Intervista esclusiva a Shinji Mikami: i progetti, le idee, le ambizioni

Abbiamo chiacchierato in esclusiva italiana con Shinji Mikami, una grande icona del settore che ci ha raccontato la sua visione del mondo dei videogiochi.

Intervista esclusiva a Shinji Mikami: i progetti, le idee, le ambizioni
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  • Pc
  • PS5
  • Xbox Series X
  • La nuova opera di Tango Gameworks, team già autore di The Evil Within, è ormai alle porte, e ve ne abbiamo raccontato le nostre impressioni all'interno dell'anteprima di Ghostwire Tokyo. Alla guida dello studio, come in molti sapranno, c'è nientemeno che Shinji Mikami, una delle personalità più di spicco del settore, che per anni ha militato tra le fila di Capcom e ha contribuito alla realizzazione di serie che definire iconiche è un eufemismo (si parla di Resident Evil e Dino Crisis, giusto per nominarne un paio).

    In esclusiva italiana, abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare in sua compagnia, concentrandoci però su argomenti estranei a Ghostwire Tokyo: l'intervista si è focalizzata sulla sua visione dell'industria, sui suoi primi anni nel settore, e sulla sua volontà di creare un ambiente lavorativo che rappresenti una fucina di giovani talenti, inseriti in un contesto produttivo e privo di stress. A tal proposito, accanto a Mikami-san c'era anche Kenji Kimura, game director di Ghostwire: Tokyo che, pur non prendendo parte direttamente alla conversazione, ha scelto di intervenire per specificare un concetto che, a nostro avviso, merita di essere evidenziato. Buona lettura.

    L'industria dei videogiochi secondo Shinji Mikami

    Everyeye.it: Mikami-san, come si sviluppa il processo creativo dei tuoi giochi, e come provi a bilanciare autorialità e originalità?
    Mikami: Sin dalla fase del concept cerco di pensare a svariati aspetti che, simultaneamente, si affollano nella mia mente. Queste idee in fin dei conti sono come prototipi di giochi. È un processo iterativo. Di solito cerco di focalizzarmi sui miei lavori precedenti. In questo modo tendo a ricordarmi gli errori commessi in passato: è una forma di esperienza che mi porta a evitare gli sbagli, e a trovare dei metodi per non ripeterli più.

    Le ispirazioni tendenzialmente provengono dai film, anche se nell'ultimo periodo mi sono appassionato maggiormente alle serie tv, come Squid Game o Il Regista Nudo su Netflix. Per quanto riguarda l'autorialità e l'originalità, ci son tantissimi prodotti là fuori che posseggono queste caratteristiche. Credo che l'unicità sia più una questione intima che celebrale: non può essere spiegata in maniera logica e mentale, ma solo dal punto di vista delle "sensazioni" che provoca.

    Everyeye.it: Come è nata Tango Gameworks, e qual è il meccanismo creativo che ne regola il lavoro? Di solito su quanti progetti il team si concentra contemporaneamente?
    Mikami: Prima della fondazione di Tango Gameworks, stavo finendo di lavorare su Vanquish. E durante lo sviluppo stavo già riflettendo su cosa fare dopo. Del resto non ero un impiegato a tempo pieno in Platinum Games. Ero libero. E allora ho pensato: "sarebbe davvero grandioso, se riuscissi ad aiutare giovani e talentuosi sviluppatori". Così è nata l'idea di uno studio che potesse valorizzare simili talenti e facilitarne il lavoro. Tango Gameworks si basa su questi principi. Non posso dirti su quanti progetti siamo concentrati. Forse ne abbiamo due in cantiere, forse tre...

    Per quanto riguarda l'ideazione, come ho già sottolineato tendo a puntare sui giovani talenti. Quindi gli chiedo spesso di presentarsi al mio tavolo con nuove idee. Dopodiché le valutiamo attentamente e scegliamo quella che ha più potenziale per essere effettivamente realizzata. In seguito ci raduniamo e cerchiamo il modo di svilupparla a dovere. Attualmente, uno dei progetti che stiamo portando avanti è guidato da John Johanas, il game director di The Evil Within 2. Il gioco a cui sta lavorando è però l'esatto opposto di quello che è stato The Evil Within 2 (se volete approfondire, la recensione di The Evil Within 2 è a portata di click).

    Everyeye.it: Sappiamo che uno dei tuoi obiettivi è quello di realizzare un ambiente lavorativo che sia il più sano e produttivo possibile. Come ci riesci?
    Mikami: Sì l'obiettivo è proprio questo. Con l'aiuto del project manager cerchiamo sempre di valutare in anticipo i compiti da portare a termine, e poi consideriamo di conseguenza la capacità dello staff, il numero di sviluppatori a disposizione e persino i talenti e le inclinazioni individuali, ossia in quali aspetti della produzione alcuni membri del team sono più efficienti di altri, così da massimizzare i risultati nella maniera più sana possibile.

    Kimura: Mikami-san ha detto tutto ciò che c'era da dire, ma mi sento di aggiungere che dar forma a un gioco è molto complesso e stancante. Tuttavia il videogioco è per sua natura pensato per essere divertente, e quindi è importante per noi che gli sviluppatori si divertano nel realizzarlo.

    Everyeye.it: In base alla tua esperienza, quali sono le maggiori differenze tra un publisher orientale e uno occidentale?
    Mikami: Dunque, sul piano basilare, i meccanismi di lavoro sono abbastanza simili. A fare la differenza, e non è poco, sono la cultura e il linguaggio. Prendiamo per esempio questa intervista. Tu ed io abbiamo bisogno di un traduttore per comunicare. Senza di lui non potremmo parlare, e di conseguenza ci sarebbero problemi di comprensione reciproca. Sul piano culturale, ti pongo qualche esempio, così da capirci meglio. Partiamo dalla situazione Covid. In Giappone circa due o tre settimane fa i casi erano molto bassi. Sembrava che fosse abbastanza sicuro tornare a lavorare in ufficio.

    Ma lo studio dall'altro lato dell'Oceano doveva essere un punto di riferimento per tutti. Ecco che, dal momento che loro non si sentivano sufficientemente al sicuro, per noi non era giusto ritornare in ufficio in presenza. Un'altra differenza potrebbero essere le agevolazioni per aiutare i dipendenti a pagare le loro case, con una quota per gli affitti inserita come parte del salario. Questo sarebbe accettabile qui in Giappone, ma non all'estero, perché ci sono leggi e costumi diversi. In Giappone tendiamo poi ad assumere gli studenti subito dopo l'università. Il processo di assunzione comincia molto presto, prima di quanto avviene negli Stati Uniti, e questo sarebbe molto strano per un'azienda con sede oltreoceano.

    Il passato e il potenziale futuro

    Everyeye.it: Cosa puoi raccontarci dei tuoi inizi nel mondo videoludico? Come è cominciata la tua carriera nel settore?
    Mikami: Tanto tempo fa, venni a sapere che in un hotel a Osaka Capcom stava organizzando un party dove credevo che avrei trovato cibo gratis. Quindi ci andai. Stavano tutti in piedi, non c'erano posti per sedersi, però effettivamente trovai il cibo gratis. E il resto è storia. Da quel momento in poi non ho mai pensato di passare a un'altra industria. Se ad un certo punto iniziassi a credere di non essere più in grado di realizzare giochi, allora me ne andrei direttamente in pensione.

    Everyeye.it: Disney's Aladdin è stata una delle tue prime opere: cosa puoi dirci sul suo sviluppo?
    Mikami: Un inferno. È stato un inferno. Stavo lavorando a Goof Troop, e mi proposero l'idea di Aladdin, approvata da Disney. "Abbiamo bisogno di un po' d'aiuto", mi dissero. Accettai. E mio malgrado mi resi conto che non c'era neppure un avatar sullo schermo, non c'era nulla che funzionasse davvero.

    Pensavo di dover aiutare solo con qualche problemino. Mi sbagliavo...E inoltre avevamo solo 5 mesi per finirlo. Insomma: tanto lavoro in pochissimo tempo.

    Everyeye.it: Sappiamo che all'inizio della tua carriera c'è stato un profondo periodo di frustrazione che ti ha poi portato all'abbandono di Capcom. Cosa puoi raccontarci in merito?
    Mikami: Durante i primi anni in cui ho lavorato in Capcom, ci sono state alcune volte in cui ho seriamente pensato di andarmene. Circa in tre grandi occasioni. Anzitutto quando ho completato il primo gioco. Avevo lavorato così duramente che ho pensato: "se continuo così, muoio prima di arrivare ai 30 anni". Anche quando venne distribuita la prima PlayStation credetti che fosse il momento giusto per lavorare su altro. Ma in tutti i casi ci fu qualcuno che mi fece cambiare idea, e tra questi c'era anche il mio capo Tokuro Fujiwara. Paradossalmente, quando me ne sono andato davvero è stato in un momento nel quale mi sentivo abbastanza soddisfatto.

    Everyeye.it: A tal proposito, com'è stato lavorare con Tokuro Fujiwara?
    Mikami: Per farti capire il nostro rapporto, c'è questo aneddoto che ti voglio raccontare. Non dormivo da tante notti, perché stavo lavorando al concept di un gioco. La mattina dopo lo portai da lui, che guardò le prime due pagine e disse: "non è divertente". E subito mi chiese di iniziare a sviluppare a un altro concept. Anche se può sembrare il contrario, non è stata un'esperienza negativa: mi ha addestrato molto bene.

    Everyeye.it: The Evil Within è una serie che possiede una lore piuttosto densa. Pensi che sia possibile un suo ritorno? Se non puoi dirci molto, ci basta anche solo un "".
    Mikami (ride): Non ho ancora avuto la possibilità di lavorare a un sequel di The Evil Within, questo perché ora come ora non abbiamo abbastanza membri dello staff liberi per concentrarci sul progetto, dal momento che sono tutti occupati su altre idee. Però se ci fosse l'opportunità, mi piacerebbe farlo.

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