Crackdown 2: lo abbiamo provato a Londra, le nostre impressioni

Provato con mano a Londra, negli studi di Ruffian Games

Crackdown 2: lo abbiamo provato a Londra, le nostre impressioni
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Disponibile per
  • Xbox 360
  • Crackdown è stato un successo, sotto diversi punti di vista. Non ultimo, quello strategico: come non ricordare il cavallo di troia usato da Microsoft per supportarne le vendite, ossia l’invito alla beta di Halo 3? Un tocco di classe tutt’altro che spartano.
    Definirlo però come un mero progetto commerciale sarebbe non solo ingiusto, ma anche evidentemente scorretto sotto il profilo critico. Crackdown, epigono perfetto del teorico del free roaming per eccellenza, Dave Jones, e del suo team, Realtime Worlds, ha tracciato una strada poi percorsa da prodotti come Prototype o inFamous.
    Nel 2007, in buona sostanza, aveva rappresentato l’apogeo di una forma concettuale, di un modo di intendere i prodotti a struttura aperta. Rifiuto della narrazione a là Rockstar North, apertura massima all’esagerazione. La città che da sfondo diviene trampolino delle nostre acrobazie, e della crescita stessa del nostro alter ego. Sfruttamento intensivo degli achievement.
    Al timone, come saprete, ora c’è Ruffian Games, un piccolo team di transfughi dal gruppo di Jones -le figure chiave che hanno originato il prequel ci sono comunque tutte-, muniti al punto giusto e di entusiasmo e di idee chiare.
    Siamo volati a Londra per dare un’occhiata al single player, e per constatare l’evoluzione ad oggi del franchise.
    Se di evoluzione possiamo parlare.


    DLC & Achievement

    Il producer del gioco ci ha confermato il futuro rilascio di DLC. Mappe per il multiplayer, videoreplay per la co-op, nuove modalità multiplayer. Tutto tace sul fronte single player.
    Novità anche per ciò che concerne gli obiettivi: non solo missioni di "accumulo", ma veri e proprio minigiochi attenderanno i malati del gamerscore. Come i redattori di Everyeye.it.

    2007 = 2010

    Sono passati dieci anni. Pacific City si lecca le ferite infertale da anni di battaglia. Se non cade a pezzi, poco ci manca. Due le minacce per l’Agenzia: i Freak, mutanti con la sgradevole propensione a moltiplicarsi senza ritegno, e i ribelli, che infestano le vie della metropoli quando il sole è alto all’orizzonte, e gli effetti dei raggi UV consigliano ai Freak di stare al coperto.
    Punzecchiato al riguardo, il portavoce del team di sviluppo non tradisce la visione originale del primo Crackdown: ci sarà allora un background narrativo più corposo, che giustifichi le azioni del giocatore, ma il ricorso a cut scene o ad altre divagazioni da storytelling è comunque fuori questione.
    Sono passati dieci anni, dicevamo, ma la metropoli non è cambiata di una virgola. Dal punto di vista del giocatore, quindi, l’area esplorabile è rimasta pressoché la stessa. A cambiare, invece, è il ritmo di gioco, che da serrato diventa maledettamente sincopato. La presenza di due macrotipologie di nemici va a lenire da subito uno dei limiti del primo capitolo: la ripetitività dell’azione. Perlomeno sulla carta. L’intelaiatura delle primissime missioni (un’ora e mezza di gioco ininterrotto) che seguono al tutorial non ci ha infatti convinto appieno. L’attivazione di meccanismi di rilevazione utili all’Agenzia si risolve in un tour della città privo di obiettivi secondari, se non la mera sopravvivenza. L’IA dei nemici, e soprattutto la quantità con cui sono spalmati sullo schermo (lo schieramento notturno di Freak, oltre ad accendere reminescenze in salsa Valve, è uno spettacolo per gli occhi: peccato che le routine di gruppo che li animano siano piuttosto basiche e cicliche. Sfrangiarli come erbacce è comunque delizioso), accende un sano entusiasmo blastatorio, ma la speranza è che le missioni successive caldeggino uno spettro d’azione più variegato.
    Il sistema di controllo è semplicemente perfetto e legato a doppio filo all’evoluzione del personaggio così come alla principio cardine che ha fatto la fortuna di Crackdown, e che qui trova una certosina rifinitura: la ricerca delle sfere di upgrade. Potenza in combattimento, velocità, capacità di guida. Tutto secondo i dettami già stilati dal primo Crackdown (nuove sfere saranno ufficializzate all’E3). Ergo, la strada per diventare un superuomo è piuttosto ripida e irta di avversità. Nella fattispecie, la divisione fra la filosofia di Crackdown e quella abbracciata da altri esponenti dello stesso genere è palese: qui il “tutto e subito” non viene concepito. Il giocatore è chiamato a sporcarsi le mani in mezzo ai mutanti per salire di livello in quanto a forza fisica, a diversificare le proprie performance per vedere dei miglioramenti contemporanei nel salto e nella precisione di fuoco. Inoltre, sono state introdotte delle nuove sfere, che sfuggono di primo acchito alla presa del giocatore e che debbono essere rincorse. Una rincorsa che non trascura il cielo: la dinamica di gioco si avvale infatti anche della capacità del protagonista di planare una volta gettatosi da altezze più o meno vertiginose, foraggiando così l’idea di missioni più “verticali” rispetto al predecessore. L’effetto Just Cause 2 è anche alimentato dall’arma capace di unire due elementi (funzionalmente è identica al rampino di casa Avalanche) tramite una sorta di spago energetico, in grado di trascinare tutto -o quasi- quello che trova nel mezzo. Una feature utilissima durante i combattimenti ravvicinati, soprattutto contro i Freak di livello superiore, resistenti anche agli scontri frontali con i veicoli.
    Sotto questo profilo, ampliato il ventaglio di mezzi pilotabili (sfiziosa la nuova buggy corazzata, così come i nuovi elicotteri da combattimento), mentre la gestione delle armi e delle munizioni deve essere più oculata rispetto a Crackdown: un ulteriore modo per bilanciare la potenza offensiva del giocatore.
    L’ultima parte della missione affrontata all’interno di un silos in disuso -gli sviluppatori hanno promesso una perlustrazione più approfondita degli edifici-, inscenata su livelli differenti e colma di Freak con peculiarità specifiche, ci ha ricordato la caratteristica chiave di Crackdown 2, ovvero la co-op per quattro giocatori. Una modalità cooperativa (non testata durante il press tour londinese) non lineare: le missioni, affrontabili ovviamente senza un ordine preciso, possono vedere l’ingresso di uno o più amici in qualsiasi momento (jump in, drop out: Left 4 Dead docet), inoltre gli stessi compari possono dedicarsi a quest differenti, senza limitazioni di sorta. E’ qui che risiede il succo del prodotto targato Ruffian Games. E nel multiplayer PvP aperto a sedici giocatori (anch’esso non testabile: confermati i classici deathmatch e la modalità Rocket Tag)
    Il disappunto, a poco più di un mese dalla release, è comunque incontestabile. L’interazione ambientale, da conquistare piano piano, salto dopo salto, regala forse più soddisfazioni dei concorrenti presenti sul mercato, ma è una mera questioni di gusti. Impossibile invece sorvolare sull’ampiezza di una mappa che dopo tre anni appare moderatamente piccola, costrittiva, e a tratti spoglia. La presenza di civili sul campo, tra le vie, è insignificante, e non sprigiona nessuna diversificazione nella meccanica che vede come protagonista unico lo scontro fra l’Agenzia, i Freak e i ribelli con le loro macchine prese di peso da Mad Max.
    Ad ora, il single player di Crackdown 2 sente il peso degli anni: considerarlo come un mero orpello al potenzialmente più soddisfacente multiplayer non sarebbe propriamente un errore.

    A livello estetico, gli stilemi del primo Crackdown tornano con diligenza. Solo che stavolta lasciano piuttosto indifferenti. Il cel shading non conserva la freschezza di tre anni fa, con texture di basso livello pronte ad incorniciare ogni elemento in campo. I modelli poligonali si ripetono con insistenza (si pensi ai ribelli), lasciando un po’ di amaro in bocca chi aveva apprezzato il primo capitolo. Ottimi invece i particellari, così come il frame rate che non palesa incertezze. Migliorata anche la fisica di gioco, che interviene con cognizione soprattutto negli scontri a fuoco e durante le esplosioni.

    Crackdown 2 Crackdown 2 è un titolo poco decifrabile. Sicuramente il cambio di team (da Realtime Studios ai più piccoli Ruffian) non ha giovato al franchise, perlomeno sotto il profilo contenutistico. Poche le novità introdotte per ciò che riguarda il single player, forse fuori tempo massimo per gli standard raggiunti dai concorrenti coevi. Buone nuove invece per la co-op: il team ci ha assicurato una bilanciamento automatico della difficoltà di gioco, e missioni specificatamente pensate per divertire più persone contemporaneamente. Ottima anche la possibilità di partecipare a missioni diverse, senza costrizioni. In ultima istanza, il multiplayer PvP: un'iniezione a gran voce richiesta dai fan del primo capitolo. Su queste pagine, presto la relativa disanima. Restate collegati.

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