Provato Civilization Revolution

Lo strategico di Meier conquista le console

Provato Civilization Revolution
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Disponibile per
  • DS
  • Xbox 360
  • PS3
  • iPhone
  • iPad
  • Matrimonio di interessi

    Sid Meier e l’industria del videogioco. Un connubio non privo di attriti, quantomeno sulla carta. L’uno, geniale e raffinato. Un creativo. L’altra, ricca, sconfinata, ma avida e culturalmente arretrata. Una conservatrice. Eppure, lo strutturato idealismo del designer americano ha fatto breccia all’interno della poetica del profitto con estrema naturalezza, dissodando altresì porzioni di terreno fertile per sotterrare i primi -timidissimi- semi dell’autorialità. Perché Sid Meier non è un progettista. O un mero sviluppatore. E’ un autore di videogiochi. Una firma. Un marchio che incorpora un’idea di divertimento interattivo riconoscibile, coerente con sé stessa e in grado, come si confà agli afflati artistici, di superare d’un balzo le forche del tempo.
    Stendardo d’una tale agilità, Civilization. Dopo più di quindici anni di conquiste, l’opera magna del nostro accetta ora la non facile sfida di snellirsi per presentarsi in forma all’appuntamento con il mondo console.
    Un progetto che si prefigge di stemperare, rendendola più agile e flessibile, l’imponente impalcatura che sottende alle diverse versioni per PC. Una rilettura di un classico che assume i contorni d’una vera e propria Revolution. Quella del joypad, chiaramente.

    Le vie della supremazia sono infinite

    Rinnovare un franchise storico comporta ben più d’un rischio. Come si è mosso il team Firaxis per eludere le trappole insite in un percorso tanto periglioso? Quali artifici ha adottato per non snaturare, cavalcando l’onda della semplificazione, l’intima architettura dello strategico a turni per antonomasia? Nel corso del breve test effettuato sulla build per Xbox 360 EveryEye ha trovato qualche risposta alle problematiche di cui sopra, evidenziando i tre binari su cui scorrono paralleli gli accorgimenti introdotti dagli sviluppatori.
    In primis, Sid Meier’s Civilization Revolution è tutto fuorché una versione in scala ridotta del capolavoro da cui prende il titolo, non confessando potature profonde alla struttura di base, se non di quei rami che ne appesantivano di fatto il ritmo complessivo.
    L’interfaccia è il secondo elemento da valutare. Allontanatevi per un attimo dall’assunto che da sempre inneggia all’accoppiata mouse-tastiera come espressione massima dei sistemi di controllo, perlomeno in certi ambiti ludici. Suvvia, un po’ di partecipazione, non vi stiamo intimando di rinnegare i vostri ideali, bensì di riconsiderare l’efficacia del pad anche per un genere inusuale come quello degli strategici. Perché funziona. E bene.
    La cosmesi infine. Lo stile adottato non rigetta i precetti di funzionalità e leggibilità tanto cari alla serie, tuttavia li riconiuga in maniera del tutto peculiare, con una nuova e fresca declinazione caricaturale, in cui la fantasiosa caratterizzazione dei sedici condottieri storici la fa da padrona.
    Il mix di arguzia tattica e riflessione strategica su cui si innesta il gameplay ritorna fiero del proprio bilanciamento, contestualizzato però in un teatro storico farsesco e meno rigoroso, in cui scontri fra civiltà distanziate dai secoli sono all’ordine del giorno. Nondimeno, l’atmosfera briosa e giocosa nulla toglie alla profondità delle scelte che siamo destinati a compiere, decisioni le cui ripercussioni puntano la lama alla gola delle velleità di dominazione assoluta cui dovremmo aspirare.
    Ogni elemento va quindi ben ponderato, fin dall’inizio. Opzionata la propria civiltà, lo step successivo risiede nel fondare la prima città, la culla in cui coccolare i sogni della propria evoluzione bellica, scientifica e culturale. Il posizionamento territoriale può e non deve essere casuale: la vicinanza al mare, al legname o la presenza di terreni da adibire alla coltivazione sono eventualità su cui il pensiero di un comandante non dovrebbe glissare.
    Contemporaneamente, tramite “l’albero della conoscenza” (nome non definitivo e coniato per l’occasione dai PR di Take 2) è d’uopo studiare e scegliere i passi che si intendono percorrere durante le epoche, le cui diramazioni lasceranno un’impronta inequivocabile sulle capacità di progredire, di relazionarsi o di combattere della nostra civiltà. Sviluppi intellettuali e militari legati a determinate scoperte che appartengono alla memoria conoscitiva di ogni popolo, modificabili ed integrabili tuttavia senza vincoli o malviste restrizioni, se non quelle insite nella nostra fantasia.
    La costituzione di un proprio alfabeto, per esempio, è chiaramente propedeutico alla nascita della scrittura, ed è altrettanto evidente la correlazione tra quest’ultima e la redazione di un proprio codice di leggi. Sta a noi scegliere come sfruttare le doti elargiteci dal progresso, poiché in effetti siamo noi ad influenzarne in parte gli sbocchi. Un corpus normativo codificato è utile per mantenere la governabilità interna ad un livello accettabile, ma nel contempo può avere una certo ascendente diplomatico, soprattutto nei confronti delle popolazioni strutturalmente più arretrate.
    Come sempre, l’egemonia totale è una partita che si gioca con carte differenti sul campo della diversificazione. La guerra è solo uno dei tanti modi per eccellere. L’imposizione della propria superiorità intellettuale e scientifica è una via altrettanto soddisfacente, perpetrabile attraverso il ritrovamento prima e la collaborazione poi con le diciotto personalità geniali (filosofi, medici, scienziati realmente esistiti) disseminate tra le varie ere, capaci di infondere la spinta necessaria in specifici settori culturali. Senza dimenticare la forza persuasiva del denaro. Vile quanto si vuole, d’accordo, ma pur sempre in grado di aprire ogni porta, di suggellare qualsiasi accordo, o di sottomettere anche la popolazione meno remissiva. L’efficienza economica è dunque un altro balcone da cui affacciarsi per rimirare i propri domini, ancora più lucrosi se impreziositi all’interno dall’edificazione di una delle otto meraviglie del mondo.
    L’equilibrio interno della nostra città è tanto importante quanto le relazioni esterne, alimentate dalla politica e dagli scambi commerciali. Lo status dei cittadini va giustamente monitorato (evidenziato nel menù da emoticon piuttosto esplicative), così come abbisognano di ripartizioni eque i lavori concernenti alla gestione della società: è quindi controproducente asservire un alto numero di uomini alla costruzione di un palazzo o di una nave o di un’opera d’arte quando non vi è nessuno deputato all’agricoltura e al reperimento del cibo, per esempio. Allo stesso modo impegnare forza-lavoro nella costituzione di una solida rete viaria può apparire prematuro se non vi sono soldati o carovane pronte ad usufruirne in maniera intensiva.
    Le attività diplomatiche ed economiche poc’anzi menzionate non sono altro che retaggi della fondamentale fase esplorativa, inestinguibile fulcro dell’azione di gioco. Ammantati da una fittissima coltre di nebbia volumetrica, i territori -al pari delle popolazioni indigene che li animano- attendono solo di essere scoperti dalle nostre truppe. O dalle nostre navi. I viaggi via mare infatti costituiscono una fetta non trascurabile del gameplay, per tacere della chiara velocità con cui consentono gli spostamenti, anche e soprattutto delle forze armate o dei necessari rifornimenti.
    L’esercito, che nel corso del tempo ripartisce le proprie competenze sfrangiandosi in nuove figure più specializzate (come le spie o gli infiltrati), è oggetto di vari upgrade statistici già dopo il conseguimento sul campo di tre vittorie; inoltre, l’unione di tre unità singole va a formare un’autentica armata, dotata di mezzi ben più consistenti.
    Difficile reprimere, sulle prime, gli istinti più belligeranti, perlomeno quando si tratta di colonizzare aree insediate da barbari o da tribù primitive. Le cose tendono a cambiare al cospetto di civiltà progredite e militarmente capaci; in questo caso, oltre a valutare preventivamente gli effetti di azioni sconsiderate, le statistiche dei contingenti e le caratteristiche ambientali, è bene raggruppare un numero ragionevole di soldati, magari corroborandone la carica offensiva con l’intervento della cavalleria, lasciando comunque una guarnigione nei pressi della retroguardia (tasto X per la copertura della zona di competenza), onde evitare disastri difficilmente tamponabili.
    Data la natura del progetto, sono due le monete di scambio di Sid Meir’s Civilization Revolution: i turni e i soldi. Com’è ovvio, ogni aspetto del gioco, dalla creazione di una singola unità agli spostamenti più impegnativi, dalla costruzione di un edificio alle battaglie, è regolato da un certo numero di turni da rispettare, decurtabili in alcuni casi con il congruo esborso di lingotti d’oro.
    Da rimarcare, in linea conclusiva, la presenza -ad ora solo sussurrata- di una sorta di enciclopedia interna (richiamabile col tasto Y), ricca di nozioni di carattere storico nonché di informazioni sulla saga; la fornitura di chiarimenti e suggerimenti è delegata invece all’adviser (riprodotto con fattezze diverse in ossequio alle diverse epoche), che fa capolino nel corner inferiore destro dello schermo.

    Civilization Revolution Se escludiamo le levigature di cui ancora necessita il sistema di controllo (la gestione traballante dello zoom, per esempio; o la difficile selezione degli uomini all’interno del menù) e diamo il beneficio del dubbio all’IA di cui abbiamo solo verificato i primi vagiti, Sid Meier’s Civilization Revolution non può che comparire nella lista della spesa di EveryEye per questo 2008, anche alla luce della succulente modalità online per quattro giocatori. Profondo come i precedenti esponenti della saga, ma graziato da una verve e da un piglio ben più effervescenti, l’opera di Firaxis promette di colmare una lacuna enorme nel catalogo delle console HD. E di arricchire ulteriormente quello di Nintendo DS.

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