Enslaved Anteprima: lo abbiamo visto dal vivo alla Conference Namco Bandai

Visto dal vivo alla Conference Namco Bandai

Enslaved Anteprima: lo abbiamo visto dal vivo alla Conference Namco Bandai
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Enslaved è il secondo titolo mostrato alla conference di Namco Bandai. Ed è una piccola rivelazione.
    Qualche tempo fa abbiamo avuto modo di intervistare il team di sviluppo, ma il gioco visto dal vivo fa tutta un’altra impressione. Talentuosi e sregolati, i ragazzi di Ninja Theory ospitano nel proprio curriculum la produzione di quel cigno nero che risponde al nome di Heavenly Sword. Un’opera capace di lasciare nel contempo a bocca aperta tanto per la squisitezza tecnologica, quanto per l’evidente caducità strutturale. Un gigante dai piedi largamente argillosi, la cui gestazione è costata al team la fiducia della dirigenza Sony (che ha però conservato la proprietà intellettuale, nella poco probabile eventualità che il sequel superi lo status di “pazza idea”, così come il motore tecnologico che le dava vita), e di una buona fetta di consumatori.
    Ciononostante, la magnificenza estetica di HS resta un dato di fatto. Così come la sua caratura emozionale, che esplodeva nella fortissima carica empatica della protagonista, e nel suo appeal mozzafiato. Da qui, prende le mosse Enslaved. Due personaggi antitetici, un futuro che trae spunto da una novella cinese vecchia di 400 anni, e un design cooperativo semplicemente appagante.
    Ecco le nostre prime impressioni.

    150 anni da ora. Il mondo, ovviamente, non è più come lo conosciamo. Ma da bravi videogiocatori, prevedere un futuro catastrofico non è poi tanto difficile. Anzi, è la prassi. Guerre e devastazioni hanno funestato la nostra (in)civiltà, pasteggiando con quello che rimaneva dei nostri ideali. Negli USA si stimano meno di 50.000 superstiti. Una bazzecola. C’è chi vive in ristrette comunità, restando aggrappato coi denti al mantello lacero di una vita che scappa gambe in spalla, e c’è chi tira a campare da solo, da selvaggio. Monkey, il nostro alter ego, è uno di questi. Trip, che il caso ha scelto come sua esile compagna di sventura, vuole invece tornarsene a casa, in quel che rimane della sua famiglia. Ma sa che da sola le sue speranze sono prossime allo zero assoluto. I mech che scorazzano liberi tra le strade di New York sono buoni solo ad ammazzare le persone. Costruiti per combattere le battaglie degli uomini, sono invece sopravvissuti ai loro pazzi creatori.
    In più, qualcuno ovviamente ci marcia. Anche se è difficile capire come. Navi volanti rapiscono con infelice frequenza gli umani che si avventurano nelle lande meno sicure, trasportandoli come schiavi verso il West. Non è ben chiaro quali sia il loro destino, una volta arrivati: ciò che conta è non beccarsi mai una crociera premio all’interno di quei vascelli.
    I paletti narrativi sono assai semplici da fissare. Parlando però col producer del gioco, scopriamo che la figura scelta per adattare ed arricchire un pezzo pregiato della letteratura cinese è quella di Alex Garland, già autore di The Beach e della sceneggiatura di 28giorni dopo. Il fronte narrativo, insomma, l’evoluzione della relazione fra i due protagonisti, la cronistoria di un presente in cui la tecnologia viene divorata dalla forza dirompente della natura, che si riappropria dei palazzi, della case, delle terre, germogliandovi rigogliosa, avrà un ruolo cardine nell’economia di gioco.
    Un gioco che nelle intenzioni degli sviluppatori non solo vuole divertire, ma anche emozionare. Da qui lo studio certosino sulle dinamiche delle telecamere, lo studio delle inquadrature, dei movimenti di macchina, per dare sempre la giusta enfasi ad ogni scena. E ancora da qui, lo sviluppo di un middleware apposito per la creazione di espressioni facciali credibili, e capaci di veicolare passione, terrore, ansia, fatica, gioia. In poche parole, emozioni. Gli algoritmi proprietari di Ninja Theory si sovrappongono quindi al motore grafico scelto, l’UE3, che testimonia ancora una volta la propria poliedricità. Un piccolo esempio. Trip è appollaiata dietro un piccolo lastrone di roccia. Un mech a quattro zampe rivela del movimento e pesantemente compie il giro della struttura naturale per accertare che non ci sia nessuno. Trip è seduta e ginocchia al petto si sposta di pochi centimetri ogni volta che l’ombra del mostro meccanico si muove. E’ una scena semplice, lineare, quasi scontata. Eppure il terrore che sprizza dagli occhi della ragazzina, occhi vivi, brillanti, che “vedono” quello che li circonda, è da applausi. La bocca si contorce in smorfie diverse, e la tensione è palpabile. Credibile.
    Cut Scene e motion capture sono capitanati da Andy Serkins (King Kong, Il Signore degli Anelli), che darà anche vita a Monkey, la cui mimica facciale è già da antologia. Basti vedere come sbraita per distogliere l’attenzione del bestio dalla roccia dietro cui si nasconde Trip, per rendersene immediatamente conto.

    Di palo in frasca

    La meccanica di gioco si specchia nei dettami di titoli antonomastici come Prince of Persia e Assassin’s Creed. La fusione quindi fra platforming e combattimento è fluida e per nulla circoscritta. Non ci sono quindi sezioni in cui le due espressioni ludiche sono separate: tutto vola veloce sullo schermo (i punti scalabili, o più facilmente raggiungibili, sono al momento evidenziati come nel magnifico Mirror’s Edge) senza soluzione di continuità. Trip è l’elemento alieno. La sua figura scandisce in maniera diversa il gameplay perché esattamente come accadeva in Ico non è in grado di badare a sé stessa e difendersi. Se lei muore, noi ci crogioliamo nel game over. Ed è qui quindi che si inserisce uno progettazione ambientale assolutamente non lineare in quanto a sviluppo (molteplici le strutture verticali e divise in piani diversi), che spezza il ritmo dell’azione per parcheggiarlo in meccaniche puzzle solving davvero gustose. In soldoni, se la suddivisione dei livelli è predeterminata (non esistono bivi, né aperture free roaming), non lo è in alcun modo il superamento degli stessi, che quindi possono essere approcciati in maniera diversa.
    Trip è totalmente autonoma, ma può essere indirizzata tramite semplici comandi (stai, vai, distogli l’attenzione) oppure usata per l’upgrade delle capacità di Monkey (via accumulo di orbi rossi). Comodi esempi. Grattacielo. Diroccato. Dobbiamo salire. La forza fisica di Trip non le permette di prodursi in salti sovrumani. Monkey quindi la prende in braccio e spicca il volo.
    Altra situazione. New York Musci Hall. Dobbiamo passare dalla sala centrale, ma è piena di mech. Immobili. Se infatti non vengono disturbati, alcuni pezzi di latta si limitano a monitorare la loro zona di competenza (un radar visivo ne circoscrive la gittata dei loro sguardi). Possiamo tentare l’approccio diretto. Mnkey è forte. Il combattimento ravvicinato è il suo forte. Due azioni disponibili con il bastone allungabile che si porta appresso: colpi veloci e fendenti potenti. Poi schivata e parata. Poche combo performabili, ma il timing per portare a termine un attacco brutale è basilare. Se sbagliamo, siamo morti. Infatti, crepiamo. Opzione numero due. Possiamo scalare le mura perimetrali, intimando a Trip di restare buona dov’è, assalire un mech alle spalle, disarmarlo e usare la sua stessa mitragliatrice contro le altre mostruosità meccaniche. O ancora, lasciare che ci pensi Trip. Nascosto tra i suoi capelli, un piccolo aggeggio dotato di ali, figlio di una tecnologia che ormai non esiste più, è in grado di rilevare la presenza dei nemici, valutarne i punti di debolezza e distrarli nei modi più svariati (ovviamente sono caratteristiche upgradabili nel corso dell’avventura). Guardate l’uccellino, cari i nostri quadrupedi motorizzati e fatevi sfondare a martellate via QTE (GoW insegna).
    La fluidità con cui le strutture di gioco si lasciano scalare appaga completamente il giocatore, che deve però tenere presente la posizione eternamente vacillante della compagna. Un mix di generi e un citazionismo marcato, quindi, che comunque lasciano più che soddisfatti.
    Bisognerà nei prossimi mesi valutare la diversificazione dell’ambiente di gioco, così come la sua longevità. Per ora, Ninja Theory si salva in corner confessando ai nostri microfoni quattordici capitoli complessivi, per una longevità superiore alle decina abbondante di ore di gioco (tre livelli di difficoltà). Non è prevista nessuna modalità multiplayer, mentre le voci riguardo a futuri DLC sono assolutamente fondate.

    Nell'occhio di Miyazaki

    Il portavoce del team di sviluppo accenna, per l’aspetto grafico, a Miyazaki. Di sicuro l’imponenza scenografica è facilmente ravvisabile. Così come la direzione artistica azzeccata e sopra le righe. Futuro post bellico sì. Zone solo desertiche no. Anzi. Vedere la natura mangiarsi monumenti storici di New York è uno spettacolo per gli occhi, graziati da una palette accesa all’inverosimile. New York costituisce però solo il 25% dell’ambientazione prevista dai designer. La curiosità di vedere cos’altro ci attende è quindi fortissima.
    Per ora, la scena è satura di colori e di luci che si muovono in accordo con i movimenti di macchina, per dare sempre l’effetto più spettacolare.
    Bellissime quindi le texture e l’uso dei filtri, ma a sorprendere sono le animazioni. Fluide, animalesche, potenti. Monkey, dalla postura, alla camminata, a quando flette i muscoli per arrampicarsi, trasuda forza. Precisione. Un’agilità felina, eppure umana. Come già occorso nel precedente lavoro, anche l’accompagnamento sonoro lascia il segno, orchestrando e ritmando in musica quello che accade sullo schermo.

    Enslaved Odyssey to the West Enslaved è frutto di un team talentuoso. E forse, ne sancisce la maturazione. Atteso per il prossimo autunno, questo action in terza persona cita in continuazione gli esponenti di spicco del genere cui appartiene, seguendo addirittura il trend contemporaneo tutto votato alla cooperazione (anche solo indiretta, come in questa fattispecie), eppure intriga il giocatore. E tanto. Il gameplay sembra suffragato a dovere da un level design meticoloso, che non castra il giocatore, lasciandolo libero di muoversi, di esprimersi. Il fronte estetico, come detto, è eccezionale.

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