Provato The Last Story

Testata con mano la versione Giapponese

Provato The Last Story
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Disponibile per
  • Wii
  • Il 27 gennaio scorso è finalmente tornato alla ribalta il grande Hironobu Sakaguchi, padre di alcune tra le più importanti produzioni giapponesi degli anni d’oro. Un’epoca in cui prodotti come Xenogears, Chrono Trigger, Final Fantasy VII non solo vendevano camionate di copie, ma riuscivano a stuzzicare gli appetiti ludici anche di noi occidentali, finalmente capaci di appassionarci ad un genere -quello dei j-rpg- forse un pò distante dai classici gusti nostrani.
    Oggi, a distanza di oltre 10 anni da quell’epoca magica, conosciamo tutti la crisi profonda che ha colpito la stragrande maggioranza delle software house giapponesi, incapaci di tenere il passo d’un mercato in costante crescita. Anche Mr. Sakaguchi deve aver compreso il cambiamento: infatti il qui presente The Last Story, ultimo prodotto nato dalla stretta collaborazione con Nintendo (forse proprio nella speranza di riaccendere antiche alchimie che nel 1986 diedero vita alla più famosa saga ruolistica giapponese) sembra abbandonare molte meccaniche del passato per abbracciare soluzioni aggiornate ai gusti moderni.
    Avendo provato la versione d’importazione, cercheremo di analizzare i tratti più interessanti e quelli meno riusciti di questo promettente progetto.

    L'ultima Storia

    The Last Story ci mette nei panni di un gruppo di mercenari, più precisamente in quelli del giovane Elza, un orfano che sogna di diventare cavaliere del piccolo regno di Ruli, l’isola che rappresenta la principale locazione dell’avventura. A fianco del nostro eroe troviamo una serie di personaggi, da Quark, leader del gruppo e sorta di “tutore” del protagonista, a Seiren, la classica ragazzaccia tanto in voga nei manga, che vanno a comporre il party su cui ruota sia il tessuto narrativo che, come vedremo, il sistema di combattimento.
    Possiamo subito dire che la storia, così come la caratterizzazione dei personaggi, non mostra davvero nulla di originale, andando ad abbracciare i mille clichè che da sempre troviamo in questo tipo di produzioni: basta dire che il copione, nelle prime ore, ci farà incontrare una fanciulla, Kanan, che scopriremo essere la principessa del regno, desiderosa d’avventura. Per colpa della sua testardaggine ci scontreremo prima con lo zio, lord Arganan, detentore del trono, per finire poi in guai ancora più seri. Anche senza svelare l’intero plot, comunque, avrete capito che ci ritroviamo di fronte una classica storia fantasy da "mille e una notte". Niente di particolarmente interessante, dunque, su questo fronte; senza dubbio era lecito aspettarsi qualcosa in più, se non per quel che riguarda il plot in se, quantomeno per vivacizzare la caratterizzazione dei personaggi.

    Addio Active Time Battle

    Se qualcuno di voi ha seguito gli sviluppi di questo gioco, ricorderà che Sakaguchi affermò che il vero protagonista di questa sua creatura sarebbe stato il battle system, che abbandona il classico sistema a turni per avvicinarsi ad una sorta di mix tra un gioco Bioware, Final Fantasy XII e Gears of War. In pratica al giocatore viene lasciato il comando di un solo personaggio, con gli altri organizzati dall’IA (avanzando si ha la possibilità di scegliere alcune tattiche da impartire al party). L’attacco avviene in modo automatico, e ogni scontro si svolge in zone circoscritte, piene di muri, colonne ed altri ripari, che permettono al giocatore di entrare in copertura, come già citato titolo della Epic. Il risultato è un eccellente sistema di combattimento, frenetico e tattico allo stesso tempo, lontano anni luce dalla lentezza dei classici j-rpg. Ogni gruppo di nemici può essere affrontato in più modi: per esempio usando la forza bruta, oppure nascondendosi ed aggredendolo di soppiatto. O ancora, sfruttando l’ottima interazione ambientale, facendo crollare un ponte che li sovrasta. Insomma le fondamenta del sistema di scontri sono solide quanto mai, e aprono la strada ad un approccio poliedrico e mai privo di soddisfazioni.
    Con il passare dei livelli vengono sbloccate tecniche che impreziosiscono ulteriormente il battle system. Inoltre si incappa spesso e volentieri in scontri con boss di fine livello, numerosi e ben fatti. Recuperando un’impostazione, se vogliamo, “Zeldiana”, ogni boss fight risulta in ultimo appello interessante e capace di divertire anche nel caso dovessimo essere sconfitti mentre osserviamo le curiose routine comportamentali del nemico.
    Insomma, Mistwalker ha realizzato un sistema molto lontano dai propri standard: basti pensare alla staticità di Blue Dragon. Il mix messo in piedi non solo è riuscitissimo, ma strizza l’occhio a molte produzioni occidentali: un fattore che ci fa ben sperare in una possibile uscita almeno in America.

    Tecnicamente

    Anche la realizzazione tecnica denota classe e maestria, e benché sia lontana dagli standard di altri GdR di spicco, ci presenta uno tra i prodotti meglio riusciti sulla console Nintendo, con paesaggi ampi, ricchi e dettagliati, ricolmi di effetti di luce e trasparenze che rendono assolutamente prezioso il colpo d’occhio.
    La città di Ruli, centro urbano centrale dell’isola, si presenta come un borgo medievale vasto, ricco di locande, fontane, persone, guardie, bambini che giocano. Il tutto sovrastato dal castello reale, anch’esso ricco di stanze e luoghi da visitare. Ogni dungeon e luogo presente nell’avventura non fa altro che sottolineare la cura con cui questo titolo è stato realizzato, inondando di dettagli, tocchi di classe e finezze lo sguardo curioso del videoplayer, mai sazio di una così pacata caratterizzazione artistica. L’avanzamento è accompagnato tra l’altro dalle melodie di Mr. Uematsu, anche lui parte del team Square nei tempi d’oro, e come sempre all’altezza delle aspettative. Da sottolineare anche l’intero doppiaggio dei dialoghi (in giapponese), merce rara nelle produzioni Nintendo.
    Uniche note dolenti, alcuni fastidiosi cali di frame-rate che affliggono la versione NTSC, che ci ricordano purtroppo i limiti ormai raggiunti dalla piccola Wii.

    Prima di concludere questo Hands-On, spendiamo qualche riga per parlare di alcuni punti lasciati in sospeso. La longevità appare più che discreta, soprattutto considerando “l’anima action” del gioco: per essere portato a termine, Last Story ha richiesto poco meno di 30 ore. L’avventura, suddivisa in 44 capitoli di cui buona parta opzionali, è quindi sufficientemente articolata per allietare molti pomeriggi.
    Un ultimo accenno alla trama. Se è vero che The Last Story è un titolo incentrato sul gameplay, e che i fatti e i personaggi paiono scontati e quasi banali, bisogna sottolineare la bontà della presentazone globale. Buone scelte di regia ed un discreto peso scenico dei protagonisti, sono sempre qui a ricordarci che oltre all’originalità, è importante la capacità “affabulatoria”, la maestria nel saper raccontare una storia.
    In definitiva, l’ultimo “regalo” del “Sig. Final Fantasy” sembrerebbe un titolo di spessore, capace di abbracciare gusti internazionali, realizzato in maniera eccellente e dotato anche di un comparto online che verrà approfondito in sede di recensione. Speriamo dunque che arrivi anche nel vecchio continente, così da poter apprezzare appieno le tante sfumature di un titolo del genere, confermando o meno le più che positive impressioni della versione giapponese.

    The Last Story In un periodo povero di uscite importanti come questo, risulta davvero difficile immaginare i motivi che possano spingere Nintendo a non voler localizzare un titolo valido come The Last Story, forte di nomi che hanno segnato un’epoca in campo video ludico giapponese, di una struttura solida, e, soprattutto, pieno di classe. Speriamo non rimanga confinato in oriente come l’eccellente Xenoblade, altra perla persa, attualmente, per strada.

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