficoltà, il primo viaggio dello Spartan Master Chief si è rivelato essere un mostro sacro del first person shooter. Dalle armi perfettamente bilanciate, la cui utilità non veniva messa in ombra da quelle più avanzate, fino all'intelligenza artificiale, che vedeva alieni e marine adottare comportamenti sensati nel corso degli scontri, Combat Evolved ha ottenuto recensioni e vendite da capogiro, guadagnandosi un posto tra le stelle del firmamento del gaming.

    Come ci si aspetterebbe da un gioco leggendario, il primo Halo non si è limitato a porre le basi di una saga iconica: nel corso degli anni l'IP ha raggiunto i lidi del cinema, della televisione e della letteratura, così da costituire un universo che definire "espanso" sarebbe riduttivo.

    Halo: l'era "classica" e l'addio di Bungie

    Dopo aver visto Combat Evolved superare le 5 milioni di copie vendute, Microsoft e Bungie non hanno avuto dubbi: bisognava realizzarne un sequel e in tempo per le festività natalizie del 2003. Le aspettative degli appassionati erano alle stelle e Bungie non voleva disattenderle. Da qui la decisione di ricostruire il game engine e riscrivere la gestione della fisica, in modo da offrire una concreta evoluzione del gameplay.

    Al netto di questi ambiziosi obiettivi (poi raggiunti), lo sviluppo di Halo 2 soffriva di una chiara mancanza di leadership, coi piccoli team interni che non riuscivano a collaborare tra loro e l'inaspettato abbandono di Seropian nel 2002. Nel frattempo Joseph Staten - l'attuale creative director di Halo Infinite - e i suoi hanno deciso di far vivere ai giocatori una storia dalla prospettiva dei Covenant, così da far luce sulle credenze fondanti del "Grande Viaggio" e introdurre la minaccia degli infidi Profeti. Per fare tutto questo, c'era bisogno di una figura forte e carismatica, la controparte aliena di Chief, ed è così che è nato personaggio passato alla storia come Arbiter.
    Tra l'espansione dell'universo narrativo, i numerosi ritocchi al gameplay e l'arduo processo di rifinitura delle proprie soluzioni tecniche, Bungie ha dovuto cancellare gli altri progetti in sviluppo per concentrarsi interamente su Halo 2. Anche così, parti della storia e della componente multiplayer sono state tagliate e le nuove varianti dei veicoli non hanno mai visto la luce, eppure - quando ha fatto il suo debutto nel 2004 - il gioco ha bissato il successo del predecessore e salutato degnamente la prima Xbox.

    La gestazione di Halo 3 ha avuto i suoi intoppi, si pensi alla "vacanza" di Staten a seguito di alcuni conflitti con altri membri del team, ma è andata molto meglio di quella del secondo capitolo. Joseph in ogni caso è tornato in tempo per dare i ritocchi finali allo script, che si prefiggeva lo scopo di dare un epico finale al viaggio di Master Chief.

    Grazie anche all'insistenza di Epic Games, che per il suo Gears of War aveva bisogno di una console potente, Xbox 360 era ben più capace della sua antenata e ciò ha permesso a Bungie di realizzare un gioco speciale. Tra giungle ricche di dettagli, armi e veicoli più realistici e una fisica ulteriormente rifinita, il terzo capitolo è stato il pinnacolo della filosofia creativa di Bungie e bastava vivere un qualsiasi scontro a fuoco per capirlo.

    Chief combatteva al fianco dei suoi marine, che venivano spazzati via dai possenti colpi di martello dei Brute, gli infidi energumeni in grado di assorbire grandi quantità di danno prima di accasciarsi a terra esanimi. Colpiti dai razzi, i veicoli compivano spettacolari piroette ed esplodevano in mille pezzi, lasciando i detriti su campi di battaglia vasti e ricolmi di strutture e nemici. Insomma, i fan sono rimasti sconvolti quando hanno potuto giocare ad Halo 3 ma non sapevano che la situazione "in paradiso" stesse cambiando. Nello specifico, i rapporti tra Microsoft e Bungie erano altalenanti e i creatori di Halo sognavano il giorno in cui avrebbero potuto mettersi in proprio.

    Da qui l'accordo con il colosso del gaming, che avrebbe permesso loro di lasciare la divisione Xbox se avessero lavorato ad altri giochi della serie. È così che nel 2009 - l'anno del debutto dello spinoff RTS Halo: Wars - è uscito il particolare Halo 3: ODST, sorto dalle ceneri del mai compiutosi Halo Chronicles e incentrato sulle vicende di una squadra di coraggiosi ODST. Abili utilizzatori di armi silenziate, questi marine avrebbero dovuto farsi largo nella città terrestre di New Mombasa e combattere le forze Covenant con coraggio ma anche consci della loro umanità (si pensi all'introduzione dei medikit, senza i quali non recuperavano l'energia).

    Dai pesanti cambi alla palette cromatica - soprattutto nelle missioni in notturna - alle modifiche al gameplay, ODST era una piccola perla, che solo un anno più tardi sarebbe stata affiancata dall'indimenticabile Halo Reach. Scartata l'idea di produrre un sequel diretto di Halo 3, Marcus Lehto ha deciso di realizzare un'intera storia da un dialogo dell'intro di Combat Evolved, in cui veniva menzionato il pianeta Reach. Ambientare un'avventura in un setting del tutto nuovo avrebbe dato a Bungie molta libertà creativa, a partire dalla scelta dei protagonisti: i valorosi Spartan del Noble Team.

    Tra il coinvolgimento diretto di personaggi chiave come Catherine Halsey, la mente dietro al progetto Spartan, e un intreccio che consentiva di conoscere e apprezzare l'intera unità, Reach narrava una storia appassionante, che culminava in un finale commovente e capace di ricongiungersi alla perfezione col prologo di Halo. A ciò bisognava aggiungere un game engine ulteriormente evoluto e un uso più pronunciato del motion capturing per donare credibilità alle animazioni dei personaggi. L'ultima missione di Nobel Six è stata anche l'ultima missione di Bungie, che dopo più di dieci anni ha salutato per sempre la sua serie leggendaria, che intanto è passata nelle mani di 343 Industries.

    343 Industries, la Reclaimer Saga e gli obiettivi di Halo: Infinite

    Come abbiamo già detto poco fa, a seguito del lancio di Halo 3 Bungie è uscita dalla famiglia verdecrociata ma ha continuato a occuparsi della serie per alcuni anni. Microsoft aveva preso tempo ma sapeva di dover affidare l'avvenire di Halo - al tempo all'apice della popolarità - a un collettivo in grado di sostenerne il peso. A questo scopo è nata 343 Industries, chiamata così in onore di 343 Guilty Spark, l'automa creato dai Precursori.

    Il collettivo di Redmond si è occupato dei map pack di Halo: Reach e in parte di Combat Evolved Anniversary, la versione rimasterizzata del capostipite della serie, ma in realtà stava lavorando in gran segreto a un progetto ben più ambizioso ma facciamo un passo indietro. Prima di affidare Halo 4 a 343 Industries, Microsoft ha incaricato Starlight Runner e Frank O'Connor - un veterano di Bungie poi entrato in 343 come development director - di esaminare l'intera lore di Halo, per poi "ripulirla" e renderla pienamente coerente e comprensibile. È così che è nata la "Bibbia di Halo", la base che ha consentito al nuovo studio di fare del quarto capitolo un gioco memorabile. Ben più avanzate di quelle di Bungie, le soluzioni tecniche in mano a 343 sono state utilizzate per confezionare una campagna altamente cinematografica, dal taglio registico ispirato e dallo stile grafico maturo, seppur con qualche rinuncia in termini di gestione della fisica. Le sequenze in-game e gli splendidi filmati in CG narravano una storia decisamente più umana, che non parlava di una fredda macchina da guerra ma dell'uomo sotto al casco verde del Master Chief.

    Il creative director Josh Holmes, coinvolto nel progetto sin dai primordi, ha tratto ispirazione dal proprio dramma personale - giacché la madre aveva cominciato a soffrire di demenza - per dare origine a quello di Cortana, condannata per sommo dolore di Chief a una lenta degradazione delle proprie facoltà intellettive. Di O'Connor invece è stata l'idea di introdurre la minaccia dei Precursori e del Didatta, un carismatico avversario a capo dei potenti Prometeici.

    Queste intelligenze digitali armate dovevano dimostrarsi dei nemici ostici, anche per Master Chief, e non sono state affatto facili da realizzare, né dal punto di vista dell'aspetto, né sul fronte del comportamento in battaglia.
    Eppure 343 è riuscita a confezionare un'opera prima di qualità strabiliante, nonché una perfetta base per ampliare la saga con altri due capitoli.

    Purtroppo, al netto della solida componente multiplayer, l'Halo 5 per Xbox One non è riuscito a brillare come il predecessore, complice una frettolosa campagna in singolo che - concentrandosi sull'introduzione di personaggi dalla caratterizzazione altalenante - non ha saputo sfruttare al meglio il ritorno di Cortana nei panni del "main villain" e i conflitti interiori di Chief, costretto a dover compiere una scelta tra i propri sentimenti e il bene superiore (qui la recensione di Halo 5).

    Di acqua sotto ai ponti ne è passata dal 2015, la divisione gaming di Microsoft è tornata più in forma che mai e lo stesso possiamo dire di 343 Industries. Il gigantesco team statunitense ha continuato a espandere e affinare la Master Chief Collection, che contiene tutti i titoli principali della serie e ovviamente si è dedicato anima e corpo alla produzione di Halo: Infinite, un capitolo che oltre a dover mettere la parola fine alla Reclaimer Saga, ha il compito di gettare le basi per il futuro della serie (qui potrete trovare la nostra recensione della Master Chief Collection). Forti del nuovo Slipspace Engine, pensato da 343 Industries per essere a prova di futuro, gli sviluppatori si sono messi a lavorare duramente su un'esperienza bifronte, con l'idea di regalare ai giocatori una campagna epica e un multiplayer free to play "di razza" e fedele ai cardini della saga classica. Intanto, nell'agosto del 2020 il veterano Joseph Staten è entrato in squadra per condurre Infinite nella fase finale del suo sviluppo.

    Dalla necessità di limare gli spigoli di natura tecnica visti nel gameplay reveal della campagna, alla volontà di regalare ai fan la migliore esperienza possibile, 343 Industries e Microsoft hanno deciso di rinviare di un intero anno il debutto di Infinite, una scelta questa che speriamo possa fare del viaggio di Chief e del "Pilota" la degna chiusura della seconda era di Halo, proprio come il leggendario Halo 3 di Bungie ha fatto con la prima. A proposito, qui potrete dare un occhio all'anteprima del multiplayer di Halo Infinite.

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