11-11 Memories Retold: come narrare la poesia della guerra

Abbiamo avuto modo di intervistare Stephen Long ed Ian Sharkley, i due autori da cui ha preso vita il racconto di 11:11 Memories Retold.

11-11 Memories Retold: come narrare la poesia della guerra
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • In uscita il prossimo 9 novembre, 11:11 Memories Retold ci condurrà sui campi di battaglia della Prima Guerra Mondiale, vista attraverso gli occhi di due semplici soldati, Harry e Kurt, appartenenti a fazioni diverse. Lontana dallo scenario dei grandi conflitti, la nuova avventura grafica di Yoan Fanise, autore di quel piccolo gioiello di Valiant Hearts, si prefigge l'arduo compito di raccontare le atrocità della guerra con un'attenzione particolare per l'aspetto più umano ed intimo dell'orrore bellico. Per scoprire in che modo la sceneggiatura proverà a dipingere il lato poetico delle lotte di trincea, abbiamo potuto intervistare Stephen Long ed Ian Sharkley, le due penne da cui ha preso vita questo quadro videoludico: a loro la parola.

    La quotidianità della guerra

    Everyeye.it: Sappiamo che in 11:11 la violenza del conflitto non sarà mai davvero esplicita. In termini di scrittura, quanto è stato difficile rappresentare la brutalità della guerra senza mostrare nemmeno una goccia di sangue?
    Stephen Long: Anzitutto è bene specificare che la violenza non è completamente estranea ad 11:11. Nella maggior parte dei casi non sarà esibita, è vero, ma ci saranno momenti di forte shock emotivo in cui i due protagonisti di troveranno di fronte alla violenza della guerra. Non volevamo ovviamente renderla l'elemento principale del racconto, anche per non fargli perdere forza: se durante una storia sei sempre in diretto contatto con scene violente ed esplicite, finisci per abituarti, smetti di essere ricettivo. Noi abbiamo optato per un altro tipo di esposizione.

    Iain Sharkey: In questo processo ci hanno aiutato anche i ruoli di Harry e Kurt, che non prevedono appunto l'utilizzo di armi. Kurt è un ingegnere, si trova spesso al centro del conflitto ma deve pensare a riparare apparecchiature militari, a trasportare munizioni di grosso calibro. Harry è un fotografo che vuole documentare le gesta dei soldati; entrambi hanno un ruolo molto attivo e presente sul campo di battaglia, ma non prendono parte direttamente al conflitto armato. Alla fine, insomma, la storia si svolge in un mondo violento, ma questa violenza resta sempre sullo sfondo, come una minaccia costante e onnipresente. Più che la violenza, 11:11 si concentra sulla morte che la guerra porta con sé, sempre presente e tangibile.
    Stephen Long: Devo specificare che durante la scrittura della storia non abbiamo mai avvertito questa "distanza" dalla violenza come problematica. Non avevamo bisogno della violenza. Anzi, ci interessava di più raccontare magari la strana "quotidianità" di una guerra molto particolare, in cui i soldati sembravano quasi avere i propri turni lavorativi in trincea. Quella di Harry e Kurt è una storia di umanità, non di violenza.

    Iain Sharkey: Un po' come nei film di zombie. So che è un paragone strano, ma è una cosa a cui abbiamo pensato davvero: nelle storie di zombie, i non-morti non sono mai l'elemento più importante. L'importante è studiare come reagisce l'umanità di fronte ad una situazione di estremo pericolo. Questo concetto si può applicare a tutto il racconto di 11:11 ma anche a singole scene. Spesso facciamo in modo che uno dei personaggi si trovi molto esposto e minacciato, e da qui elaboriamo le sue reazioni.

    Everyeye.it: In 11:11 vi concentrate su un tipo di eroismo più umano e poetico, lontano dai grandi palcoscenici di guerra. Potete spiegarci quindi la vostra visione di "eroismo", che differisce notevolmente da quella messa in scena da molti altri titoli a sfondo bellico, dove si tende a privilegiare il lato più spettacolare e brutale del conflitto?
    Iain Sharkey: Direi che 11:11 è un prodotto che si posiziona completamente agli antipodi rispetto agli sparatutto bellici, che sembrano declinare l'eroismo sulla base di quella che viene chiamata "fantasia di potere". Quei titoli sono pensati per fare in modo che il giocatore si senta forte, che abbia sempre il controllo della situazione, dimostrando doti e capacità che vanno ben oltre quelle di un uomo. È un eroismo irreale proprio perché spesso sovrumano. Noi abbiamo avuto un proposito diverso fin dall'inizio, inseguito da tutti i punti di vista. Tutto il gioco punta in un'altra direzione, dalle fondamenta. Ti basti sapere che nel momento esatto in cui siamo saliti a bordo del progetto, ci è stato detto che uno dei pilastri del design era "no guns, no jumps" (niente armi, niente salti). 11:11 non è un classico gioco d'azione, e anche per questo non insegue la "power fantasy" che invece si trova in altri titoli bellici.

    Everyeye.it: I protagonisti sono seguiti da due animali guida: quanto simbolismo c'è nella trama di 11:11?
    Stephen Long: La bellezza del simbolismo è maggiore quando l'autore non lo articola fino in fondo. Il simbolismo è tanto più potente quanto più è sottile, e per questo abbiamo deciso di non esibire in maniera esplicita la nostra interpretazione. Ovviamente ci sono degli indizi che lasciano intendere che il gatto di Kurt il piccione di Harry siano qualcosa di più che animali da compagnia, ma non imponiamo questa visione all'utente. Diciamo che noi sappiamo quello che rappresentano nella nostra testa, ma altri giocatori potrebbero avere un altro punto di vista, attribuirgli un significato diverso oppure nessun significato nascosto.
    Iain Sharkey: Antony Burgess, del resto, diceva che ogni testo, per essere considerato arte, dev'essere aperto all'interpretazione del lettore, ma contenere sufficienti indizi affinché il lettore comprenda la visione dell'autore. Abbiamo cercato di lavorare seguendo questa filosofia.
    Stephen Long: Un aneddoto interessante, a proposito degli animali, è che ad un certo punto entrambi avevano un nome proprio. Poi abbiamo deciso di rimuoverli, per renderli appunto più simbolici e meno definiti.

    Everyeye.it: Durante l'avventura, le decisioni dell'utente influenzeranno l'andamento della trama in modo molto rilevante. Sappiamo anche che i bivi del racconto non saranno mai semplicemente "giusti" o "sbagliati", ma avranno numerose sfumature morali. Potete parlarci un po' più nel dettaglio del sistema di scelte morali?
    Stephen Long: I meccanismi che regolano l'avanzamento del racconto attribuiscono ad ogni scelta un valore, ben specifico e calcolato, che tuttavia non viene notificato al giocatore. Anzi, l'obiettivo della sceneggiatura è quello di lasciare l'utente in una posizione sempre molto "grigia", dal punto di vista etico. Faccio un esempio abbastanza esplicativo, non è uno spoiler dal momento che avviene in una fase preliminare dell'avventura. Ad un certo punto l'utente, nei panni di Harry, deve servire del vino ad un personaggio. Gli viene chiesto esplicitamente di servire il vino buono. Tuttavia l'avventore in questione è abbastanza sgradevole, e nel caso in cui il giocatore abbia esplorato a sufficienza l'area di gioco, può trovare e versare il vino scadente. Entrambe le soluzioni possono avere una giustificazione morale: da una parte si sceglie di fare il proprio lavoro in maniera irreprensibile, dall'altra invece di "punire" un uomo spiacevole. Siamo convinti che diversi giocatori difenderanno diversi approcci, e questo succederà con tutte le scelte.

    Everyeye.it: In mezzo a tutta questa libertà decisionale concessa al giocatore, c'è un percorso narrativo che voi, come autori della storia, preferite rispetto agli altri?
    Iain Sharkey: Non diremmo che esiste un finale canonico, ma sì, ce n'è uno che rappresenta il nostro finale ideale. Inizialmente ne avevamo scritti molti, circa venticinque finali, poi abbiamo deciso di tagliare: ci sono sette differenti finali, ognuno dei quali può avere piccole variazioni a seconda delle azioni compiute in determinate fasi. Una cosa importante è che non sempre i finali "ricompenseranno" i giocatori per le loro scelte; alle volte la storia si mette di traverso nonostante tu ti impegni al massimo. Anche questa sensazione di scacco è una testimonianza importante, per come la vediamo, magari per qualcuno i finali più "giusti" sono proprio quelli in cui la storia va avanti indipendentemente dagli uomini. Per raccontare una storia di guerra bisogna anche avere il coraggio di accettarlo.

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