Provato Medal of Honor: come si comporta in multiplayer?

Provato il multiplayer negli studi DICE

Provato Medal of Honor: come si comporta in multiplayer?
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  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • Medal of Honor. Dopo il test dell’eccellente comparto single player ad opera di Danger Close, è ora il turno del multiplayer in diretta dagli studi DICE, Svezia.
    Il distinguo fra i due team di sviluppo e i due motori grafici utilizzati è arcinoto, e più volte sottolineato dai nostri articoli. Due sono anche i paradigmi concettuali entro cui muoversi: CoD, da una parte. Bad Company 2 dall’altra. Trovare una collocazione peculiare è impresa ardua anche per i creatori di Battlefield, come la traballante beta ha palesemente, e poco elegantemente, confessato.
    Proprio sugl’inghippi di quello spurio codice DICE ha poggiato la sviluppo del multiplayer, cercando di (ri)conquistare il pubblico con design di gioco solido e ben confezionato, ma nel contempo piuttosto standardizzato, e similare all’offerta stessa di Bad Company 2 (distruzione ambientale esclusa, naturalmente).
    Il divertimento non passa quindi dall’istrionismo tipico di CoD (che è, e rimane, un prodotto prevalentemente orientato ai massacri digitali fra amici, piuttosto che a sortite solitarie), ma da dinamiche consolidate.


    Solo per veri duri

    Le modalità approntate dagli sviluppatori sono naturalmente affrontabili in versione Hardcore, costruita a misura di duro che non deve chiedere mai. Anche nei videogame.
    Addio rigenerazione della salute, mappa, mirino e la possibilità di rifocillarsi di munizioni raccogliendole sul campo.
    Un caldo benvenuto invece al fuoco amico.
    Quando il gioco si fa duro...

    Dalla Beta con amore

    Ventiquattro utenti contemporaneamente, otto mappe di gioco, quattro modalità, server dedicati per i fidi sostenitori di mouse e tastiera.
    Patrick Liu, Producer in seno a DICE, esordisce distanziando le soluzioni adottate per il multiplayer di Medal of Honor da quelle usate in BC2, tuttavia bastano pochi minuti per riassaporare sensazioni vecchie di qualche mese. Non necessariamente negative, beninteso. Un pizzico di straniamento, quello sì. Perché sebbene sotto il cofano ruggisca sempre il robusto Frostbite 2.0, la distruzione ambientale è mitigata e circoscritta a qualità determinate di elementi, mentre l’utilizzo dei mezzi è previsto solo in alcune mappe.
    Il giocatore è quindi costretto a rallentare e ragionare, sfruttando un level design davvero pregevole (nuove mappe arriveranno ovviamente via DLC) e impreziosito da una solida varietà di fondo. Dai monti Shakihot, alle basi di Kundar, fino ai villaggi e mercati annessi, gli spunti per costruire strategie discretamente complesse non mancano di certo prima di gettarsi nell’inferno degli scontri di fanteria.
    Tre le classi previste (Sniper, Rifleman, Special Ops), suscettibili di un ampio processo di customizzazione, che prende le mosse dai tre slot previsti per ogni arma trasportata. Un classico sistema di progressione ad albero offre poi diversi appoggi alla specializzazione delle tre classi base, un tema che approfondiremo meglio in sede di recensione e che fa respirare non poco la varietà insita nel gameplay.
    Sul campo, le parole di Liu riguardanti i miglioramenti rispetto alla beta prendono via via forma e sincera concretezza. Rilevazione della hit detection e precisione dei colpi inflitti sono semplicemente su un altro pianeta qualitativo, dando quel quid necessario perché un comparto multiplayer sia degno di tal nome, o più semplicemente giocabile. Il rinculo dei fucili di precisioni o d’assalto è più tangibile, si sente e si vede, anche sei in alcuni casi gli errori permangono (SV-98, impalpabile), così come l’imprecisa gestione dei gingilli pesanti (gli effetti di un RPG, per ora, sono alquanto sbilanciati).
    MoH prosegue poi il discorso dei reward dopo una serie consecutiva di esecuzioni (tre), con power up tanto offensivi quanto difensivi che offrono gustose varianti stilistiche e di approccio, in special modo durante gli scontri fra veterani. Tra i bonus d’attacco brilla come sempre il supporto aereo, per devastanti azioni ad ampio raggio. L’abuso dei supporti è qui meno scriteriato: il ritmo è sempre sostenuto, ma il caos e lo sbilanciamento apprezzati nella beta -tra attacco e difesa- sono contenuti entro livelli di guardia accettabili.
    La sensazione, comunque, è che DICE abbia voluto aprire ad un pubblico meno smaliziato, o semplicemente più transigente nei confronti di azioni “esterne, risolutorie e spettacolari” quali sono, sovente, certi tipi di supporti offensivi.
    Permangono alcune magagne macroscopiche tali per cui a Diwagal Camp (mappa superlativa, villaggio da spartire al centro, cave e grotte naturali scavate nella montagne poste sui lati, un tripudio di saliscendi, frenesia e strategia ben coniugate), per i cecchini era un gioco da ragazzi presidiare in tutta sicurezza i punti di respawn. Liu ci ha comunque assicurato che la rifinitura non è ancora conclusa (il codice provato era di Agosto).
    Per ciò che attiene alle modalità di gioco, Team Assault è il classico deathmatch a squadre, Sector Control prevede il mantenimento di zone specifiche della mappa, Objective raid (la variante più frenetica e veloce, giocata nel mercato di Kandahar, una mappa che le calza a pennello) si struttura nel binomio attacco e difesa con due obiettivi da centrare, mentre Combat Mission è senz’ombra di dubbio l’opzione meno standardizzata e a più ampio respiro.
    In questa modalità le missioni si rifanno ad un sostrato narrativo ovviamente predeterminato, che muove le pedine dell’azione (ricorrendo anche a cut scene) in maniera paradigmatica una volta raggiunto un obiettivo (alla stregua di una missione in single player). Più obiettivi quindi in un’unica grande missione corale, che si dipana come una piccola fiction e che abbisogna dell’aiuto di tutti per poter essere portata a compimento. Assolutamente impattante l’azione ambientata tra le alture e gli spigoli rocciosi del Shakihot, dove l’immersione del giocatore toccava punte sfiziose per un multiplayer, o quella tra i rottami arrugginiti dell’aeroporto Mazar-I-Sharif.
    Quest’ultima location ha poi visto l’utilizzo di un Bradley corazzato (totalmente governabile, anche in compagnia di un amico mitragliere), una delle poche aperture di DICE al ricorso ai mezzi, vessillo del fratellastro BC2.
    A livello estetico, i passi in avanti ricalcano per sommi capi la magnificenza del single player.
    Rispetto alla beta, filtri, particellari e definizione generale sono implementati in maniera ortodossa, uno scarto verso il “bello” seguito anche delle texture, ripulite e meno impastate, se si escludono quelle interessanti i punti periferici dell’orizzonte visivo.

    Medal of Honor Medal of Honor, in salsa multiplayer, definisce una volta di più quanto le beta siano poco indicative delle qualità concrete di un prodotto. DICE ha lavorato di cesello partendo dalle decine di migliaia di commenti negativi, regalandoci un'esperienza godibile -soprattutto per chi ama l'impianto di Battlefield-, ma non certo preponderante nell'economia di gioco. Medal of Honor, se vuole stupire, lo fa con un single player che si preannuncia irresistibile, un vero fuoriclasse. Con il multiplayer relegato al ruolo di diligente, solido e standardizzato gregario.

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