Gamedev.World: il videogioco come ecosistema multiculturale

Al Reboot Develop Blue 2019 abbiamo incontrato Rami Ismail, co-fondatore dello studio Vlambeer e figura di spicco nella scena dello sviluppo indie.

Gamedev.World: il videogioco come ecosistema multiculturale
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Rami Ismail è un personaggio ai limiti dell'incredibile. Con lo studio Vlambeer, fondato assieme a Jan Willem Nijman nel 2010, è salito alla ribalta grazie al successo devastante di Ridicolous Fishing e ad altre perle come Nuclear Throne e Luftrausers, ma il suo nome è sulla bocca di tutti per il suo impegno costante a supporto della comunità degli sviluppatori di videogiochi. Estremamente vocale su mille temi e problematiche, attivissimo nello spingere per la diversità e l'inclusività, creatore di uno strumento fondamentale come presskit(), curatore per alcuni anni dell'evento #1reasontobe e l'elenco potrebbe andare avanti a lungo. Nel 2018, la Game Developers Conference ha voluto riconoscere il suo impegno e i suoi risultati conferendogli l'Ambassador Award ma questo non l'ha certo fatto sentire arrivato e l'attuale impegno sul progetto GameDev.World parla da solo.

A Dubrovnik, durante la fiera Reboot Develop Blue 2019, l'ho incontrato per un'intervista. Quando sono arrivato sul luogo dell'appuntamento, era impegnato a provare il gioco di un team indie e offrire il suo feedback clinico, spietato e costruttivo. I due giovani sviluppatori lo ascoltavano con gli occhi spalancati, colmi di ammirazione e gratitudine. La sua fama tuttavia non gli impedisce di essere estremamente disponibile, spontaneo, ricco di opinioni e cose da raccontare. Siamo andati avanti a chiacchierare per quasi un'ora e la verità è che abbiamo smesso solo perché avevo altri appuntamenti. Abbiamo parlato della sua carriera, del suo impegno per aiutare gli altri, della comunità dei videogiocatori e di altro ancora.

Un mondo multiculturale

Everyeye.it: Come è nata la tua passione per i videogiochi e i computer in generale?
Rami Ismail: Parecchio tempo fa! Il primo videogioco a cui ho giocato si chiamava Gorillas. Mio padre mi aveva comprato un computer quando avevo sei anni, era un PC con MS-DOS. Stiamo parlando dei primi anni Novanta, e avevo solo quel gioco. In realtà, era un tutorial per un linguaggio di programmazione, Qbasic, quindi l'unico modo per avviare il gioco consisteva nel caricare il programma e farlo partire. Me ne resi conto sperimentando: non sapevo l'inglese, perché sono olandese, mezzo olandese e mezzo egiziano, quindi andai avanti per tentativi finché non accadevano delle cose.

E per esempio successe che partì Gorillas. Ero un bambino curioso e a un certo punto decisi che volevo sapere cosa fossero le lettere che apparivano sullo schermo prima dell'avvio. Cambiai il testo del menu principale per fargli visualizzare il mio nome, invece del titolo.

Quindi, sostanzialmente, iniziai a giocare e a sviluppare videogiochi allo stesso momento. Volevo giocare ma volevo anche modificare il codice. Non avevo idea di quel che stavo facendo e ruppi il codice abbastanza in fretta, col risultato che non potevo più giocare. Ma insomma, avevo sei anni e vedere il mio nome sullo schermo, rendermi conto che avevo modificato un videogioco scrivendo alcune parole, fu davvero affascinante, e da quel momento non ho mai smesso. Ho fatto mod per anni, e all'epoca era molto più semplice, perché i file erano sostanzialmente dei testi senza protezioni: nessuno si preoccupava della pirateria. Continuai così fino a quindici o sedici anni, quando incontrai uno sviluppatore da Boise, in Idaho, che lavorava su una serie intitolata The Star Raids 3D: erano dei simulatori spaziali e li sviluppava da solo! Mi colpì molto, anche perché usava lo stesso linguaggio di programmazione che utilizzavo io. Decisi che volevo essere come lui, volevo creare i miei videogiochi. A sedici anni decisi che quello sarebbe stato il mio lavoro.

Everyeye.it: E poi, all'università, hai incontrato l'altra metà di Vlambeer...
Rami Ismail: Sì, incontrai Jan, che non mi piacque da subito. [ride] Entrambi lasciammo l'università, non una grande idea, ma per noi ha funzionato.

Everyeye.it: Ultimamente hai iniziato a puntualizzare che non è una grande idea...
Rami Ismail: Non lo è! Vedi, ho un padre egiziano e una madre olandese. L'Egitto non è un paese ricco e lì la mentalità è chiara, ci sono quattro opzioni nella vita: puoi fare il medico, l'avvocato, l'ingegnere o essere una disgrazia per la tua famiglia. Per mia madre, invece, vale la mentalità olandese: devi fare qualcosa che ami. Quando dissi ai miei genitori che avrei lasciato l'università, mio padre non la prese benissimo, mentre mia madre mi disse "Se ti rende felice... ".

Col senno del poi, è chiaro che ci sono mille modi in cui sarebbe potuta andare male. Nel mio paese, l'Olanda, la sanità pubblica è ottima e lo stato sociale funziona, quindi me la sarei potuta cavare anche se fosse andata male, ma devo accettare il fatto che ormai gente da tutto il mondo presta attenzione a quello che dico. In Olanda, abbandonare l'università non è un'idea terribile; non è comunque una grande scelta, perché il pezzo di carta può avere un gran valore e, tra l'altro, qualche anno dopo mi sono laureato!

E avere una laurea apre parecchie strade, anche solo per viaggiare, in termini di visti, ma anche in ambito lavorativo, per fare consulenze. E per questo mi sono laureato, anche se l'ho fatto con calma. E sono convinto che la mia vita non sarebbe andata allo stesso modo se in quel momento non avessi lasciato l'università. Però, dico che non è una buona idea.

Si sente spesso la stessa storia, no? "Questa e quella persona hanno abbandonato gli studi e fondato una grossa azienda". Le storie che non senti, però, sono quelle delle persone che hanno lasciato gli studi e non hanno combinato nulla, che si sono viste negare tutti i lavori che amavano perché erano prive del pezzo di carta, che hanno vissuto in povertà per il resto della loro vita. Quelle storie non si sentono e ce ne sono molte di più, rispetto a quelle di chi ha mollato l'università e ha trovato il lavoro dei sogni. Per questo, se non fosse parte integrante di come io e Jan siamo finiti a lavorare assieme, non lo direi nemmeno, perché non penso sia una buona storia. È solo una storia vera.

Everyeye.it: Hai accennato al fatto che ora hai raggiunto una certa notorietà e gente da tutto il mondo presta attenzione a quel che dici. Hai usato questa posizione e, in generale, il successo ottenuto coi tuoi giochi come leva per fare cose buone per la comunità degli sviluppatori. È un progetto che avevi in mente di fare fin dall'inizio, da quando sei entrato in questo mondo, o è una decisione che hai preso solo dopo esserti reso conto del potere che improvvisamente avevi ottenuto?
Rami Ismail: Mettiamola così: ho sempre voluto aiutare le persone. Ci sono foto di me da bambino che cerco di insegnare a un altro bambino come si va in bicicletta, perché io ero capace e lui no. Credo sia proprio nel mio DNA l'impeto di provare ad essere d'aiuto. È dove percepisco il valore nell'essere umano, in quante persone riesci ad incoraggiare e a mettere nella posizione di dedicarsi a quello che vogliono fare. Nello specifico del settore, è andata così. All'inizio del nostro percorso, eravamo in Olanda, dove il panorama dei videogiochi è molto piccolo, così come è piccolo quello della stampa.

È un paese da quindici milioni di persone e sono le uniche persone sul pianeta che parlano olandese. Ce ne sono un po' in qualche isola, negli Stati Uniti... in Sud Africa parlano una variante dell'olandese, l'afrikaans, quindi un po' lo capiscono, ma certo non si mettono a leggere i quotidiani olandesi. Insomma, il pubblico è quello dei quindici o venti milioni di persone che vivono in Olanda.

Vuol dire che se riusciamo a far parlare del gioco in un quotidiano olandese, di quei venti milioni, magari cinque leggono il giornale, magari un milione di loro è interessato ai videogiochi, il cinque per cento è interessato ai giochi indie e solo una parte è interessata a quelli che facciamo noi. Quindi, anche se lavorassimo con la stampa nel modo migliore e più efficace possibile, ci sarebbero dei limiti notevoli. Per questo, decidemmo che dovevamo andare a Londra, perché riuscire a far parlare di un nostro gioco sul Guardian o su un sito inglese, forse, ci avrebbe permesso di raggiungere un quantitativo sufficiente di persone. E in questo senso, il fatto di essere apparsi sulla stampa olandese ci aiutò, perché potevamo comunque mostrare che valeva la pena di parlare di noi.

Nel mentre, c'era il fatto che fin da piccolo ho sempre parlato un sacco in pubblico, soprattutto tramite un programma per le scuole superiori chiamato Model United Nations, in cui si simula il lavoro per le Nazioni Unite, ponendoti dei problemi e chiedendoti di trovare la miglior soluzione possibile per il tuo paese. Quindi avevo parecchia pratica, su questo genere di cose. Iniziai a informarmi sulle varie conferenze di settore, pensando che se riuscivo a farmi invitare mi avrebbero magari pagato le spese di viaggio.

Iniziai a farlo in Olanda e un giorno un tizio inglese mi invitò a un evento a Londra, proponendo di pagarmi il viaggio. Andò bene, venni invitato ad altri eventi e presi a organizzarmi per unirne diversi in luoghi vicini, in modo da farmi pagare il viaggio da chi poteva permetterselo e andare poi anche agli altri eventi, che avevano la possibilità di pagarmi solo l'albergo ma erano poco distanti, quindi raggiungibili con voli economici. Aggiungici qualcuno che mi ospitava sul suo divano e i conti tornavano.

Mi ritrovai ad andare dappertutto, proponevo interventi a qualsiasi evento e divenni popolare abbastanza in fretta. Cominciai a ricevere email dall'Indonesia, l'India, rendendomi conto che c'erano veramente sviluppatori di videogiochi dappertutto. Ovviamente, un po' già lo sapevo. Sono mezzo olandese e mezzo egiziano e per tutta la vita avevo visto videogiochi olandesi attorno a me, ma non avevo mai visto giochi egiziani al di fuori del mondo arabo.

Non ne uscivano. Perché? Perché l'alfabeto è quello sbagliato, i criteri dello storytelling sono diversi, la musica si appoggia su ritmi differenti... non è intellegibile dal mondo occidentale, che poi è quello che controlla il pianeta intero, in un certo senso. Però, pensavo: sono tutti delle "persone". Gli egiziani producono cultura, solo che è cultura che l'occidente non trova interessante.

Everyeye.it: O anche solo che l'occidente non sa dove trovare. Non abbiamo neanche modo di scoprire se possa essere interessante per noi.
Rami Ismail: Certo. È il motivo per cui c'è stato un solo premio Nobel per la letteratura arabo. Non perché non scrivano bei libri, ne scrivono di incredibili, ma probabilmente ci saranno solo due persone nella giuria in grado di leggere l'arabo. Ed è difficile valutare davvero un'opera letteraria tradotta. Comunque, iniziai a ricevere queste richieste di intervento a vari eventi, ma quando chiedevo se potevano pagarmi le spese, ricevevo risposte tipo "No, siamo praticamente in quattordici a sviluppare videogiochi, qua, non abbiamo soldi". Ma non potevo permettermelo nemmeno io e mi toccava rifiutare. Poi, nel 2013, pubblicammo Ridiculous Fishing, il nostro primo grande successo.

Avevamo distribuito Super Crate Box, acclamato dalla critica ma diffuso gratuitamente; Serious Sam The Random Encounter era andato bene ma non benissimo; Gun Godz era sostanzialmente un reward su Kickstarter. Ridiculous Fishing fu il nostro primo, vero successo.

Fu la prima volta che facemmo davvero parecchi soldi. Abbastanza per tenere in piedi l'azienda a sufficienza da sviluppare altri giochi. E fu un gran momento, è dove vuoi arrivare: guadagnare quanto basta da poter proseguire. Ma erano molti più soldi del necessario! Quindi andai dal mio co-fondatore e gli chiesi: "È OK se uso una parte di questi soldi per andare in tutti quei luoghi in cui richiedono la mia presenza?" E lui mi rispose "Certo. Che facciamo soldi a fare, se non li usiamo per aiutare la gente?" E insomma, non ci capita spesso di essere d'accordo, ma su questo eravamo totalmente allineati.

Everyeye.it: Non capita spesso in generale di ragionare in quella maniera.
Rami Ismail: Già. La vediamo in maniera simile: vogliamo che le cose vadano bene a tutti. Lui lo applica magari più in piccolo, vuole che si stia bene in un'azienda, in uno studio, mentre io ragiono più in termini di comunità, a livello globale. Ma siamo molto allineati. Crediamo nello sviluppo di videogiochi, ma crediamo anche che la creazione di videogames debba essere una cosa buona per gli sviluppatori. Quindi ho iniziato a farlo. E sono entrato in contatto con tutta questa gente in giro per il mondo, che sviluppa videogiochi in situazioni molto più difficili. Con meno opportunità, meno garanzie di successo, meno abilità, non perché siano sviluppatori peggiori ma a causa di condizioni inferiori.

E ho imparato tantissimo. L'ho fatto per anni e ho trovato grande inspirazione nella perseveranza di cui hanno bisogno. Io sviluppo videogiochi, ed è stato difficile. Ho dovuto convincere i miei genitori che si tratta di un lavoro vero, ho lasciato l'università, ho fondato la mia azienda, ho vissuto con niente per due anni e mezzo, mentre sviluppavamo il nostro primo prodotto. È stata dura. Ma poi vado in giro per il mondo e vedo che hanno una pila di carta che è codice stampato, perché a volte la corrente salta per una settimana. E in quella situazione hai deciso che sviluppare videogiochi era una buona idea? "Eh, ci piace, sviluppare videogiochi", mi dicono. Gli piace molto più che a me! Adoro creare videogiochi, non posso vedermi fare nient'altro, ma se mi ritrovassi regolarmente senza corrente elettrica per una settimana, non so se andrei avanti. Ma queste persone, in Africa, lo fanno!

Everyeye.it: Sì, sono stato agli ultimi due #1reasontobe che hai organizzato e ti riporta coi piedi per terra sentire quelle storie e pensare che tu sei lì, a San Francisco, con le spese pagate...
Rami Ismail: [ride] Eh! Ogni volta che vedo un gioco che arriva da quei territori meno privilegiati, penso allo sforzo che deve avere richiesto ed è un bagno di umiltà. Ogni persona che ha partecipato ai miei #1reasontobe è un miracolo ambulante. È un miracolo non solo che abbiano iniziato a sviluppare videogiochi, ma che siano andati avanti a sufficienza per essere notati da me, che li cerco, riesco a trovarli... è difficile!

Sono difficili da trovare, perché guardo da molto lontano, ed è sorprendentemente difficile trovare singole persone in giro per il mondo che facciano un buon lavoro. Questo non significa che non ce ne siano dappertutto, significa che è arduo trovarle.

Quando viaggio, sto in un paese magari per tre giorni: è poco tempo. Hanno lavorato talmente duro, e forse una persona li noterà. Se sei in Inghilterra, è facile! Vai a un evento per sviluppatori e incontri Mike Bithell o Alexander Sliwinski, gente di Kotaku UK o IGN UK... a quel punto, ottieni visibilità. Fallo in Uruguay! È veramente una botta di umiltà. Io ho solo dovuto prendere un volo per Londra. Fine. Neanche un'ora di aereo. Fine. Quello fece la differenza fra essere isolati in Olanda e ottenere visibilità in tutto il mondo. Cinquantacinque minuti.

Everyeye.it: E l'idea per Gamedev.World viene da qui?
Rami Ismail: In parte, sì. Ci sono due cose. Da un lato, visito tutti questi paesi, incontro queste persone incredibili ma non le vedo mai alla GDC. È frustrante. Ed è una questione di soldi. Anni fa, scrissi un post per il mio blog in cui calcolavo il costo "percepito" di un viaggio alla GDC per i vari paesi del mondo. Non quale sia il prezzo realmente, perché bene o male costa lo stesso da dovunque tu arrivi: devi pagare il volo, l'albergo, il biglietto d'ingresso, eventuali spese legali. Ma ci sono paesi in cui, rapportato al costo della vita, è come se dovessi spendere centotrentamila dollari. Troppo. Nessuno può permetterselo. Poi ci sono i visti d'ingresso, che sono difficili da ottenere, soprattutto ultimamente e se non arrivi da un paese occidentale.

E poi, per trarre qualcosa di buono dalla GDC, devi padroneggiare l'inglese. La stampa inglese mi dice "Mi raccomando, niente errori di battitura nei comunicati stampa" e io do di matto. Come se loro fossero in grado di scrivere bene in francese! Certo, un errore non è il massimo, ma pazienza! Comunque, dicevo, per trarre qualcosa di buono dalla GDC, devi padroneggiare l'inglese. Devi capire cosa dicono nelle conferenze, che hanno spesso un linguaggio molto tecnico; devi essere in grado di fare networking in inglese con dimestichezza; devi essere capace di capire al volo cosa stia accadendo: a volte senti qualcuno che parla di qualcosa e chiedi se puoi unirti. Ed è difficile, se la tua lingua madre è il francese o il vietnamita e il tuo inglese è solo passabile.

Vi racconto un altro aspetto. Sono andato a un evento in Russia, Devcom. Ho tenuto il keynote d'apertura, primo intervento di giornata, la stanza era piena, è stato fantastico. Poi ho iniziato a chiacchierare con varie persone, sono andato avanti un paio d'ore, interagendo con venti persone che volevano parlare, mostrarmi il loro gioco... è sempre bellissimo.

Due ore dopo, mi sono accorto di aver lasciato le cuffie sul palco, sono tornato indietro e non potevo entrare nella stanza, perché c'era una coda da trenta persone ammassate sulla porta. Ho dovuto chiedere a tutti di farmi passare e ho notato un tizio sul palco, mai visto prima, di cui non sapevo nulla. La stanza era piena, c'erano almeno trenta persone in piedi ai lati dei posti a sedere e poi la gente nel corridoio. Ho chiesto cosa stesse succedendo, se era una cerimonia o cos'altro. E mi hanno spiegato che parlava lo sviluppatore di un gioco dal successo mostruoso in Russia. Me l'hanno mostrato, non ne avevo mai sentito parlare. E l'autore stava parlando del processo di design, del mercato russo... avrei voluto ascoltarlo! Ma era in russo. E lui non parla bene inglese.

Ecco, questi due pensieri sono la base da cui è partito il progetto GameDev.World. Da un lato, voglio che le conoscenze della parte di mondo che parla inglese arrivino agli altri, perché per molti versi l'inglese è la lingua franca di quest'epoca. Comunica molto bene in tutto il mondo ed è fra l'altro al centro dello sviluppo di videogiochi. C'è molta conoscenza che è stata formalizzata solo in inglese: teoria del game design, studi accademici... Quindi volevo che parte di quella conoscenza venisse tradotta. Ma voglio anche che la gente si accorga che non è vero! Gli eroi dello sviluppo sono dovunque. Alcuni fra i migliori designer vivono magari in Argentina. Un libro di teoria del game design molto recente è stato scritto in arabo. Alcuni fra i giochi indie più interessanti arrivano dal Giappone, anche se non è una nazione che tradizionalmente abbraccia gli indie: ce ne sono e la loro perseveranza ha generato grandi risultati.

Quindi, GameDev.World non è un evento in cui traduciamo dall'inglese a otto altre lingue: abbiamo preso otto fra le lingue più parlate e scritte al mondo, inglese, francese, spagnolo, portoghese brasiliano, russo, arabo, cinese semplificato e giapponese. Con quelle lingue, copriamo circa il 70% del pianeta. Abbiamo interventi in tutte quelle lingue e verranno tradotti in tutte quelle lingue. Se sei uno sviluppatore spagnolo e vuoi sentire qualcuno che parli di sviluppo della community, puoi trovare molto interessante quel che ha da dire uno sviluppatore russo, che lavora in un ambiente molto più vicino al tuo che a quello statunitense. Lo sviluppo di una comunità africana di lingua francese è molto più interessante per uno sviluppatore sudamericano che per un inglese.

Abbiamo un insieme incredibile di conoscenze sparse per il mondo; io ho avuto il privilegio di viaggiare e incontrare persone che non si incontrano, non si parlano, perché si esprimono con lingue diverse. L'evento si è tenuto per due giorni, dal 21 al 23 giugno: soltanto per due giorni abbiamo voluto infrangere la barriera linguistica e rendere globale l'industria del videogioco.

Everyeye.it: Immagino sia stato una rottura da organizzare...
Rami Ismail: [ride] Non direi rottura, ma certamente è stata una grossa sfida. La parte di traduzione è tosta. Facciamo i sottotitoli, quindi ci serve gente molto veloce a tradurre ma anche a scrivere. Non puoi fare un passaggio intermedio, da francese a inglese e poi da inglese a spagnolo, come si fa spesso nella localizzazione. Devi fare una traduzione diretta, perché ci sono troppe informazioni e troppi termini tecnici.

Ma abbiamo contattato alcune fra le più grosse aziende specializzate in localizzazione e non fanno lavori del genere. Non hanno interpreti, hanno traduttori: dai loro un file excel e te lo traducono. Non sono in grado di tradurre una conversazione al volo. Insomma, ci servivano degli interpreti. Ora, trovarne a sufficienza, per tutte quelle lingue, che siano specializzati in videogiochi è alquanto complesso: non ce ne sono! Allora ho iniziato a contattare le agenzie di interpreti tradizionali, ma tutte mi hanno detto che era un progetto troppo grosso, e non erano in grado di reggerlo.

Pian piano mi sono reso conto che probabilmente GameDev.World è il quinto evento al mondo in termini di utilizzo d'interpreti. Ci sono le Nazioni Unite, l'Unione Europea, gli eventi FIFA ed Eurovision. Quelli sono i quattro eventi più grandi. Ma un evento tradotto fra otto lingue? È una matrice di sessantaquattro. Significa che di base ci servono sessantaquattro interpreti. Che però possono lavorare per due ore, poi hanno bisogno di una pausa.

Quindi ci servono due team da sessantaquattro interpreti. Ma hanno anche bisogno di dormire! Quindi ce ne servono altri sessantaquattro. E quella è solo la parte di traduzione. Ascoltano e parlano, ma non scrivono. Quindi ci serve gente che scriva nelle otto lingue. Ora, i professionisti possono scrivere con una precisione del 99,7%, ma anche loro, dopo un po', hanno bisogno di prendersi una pausa. Quindi ci servono le riserve anche per loro. A tutto questo devi aggiungere che un conto è trovare un interprete dall'inglese al francese, più difficile è trovarlo dal cinese al russo, ancora peggio dal cinese al portoghese. Insomma, è stata una bella sfida.

E questa è solo la parte logistica. Poi c'è tutto il discorso morale ed etico. Far andare tutti d'accordo e far sentire tutti a proprio agio in un contesto del genere non è banale. È facile quando si parla di persone che si assomigliano, ma quando organizzi un evento su scala globale, quando devi fare in modo che un cinese, un americano e un arabo si sentano tutti a proprio agio, non è facile. Se pensi a una nazione come l'Arabia Saudita, in cui c'è segregazione di genere, e a una come gli Stati Uniti, che è molto contraria a quell'idea... o, perlomeno, diciamo che è così relativamente alla scena degli sviluppatori di videogiochi. Si creano dei conflitti. In Arabia Saudita, una visione femminista, progressista, mette tutti assieme nella stessa stanza, uomini e donne. Ma ultimamente, negli USA, si è discusso molto di luoghi sicuri, dell'utilità di avere spazi separati.

È l'esatto opposto. Ora, è un esempio vecchio di qualche anno, le cose sono un po' cambiate, ma l'idea è che la definizione di patriarcato, in quelle due nazioni, è per molti versi opposta. Se un americano va in Arabia Saudita e dice che c'è bisogno di "spazi sicuri", fa la figura di una persona retrograda. Tenere conto di queste differenze su scala globale, parlando al 70% del pianeta, cercando di evitare più problemi culturali possibile, mentre allo stesso tempo vuoi permettere a tutti di essere se stessi, è stato affascinante e molto difficile. I problemi più complessi non riguardavano lo streaming o la traduzione, ma far sentire tutti a proprio agio in uno spazio così globale. E non credo che nessuno l'abbia mai fatto prima. Per alcune di quelle problematiche, francamente, non esiste documentazione. Nessuno ne ha mai scritto, nessuno ha mai affrontato quei problemi, nessuno ha mai dovuto fronteggiarli.

Comunque, penso davvero che GameDev.World possa essere il quinto evento di interpretariato al mondo. Ed è buffo, se consideriamo che a organizzarlo sono solo cinque persone, che credono davvero nella sua necessità, credono davvero che sia il futuro. Siamo nel 2019, non c'è motivo per cui non dovrebbe essere possibile. E onestamente, viene spontaneo pensare che un simile lavoro di traduzione sia molto costoso, ma in termini relativi, valutato su una scala da evento globale, non è poi molto. Per me, singola persona, sono parecchi soldi, ma se fosse necessario, la mia azienda, Vlambeer, che è un semplice studio di sviluppo indipendente, potrebbe coprirne le spese. Ma non è necessario: abbiamo tantissimi sponsor, quindi non serve. Tuttavia non è una cifra impossibile, non è una cosa fuori portata per le più grandi conferenze del settore.

Avere interpreti pronti per permettere alla gente di parlare nella propria lingua non ha un costo proibitivo. Però nessuno lo fa, perché non è richiesto, perché a chi interessa ascoltare uno sviluppatore spagnolo alla GDC? Beh, a me interessa. Gris è il gioco dall'estetica migliore del 2018, ma Conrad Roset non ha un inglese che gli permetta di sentirsi a suo agio sul palco. E allora gli abbiamo dato uno spazio a GameDev.World, perché voglio ascoltare quella storia, voglio sapere da dove arriva quello stile visivo, voglio che mi parli di come il suo background nell'animazione cinematografica ha influenzato il progetto. Ma non lo sentirò mai alla GDC perché non vogliono pagare un interprete. Lo stesso al Rezzed, all'EGX... perché non è una cosa a cui si pensa. Non è che non possano permetterselo, è che non lo prendono nemmeno in considerazione.

Everyeye.it: Beh, magari GameDev.World darà inizio a qualcosa...
Rami Ismail: La speranza è quella. Ho creato una cosa chiamata presskit(), ed è successo per caso. Ho sviluppato uno strumento gratuito che gli sviluppatori possono usare per assemblare dei press kit. Non ci guadagno nulla, non contiene pubblicità, è completamente gratuito, perché credo che il campo da gioco per il marketing dovrebbe mettere tutti sullo stesso piano. Ma soprattutto, l'ho pubblicato gratuitamente perché mi sono reso conto che stavano spuntando un sacco di publisher e tutto quello che facevano era scrivere un comunicato stampa, assemblare un press kit e mandarlo alla stampa. E si facevano pagare il 30% delle vendite, perché gli sviluppatori indie iniziavano a cercare disperatamente visibilità.

Non dovrebbe funzionare così. Se un publisher vuole il 30%, deve guadagnarselo lavorando, e mettere assieme un press kit non è lavoro. Ci vuole tempo, è fastidioso, devi saperlo fare... ma ho pensato che forse ero in grado di standardizzare il processo. Ho deciso di farlo gratuitamente, molto bene e per primo, dato che nessuno l'aveva fatto prima di me. Ho parlato con gli sviluppatori, con la stampa, chiedendo di cosa avessero bisogno, ho messo tutto assieme in un unico sistema e l'ho pubblicato gratuitamente, prima che lo facesse chiunque altro.

Il punto è che se fai una cosa del genere, stabilisci uno standard, perlomeno se riesci a renderla popolare. E se stabilisci uno standard, chiunque voglia fare la stessa cosa e farla pagare deve farla meglio. La speranza, per GameDev.World, è la stessa: saremo i primi, saremo la prima conferenza virtuale multilingua. Ce ne sono state altre, ma tipicamente in una lingua, focalizzate su una nicchia. Noi stiamo facendo una conferenza sullo sviluppo di videogiochi, tutti, non importa se sei tripla A, indie, piccolo, nuovo, studente... non importa. E non importa che lingua parli, se sei in grado di capire una di quelle otto. È gratuita, perché così tutti possono guardare tutto. Ogni singolo intervento sarà disponibile online, trascritto, in una libreria accessibile, mentre per altri eventi ci sono siti privati, pass, abbonamenti. Crediamo che le informazioni debbano essere disponibili per tutti.

Se lavori tanto da diventare uno sviluppatore di videogiochi in un paese che non abbraccia o non capisce quell'attività, ti meriti accesso alla conoscenza. Non deve esserci una barriera aggiuntiva alle tante già esistenti. Infine, voglio assicurarmi che sia un evento bello. Se gli interventi sono interessanti, se le traduzioni funzionano, se stabiliamo uno standard elevato, chiunque voglia organizzare qualcosa del genere facendosi pagare dovrà perlomeno adeguarsi a quello standard. Se vuoi farlo gratuitamente, per beneficenza, sei un piccolo organizzatore di un paese dal mercato ridotto o che so io, puoi fare quello che vuoi. Ma se vuoi farti pagare, devi per forza offrire qualcosa al di sopra dello standard gratuito che abbiamo fissato: otto lingue, valori di produzione elevati, trascrizioni complete, accesso gratuito. Stiamo stabilendo uno standard e lo stiamo fissando il più alto possibile per noi. Magari non sarà ai livelli massimi raggiungibili, specialmente il primo anno, ma continueremo a migliorare.

Everyeye.it: E vedremo come andrà ma, di base, quello che avete pianificato è già parecchio alto, come standard.
Rami Ismail: Sì, molto. E francamente credo che qualsiasi grossa convention potrebbe fare la stessa cosa. Abbiamo trentamila sviluppatori registrati. Più della GDC. Siamo la più grande conferenza al mondo dedicata allo sviluppo di videogiochi. E questo senza aver annunciato un singolo speaker. Abbiamo solo rivelato l'evento. Il livello di interesse è incredibile ed è stato sufficiente a contattare i vari sviluppatori locali. GDC è grande a sufficienza per non averne bisogno. Capiamoci: non ho nulla contro la GDC, è uno fra i miei eventi preferiti dell'anno.

Ma non è abbastanza. Non è giusto. E sto lanciando una sfida a quel modello. Siamo cinque sconosciuti che lanciano una sfida al modello dominante del pianeta. Certo, abbiamo una reputazione nel settore, ma abbiamo zero esperienza nell'organizzazione di questi eventi. Io ho giusto aiutato con la Train Jam e a organizzare l'Indie Megabooth. Fine.

Everyeye.it: La scala è molto diversa.
Rami Ismail: È ridicolo, assurdo. Considerando che si tratta di un primo tentativo, l'ambizione è oscena. E ci ha aiutato una quantità incredibile di gente da tutto il settore. Anzi, ad essere onesti, sai qual è l'aspetto che preferisco? Gli organizzatori di quasi tutti i grandi eventi ci hanno appoggiato! Hanno apprezzato tantissimo, vogliono vedere come va... perché vorrebbero organizzare cose simili, ma è difficile giustificarle alla dirigenza, a chi deve metterci i soldi. Perché? Perché tutti parlano inglese, quindi non serve, giusto? Se invece posso dimostrare che a un evento multilingua parteciperebbe più gente, avrebbero argomenti solidi per supportare lo spagnolo o il portoghese...

In molti pensano che GameDev.World sia un grosso dito medio agli eventi tradizionali ma no, è complementare, è un'aggiunta. Non siamo in competizione, stiamo dimostrando che ci sono i margini per fare molto di più e che potrebbero farlo anche loro. Se la GDC arrivasse in Sud America, se tornasse in Cina, sarei felicissimo, fosse anche solo perché vorrebbe dire far espandere Indiecade al di là di Stati Uniti, Francia e Russia. Magari questi eventi ci facessero concorrenza, non chiedo di meglio! Ma al momento non siamo in competizione. La Devcom russa ci ha supportati appieno, ci ha aiutati a trovare speaker russi tramite il loro network, il che è fantastico. Perché per loro è una cosa positiva, sarebbero contenti di avere altri eventi in Russia. E questo genere di accoglienza mi ha reso felicissimo, perché temevo di dover combattere per convincere sviluppatori, publisher, piattaforme e altri eventi a supportarci, e invece tutti hanno apprezzato all'istante. Non so quando sia avvenuto questo cambio di mentalità, perché ricordo che cinque anni fa la conversazione era molto diversa: mi dicevano ad esempio che "gli arabi non giocano".

Everyeye.it: Sei attivissimo su Twitter. Ogni volta che apro l'app, c'è un tuo tweet in evidenza. [ride] È solo perché ti ci diverti o è una cosa che segui con particolare attenzione perché vuoi dettare la conversazione?
Rami Ismail: Ogni tanto chiedo in DM a chi mi segue perché lo faccia. Credo che la gente apprezzi la mia attività su Twitter perché sono una fonte di notizie abbastanza interessanti e perché offro un punto di vista molto specifico. Probabilmente mi metterò nei guai, dicendo questa cosa, ma non sono un gamer. Gioco ai videogiochi, li adoro, gioco almeno due ore al giorno come regola. So che molti sviluppatori non hanno tempo di giocare ma io me lo impongo. Mi porto dietro Switch e un laptop da gioco. Sto giocando a Sekiro, che amo. Ma il mio è il punto di vista di uno sviluppatore che ha un ruolo molto attivo nella struttura generale di come funziona l'industria, come si evolve... cerco di essere molto coinvolto su quei temi, per aiutare a spingere il settore in una direzione che ritengo positiva per il maggior numero possibile di creativi. Quindi ho una prospettiva molto a volo d'uccello, sono allo stesso tempo in trincea e in volo. È un miscuglio strano, perché non puoi essere davvero entrambe le cose e infatti passo di qua e di là.

Le notizie che trovo interessanti sono un mix bizzarro di cose a cui la gente non presta molta attenzione. Seguo i movimenti di borsa, perché indicano dove il settore ripone la sua fiducia. Un sacco di gente non se ne interessa, e ne ha tutto il diritto. A me incuriosisce la diversità, l'inclusività, il game design, la programmazione... ho interessi molto variegati, riguardo al settore dei videogiochi. E apparentemente, quel che trovo stimolante viene apprezzato anche da parecchia altra gente, quindi lo twitto o ritwitto un sacco di roba. Troppa. C'è gente che smette di seguirmi a causa del volume. È parte del bello della piattaforma: puoi seguire quanta gente vuoi. Il brutto è che chiunque può scriverti, anche se non lo segui.

Twitter può essere un luogo incredibilmente tossico e rischioso e io sono diventato uno sviluppatore indipendente perché mi piace dire quel che mi pare. Mano a mano che sono aumentate la mia responsabilità nel settore e la mia capacità di raggiungere persone, ho cercato di stare attento a formulare il mio pensiero in modo da comunicare al meglio ciò che voglio dire. E mi capita comunque di sbagliare... ho fatto una battuta molto infelice sulla foto del buco nero: mi ha fatto pensare a quando da bambino, con Photoshop, cliccavo su "render clouds" e poi pasticciavo coi livelli e venivano fuori immagini identiche a quella. L'ho scritto su Twitter e mi hanno fatto notare che stavo insultando un lavoro da migliaia di ore da parte di scienziati bravissimi. Beh, avevano ragione e ho cancellato il tweet. Di solito non lo faccio ma, allargando il contesto, mi sono reso conto che c'era parecchia gente che faceva battute simili, ma in maniera non sarcastica. Io volevo scherzare, pur riconoscendo che incredibile traguardo fosse, ma quelle persone volevano sminuire il lavoro sostenendo che era una fesseria riproducibile in pochi secondi su Photoshop. A causa di quel contesto, ho cancellato il tweet, cosa che di solito non faccio, perché credo che dagli errori commessi pubblicamente si debba imparare.

In generale, sono cresciuto in maniera pubblica. Ho iniziato a usare Twitter a vent'anni, quando ho fondato Vlambeer, e la mia carriera è stata interamente pubblica: i miei errori, i miei casini, tutte le volte che ho offeso qualcuno e quelle in cui mi sono scusato... tutto pubblico. Non voglio dire che sia confortevole, ma credo sia un ottimo modo per tenere i piedi per terra. Ed è una bella cartina al tornasole su quanto sto facendo bene. Se i supporter del gamergate, la gente sempre arrabbiata su Twitter, quelli che dicono di fregarsene degli sviluppatori mi urlano addosso, probabilmente sto facendo la cosa giusta. Se i piccoli sviluppatori, quelli più sperimentali, ma anche le grandi organizzazioni che mandano avanti il settore conversano con me e mi supportano, probabilmente sto lavorando bene. Se le due cose si invertono, sto sbagliando qualcosa.

Lo dicevo all'inizio: fin da bambino, sono sempre stato quello che voleva aiutare l'amico ad andare in bicicletta. E il modo migliore per capire se lo stai aiutando è guardarlo andare in bicicletta. Il modo migliore per seguire la conversazione sul settore dei videogiochi, al momento, è Twitter. Anche se ne è una parte piccola, perché per esempio molti tripla A non sono su Twitter. Ciononostante, per seguire il videogioco come istituzione globale, Twitter è il luogo migliore. E fino a che sarà così, continuerò a usarlo moltissimo.

Everyeye.it: E chiaramente, come dicevi, su Twitter ti becchi un sacco di rabbia... ma perché? Magari è un pensiero ingenuo ma la comunità dei videogiocatori è nata da una nicchia, verrebbe da immaginarteli aperti e invece c'è così tanta misoginia, tanto razzismo...
Rami Ismail: Credo che stiano accadendo alcune cose. Quando ti senti minacciato, attacchi. È un tratto dell'umanità: la cosa più pericolosa al mondo è un animale messo all'angolo. La comunità dei videogiocatori è un gruppo in larghissima misura molto positivo. Vado al PAX e incontro migliaia di giocatori, tutte persone fantastiche, positive, che vogliono giocare e amano i videogiochi. Viaggio in giro per il mondo e a tutte le fiere è così. I giocatori amano i videogiochi, amano il medium, amano la gente che ci lavora, amano le persone che creano queste esperienze per loro. Ci sono però molti equivoci su come si sviluppano i videogiochi ed è un nostro errore, come industria. Per decenni abbiamo detto alla gente che sapevamo perfettamente quel che stavamo facendo. Ma la realtà è che non c'è un singolo sviluppatore al mondo che sappia cosa sta facendo. Se lo sapessimo, non sarebbe interessante! Siamo creativi, se sapessimo esattamente che quadro stiamo per dipingere, non lo dipingeremmo. Perché sappiamo come si fa, conosciamo la tecnica, e finiremmo per avere un quadro uguale a uno già esistente. Ma non funziona così.

Anche le serie di giochi che in tanti definiscono derivative, tipo i Call of Duty o i Battlefield, hanno alcuni fra i design e le esperienze narrative più interessanti che ci siano al mondo. Non sono solo "un altro sparatutto". La gente prende in giro FIFA dicendo che è lo stesso gioco tutti gli anni ma la mole di lavoro e di potenza di calcolo investiti unicamente nella palla di un FIFA è superiore a qualsiasi gioco io abbia mai sviluppato. Il team che se ne occupa fa un lavoro sulla fisica più interessante di qualsiasi cosa io abbia mai fatto. E io ho avuto una bella carriera, fino a qui. In che modo la palla rimane attaccata al piede? Rimane effettivamente attaccata al piede? Se non rimane attaccata, cosa succede quando il giocatore cambia direzione e la palla non è vicina al piede? La perdo? Ed è divertente? Ogni anno tornano su questo aspetto, fanno playtesting. e per me è una gioia giocarci, analizzarlo, capire cosa abbiano cambiato. Anche perché non possono cambiare poi molto rispetto al gioco del calcio, devono rimanere fedeli. Ma tutte quelle piccole cose sono affascinantissime. La ritengo una fra le serie più interessanti che ci siano.

Ma non abbiamo mai insegnato queste cose ai giocatori. Ci limitiamo a dire "Sappiamo quello che facciamo. Siamo perfetti. Non sbagliamo". E la verità è che attualmente l'industria è allo sbando. Non sappiamo cosa stiamo facendo. Non sappiamo nemmeno come fare soldi! È per questo che si vedono tutti quegli esperimenti: abbiamo provato coi DLC, la gente li ha odiati perché si parlava di contenuti tagliati dal gioco principale e abbiamo smesso; siamo passati ai Season Pass, creare contenuti sulla lunga distanza e garantirli a chi ha pagato per il pass, che era un concetto già vicino ai giochi come servizio ed è stato apprezzato; poi si è passati appunto ai servizi "live", su mobile, che hanno iniziato a fare molti più soldi dei giochi tripla A, i quali hanno provato a riprodurre il concetto, con le microtransazioni.

E onestamente, la maggior parte degli studi tripla A non ha la minima esperienza in quell'ambito. Se guardi giochi come Anthem o Destiny, è chiaro che stanno sperimentando in corsa, non hanno lanciato le produzioni nelle migliori condizioni possibili perché non sapevano nemmeno quali fossero. Andiamo per tentativi, è la verità. Non lo sappiamo. Io non sapevo come fare un gioco in cui peschi usando un mitragliatore. Non c'è un libro che ti spiega come fare. Siamo sperimentatori, siamo creativi, stiamo dipingendo e il dipinto potrebbe alzarsi e andarsene, perché sono computer e sono bizzarri. Il mercato potrebbe cambiare. Non abbiamo idea. Andiamo a tentoni.

Il problema è che se commettiamo un errore la gente pensa che l'abbiamo fatto intenzionalmente, perché abbiamo insegnato loro che siamo perfetti. È colpa nostra e dobbiamo fare un lavoro migliore nel comunicare quante poche certezze abbiamo, il fatto che non conosciamo le risposte e che stiamo... provando. Va detto, però, che secondo me siamo migliorati molto nella gestione delle community: comunichiamo meglio con la gente, siamo più aperti e genuini, abbiamo smesso di limitarci ai comunicati stampa. Il messaggio, ora, è "Vi ascoltiamo, riceviamo il vostro feedback, ne teniamo conto. Non possiamo garantire modifiche, ma vi ascoltiamo." Possono sembrare dichiarazioni da PR ma, in tutta onestà, quello è sviluppare videogiochi. Ascolti il feedback, lo filtri attraverso le tue intenzioni, i tuoi obiettivi, e ne viene fuori una soluzione, che molto spesso è diversa da quello che la gente si aspetta. Anche quello è sviluppare videogiochi.

Infine, ci sono gli stronzi. E onestamente, sono pochi ma rumorosi. Però, sono rumorosi per un motivo: si stanno estinguendo. Come medium, siamo più solidali, inclusivi, accessibili, diversi, attenti a cose come le disabilità, la nazionalità, la lingua, il livello di abilità. Ci sono più giochi che mai, più generi che mai, più rappresentazioni diverse della vita... Provare a recitare il ruolo del videogiocatore arrabbiato che urla verso tutto e protegge la sua nicchia di cultura nerd è una cosa finita. Non sopravvivrà. Continueranno a urlare, fino a che saranno in giro, coinvolgeranno altre persone, altri ragazzini, che li seguiranno, ma poi cresceranno e il settore dei videogiochi diventerà sempre più normale. Quello diventerà lo stato delle cose. Non ho dubbi, al riguardo. Onestamente, in un certo senso, tutto quel modo di fare, quella rabbia che vediamo attualmente nella comunità dei videogiocatori, potrebbe essere una cosa buona. Potrebbero essere gli ultimi rantoli, forse sanno che è finita e che i videogiochi sono per tutti.

Poi, attenzione, ci sono conversazioni che è giusto avere. Non voglio sminuire tutte le reazioni che si vedono perché ci sono discussioni importanti. Si è parlato tanto di Sekiro e di difficoltà, ed è un tema molto importante, a cui la gente si appassiona. Però, si sta capendo sempre di più che "passione" e "comportarsi da stronzi" sono due cose diverse. La gente adora i videogiochi ed esprime il suo amore attraverso il cosplay: quella è passione. La gente adora i videogiochi e urla a uno sviluppatore perché ha cambiato un'arma: quello è essere stronzi. È molto semplice: ami una cosa e sei in disaccordo? Dillo allo sviluppatore! Se mille persone dicono di non apprezzare una modifica a un'arma, lo sviluppatore prende nota. Se mille persone minacciano di morte la sua famiglia a causa di quella modifica... Non si fa! Lui prende nota comunque, eh, ma non è che non veda il resto!

Noi sviluppatori siamo ossessivi, teniamo a quello che facciamo (e dobbiamo gestirci meglio anche in quel senso), leggiamo ogni commento, vediamo tutti i video. Davvero! E ogni singola recensione fa male, perché il gioco è il nostro bambino per due o tre anni. La gente che dice "Gli sviluppatori se ne fregano!" non ha capito nulla: non c'è un singolo sviluppatore al mondo che se ne freghi. Se uno sviluppatore se ne frega, va a lavorare per IBM. Se sei un programmatore, vai a lavorare in banca. Fai il triplo dei soldi e hai un posto garantito (e anche questo aspetto dobbiamo gestirlo meglio)! Sei un grafico? Vai a lavorare per un architetto. Musicista? C'è il cinema! Ci sono milioni di lavori con cui si guadagna meglio: se lavori nei videogiochi è perché ci tieni. Non c'è altro motivo, perché si tratta di una pessima idea. E, ripeto, dobbiamo davvero sistemare questo aspetto.