Parla Christian Cantamessa: una carriera tra Red Dead Redemption e Tolkien

In occasione del suo intervento durante la mostra "Play. Videogiochi, Arte e oltre" abbiamo potuto scambiare quattro chiacchiere con Christian Cantamessa.

Parla Christian Cantamessa: una carriera tra Red Dead Redemption e Tolkien
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  • PS4
  • Switch
  • PS4 Pro
  • Per gli appassionati di videogiochi il nome di Christian Cantamessa è sinonimo di leggenda: parliamo di un celebre sceneggiatore e regista, noto per aver scritto le storie di Manhunt e soprattutto Red Dead Redemption, come pure del primo capitolo de La Terra di Mezzo di Warner Bros Games. In attesa di scoprire quali saranno i suoi prossimi lavori, abbiamo avuto l'immenso piacere di scambiare quattro chiacchiere con Cantamessa in occasione del suo intervento a Play. Videogame, Arte e oltre in scena alla Reggia di Venaria il 28 settembre, con una discussione su cinema e videogiochi in compagnia di Steve Della Casa. È dunque con grande emozione che vi riportiamo la nostra intervista ad uno degli autori più talentuosi e apprezzati dell'industria videoludica. Buona lettura!

    Un autore tra cinema e videogiochi

    Everyeye.it: Ciao Christian, che piacere! Grazie per il tuo tempo. Anzitutto mi piacerebbe partire dagli spunti più recenti, ovvero dal tuo rapporto con il cinema e dal legame che il grande schermo condivide ormai da tempo con i videogiochi. A che punto siamo arrivati, a tuo parere? E quali sono le differenze tra scrivere un film e scrivere un videogioco?

    Christian Cantamessa: Ciao, piacere mio! È una gran bella domanda, cercherò di essere breve. Stiamo vivendo indubbiamente un periodo di forte convergenza tra il mondo dei videogiochi e quello del cinema e della televisione, in particolare con quest'ultimo. Forse perché le storie narrate nei videogiochi, che sono così immersive e spesso lunghe - che coprono molto spazio anche fisico - si prestano molto bene alla serializzazione televisiva.

    Devo però dire che film come Uncharted (recuperate la nostra recensione di Uncharted per saperne di più) iniziano a trattare la materia videoludica con una certa conoscenza di causa che prima mancava...

    Everyeye.it: E più rispetto, anche...

    Christian Cantamessa: Non so se rispetto sia il termine giusto, ma lavorando in entrambi i settori ho notato che sempre più produttori ed esecutivi, ma anche registi e scrittori, sono anche videogiocatori appassionati ormai, che conoscono il linguaggio del mezzo di comunicazione. Capiscono meglio le meccaniche, cosa piace e cosa non piace. È un processo di adattamento, devi scegliere le cose da prendere e decidere come trattarle.

    Notando questo si capisce perché, di recente, film e serie TV tratti da videogame sono realizzati meglio. D'altro canto c'è da aggiungere che i videogiochi si sono sempre ispirati al mondo del cinema. Tanto per citarne uno, io ho lavorato ad un certo western che ha preso tanto dal grande schermo...

    Everyeye.it: ... e non ti ringrazieremo mai abbastanza per averlo fatto, se parli di Red Dead Redempion!

    Christian Cantamessa: Beh, grazie a voi per averci giocato! Tornando a noi, viceversa oggi è anche il cinema ad ispirarsi al linguaggio videoludico. Noto sempre più spesso che, anche quando non prende a modello una licenza specifica, il cinema comincia ad assorbire alcune idee del mondo dei videogiochi. Ti faccio un esempio: nel campo televisivo, di recente ha avuto molto successo una serie televisiva di Netflix, Russian Dolls.

    Qui addirittura la protagonista lavora nel campo dei videogiochi e la prima stagione - su ammissione degli stessi creatori - ha preso a modello alcune dinamiche molto note ai gamer, ad esempio il ciclo morte-rinascita, o il sentirsi frustrati dopo una sconfitta pur avendo imparato qualcosa di nuovo.

    Everyeye.it: Senza contare che sempre più creativi sconfinano dai videogiochi al cinema o alla TV. Pensiamo a Neil Druckmann che sta lavorando con HBO... a proposito, hai visto il trailer di The Last of Us?

    Christian Cantamessa: Sì, l'ho visto. Sono un grande fan di tutto il franchise di TLOU e sono anche un fan di Neil Druckmann. Posso capire che a qualcuno non siano piaciute le scelte compiute dal secondo capitolo, ma trovo che i suoi siano lavori intelligenti, bellissimi, molto profondi, ma anche estremamente divertenti e coinvolgenti da giocare.

    Ho amato il trailer e ho aspettative davvero alte per la serie, anche perché raramente HBO sbaglia. Penso ancora a I Soprano... in ogni caso, l'eventuale successo della serie TV di The Last of Us, così come il successo del film di Uncharted farebbero bene a tutti.

    Everyeye.it: C'è un videogioco in particolare che vorresti veder riadattato al cinema o in televisione, o che magari vorresti scrivere tu? Inoltre hai mai pensato di scrivere per la TV?

    Christian Cantamessa: Domanda non facile, anche perché finiamo nel mio gusto personale, che potrebbe non incontrare il favore del grande pubblico. I giochi da cui potrebbero essere tratti un buon film o una buona serie sono davvero tantissimi, e ovviamente non menzionerò quelli già in produzione. A tal proposito, sono davvero eccitato per la serie TV di Fallout, perché ho saputo che dietro il progetto ci sono gli stessi autori di Westworld, e credo che il loro stile si adatti perfettamente al franchise su cui stanno lavorando.

    Tornando alle mie scelte, ti dico che a me è piaciuto moltissimo un indie intitolato Kentucky Route Zero (eccovi la nostra recensione di Kentucky Route Zero, in caso vogliate scoprire di cosa parla Christian.). Sarebbe davvero interessante vederlo trasposto su grande o piccolo schermo, il concept (un autista a bordo di un caravan in un mondo à la David Lynch) è piuttosto semplice in fondo, ma la storia è davvero misteriosa ed accattivante.

    Se dovessi guardare molto indietro, invece... bisognerebbe fare il film di The Secret of Monkey Island. Certo, abbiamo avuto Pirati dei Caraibi, che condivide con Monkey Island un rapporto di ispirazione reciproca (la saga cinematografica richiama molto le atmosfere del gioco e lo stesso Gilbert ha sempre ammesso di aver preso a modello l'attrazione Disney).

    Ciò non toglie che Guybrush Threepwood sia un protagonista molto diverso da Jack Sparrow e che meriterebbe di approdare al cinema. Infine, guardando al finale del secondo capitolo di Monkey Island, subentrerebbe una componente metacinematografica davvero interessante da proporre sul grande schermo. A tal proposito, ti do un piccolo "scoop"... anni fa avrei voluto realizzare un cortometraggio partendo proprio dal finale di Monkey Island e ambientato nel mondo reale. Temo però che avrei fatto infuriare Lucasarts...

    Una carriera nel segno di Rockstar

    Everyeye.it: Hai parlato di giochi con protagonisti alla guida, allora ti chiedo com'è stato scrivere The Crew. Come ci si approccia alla sceneggiatura di un racing game, sia pure arcade e open world come il titolo Ubisoft?

    Christian Cantamessa: Ogni progetto ha le sue necessità. In passato ho lavorato anche a Forza Horizon, benché in misura minore, più come consulente che come scrittore. Da una parte esistono giochi in cui la storia è soltanto un contesto, in The Crew la trama serve per posizionarti nel mondo e darti un percorso narrativo che ti guidi attraverso le tappe del mondo che devi esplorare, ma le star alla fine sono le automobili.

    In giochi come L'Ombra di Mordor, invece, la situazione è un pelino diversa, specie perché - come nel caso de La Terra di Mezzo - hai alle spalle un mostro sacro come Tolkien che merita soltanto rispetto. Sono semplicemente modi diversi di fare la stessa cosa.

    Everyeye.it: Impossibile allora non parlare de La Terra di Mezzo. Sappiamo bene, soprattutto di recente, quanto i fan più puristi di Tolkien siano estremamente esigenti e spesso persino intransigenti. Hai avuto un po' di timore quando hai iniziato a scrivere Shadow of Mordor?

    Christian Cantamessa: Quando Warner Bros mi ha contattato per scrivere il gioco il primo acchito è stato quello di un sogno diventato realtà. Da ragazzino leggevo Tolkien e giocavo a Dungeons & Dragons come tanti miei coetanei. Poi è subentrato l'onore di poter lavorare a qualcosa che ha fatto parte dei primi passi che ho compiuto nell'ambito dei miei interessi. Ma subito dopo è arrivata l'ansia, ero terrorizzato. Da fan, l'ultima cosa che volevo fare era creare qualcosa di brutto che facesse rivoltare Tolkien nella tomba. C'è stata dunque tanta esitazione per la paura di non fare un buon lavoro.

    Comunque ho studiato molto. Ho riletto i libri, ho osservato attentamente gli adattamenti cinematografici e ho analizzato moltissimi scritti di Tolkien. Leggendoli mi è sembrato di capire che sembrava aperto all'idea che altri si inserissero con altri stili di lavoro all'interno della sua opera. Ho approcciato il mio lavoro, comunque, con grande rispetto, perché è come entrare in casa di qualcuno per donargli un oggetto, ma quell'oggetto dovrebbe anche rispecchiare i gusti del padrone di casa per potersi adattare all'arredamento.

    Everyeye.it: Cosa ne pensi allora de Gli Anelli del Potere?

    Christian Cantamessa: Mi sta piacendo moltissimo. Capisco che ci siano pareri contrastanti, ma lo sto adorando. Mi piacciono in particolare alcune scelte che hanno fatto perché si sono basati sullo stesso materiale che ho letto anch'io. È un piacere vedere alcuni personaggi che mi ero solo immaginato durante la lettura prendere vita in questo modo. Inoltre trovo che le decisioni che Amazon ha preso sul tema dell'inclusione siano molto interessanti.

    Possiamo parlare finché vogliamo delle radici genealogiche di elfi e nani secondo Tolkien, ma credo sia anche giusto coinvolgere il pubblico del ventunesimo secolo in queste storie. Lo ripeto: credo fermamente che Tolkien l'avrebbe voluto.

    E poi la qualità della produzione è altissima. È impossibile per me guardare la serie senza lasciarmi trasportare nella Terra di Mezzo. Inoltre, conoscendo le appendici, credo anche di aver capito dove voglia andare a parare con alcuni personaggi. Ma questa è un'altra storia, non voglio rovinarvi la sorpresa...

    Everyeye.it: Sei stato protagonista della fase più "matura" di Rockstar. Da Manhunt, opera indubbiamente molto più dark dei vari GTA, fino a Red Dead Redemption, ben più intenso da un punto di vista della drammaturgia. Come ti sei approcciato ad una filosofia narrativa del genere?

    Christian Cantamessa: Anche questa non è una risposta facile. Quando inizio a lavorare su una sceneggiatura originale il mio approccio è scrivere una storia che mi permetta di dire qualcosa. Non parto con l'intenzione di raccontare dei temi specifici, quello magari arriva dopo. Personalmente, nel tempo, ho trovato anche svariati punti di contatto tra i vari personaggi che ho scritto.

    Ad esempio ho notato di recente che James Earl Cash e John Marston sono entrambi uomini alla fine della loro vita non fisica: il primo tenta di ricostruire la propria esistenza dopo aver elargito morte, il secondo affronta la fine del West di Frontiera e il declino della figura del cowboy tornando alle sue radici e dando la caccia ai suoi vecchi compagni, con cui ha intenzione di tagliare tutti i ponti. Perché, alla fine, il passato non potremo mai lasciarcelo davvero alle spalle.

    Everyeye.it: Mi racconti quali sono state le tue ispirazioni cinematografiche per Red Dead Redemption?

    Christian Cantamessa: RDR è stato il frutto di una scrittura corale con Rockstar. Le ispirazioni iniziali per me sono state anzitutto Il mucchio selvaggio di Sam Peckinpah. È un western revisionista degli anni '70 in cui viene raccontata la demistificazione del cowboy e del West. Se invece dovessi citare ispirazioni più recenti ho pensato a La proposta del 2005, un western australiano di John Hillcoat. E poi Il petroliere di Paul Thomas Anderson, che potrebbe non sembrare un western, ma per me lo è eccome. Sono un amante delle declinazioni più moderne del genere, che non si perdono nella nostalgia ma piuttosto tentano di decostruire il proprio immaginario.

    Everyeye.it: Come pensi sia cambiata Rockstar dagli albori ad oggi?

    Christian Cantamessa: Non lavoro più con Rockstar sin dai tempi del primo Red Dead, quindi ormai sono parecchi anni. Posso risponderti da fan, cosa che sono sempre stato. Ho lavorato in Rockstar per tantissimo tempo però, credo che come azienda sia composta da persone davvero capaci di creare qualcosa che conta, di incredibilmente originale, quasi impossibile sul piano tecnologico e con il coraggio di farlo. Prima dell'uscita di GTA 3 c'era molto scetticismo sul fatto che un gioco del genere potesse esistere, e alla fine c'è stato.

    Credo che Rockstar abbia contribuito considerevolmente ad elevare il videogioco dalla nicchia alla cultura pop. Questo approccio non credo sia cambiato tuttora e non credo cambierà mai, perché lo spirito guida che muove tanti amici che ancora lavorano tra quelle mura. Credo che Red Dead Redemption 2 abbia messo in chiaro il loro mantra: creare un trend piuttosto che seguirlo. Attendo tantissimo GTA 6 e non vedo l'ora di giocarlo. Certo, quando ero loro dipendente li ottenevo gratis, ora mi tocca comprarli...

    Everyeye.it: Prima di salutarci, quali sono i tuoi progetti imminenti e futuri? Continuerai a scrivere videogiochi?

    Christian Cantamessa: Sto lavorando con The Initiative di Microsoft al reboot di Perfect Dark. Peraltro dovreste aver avuto un assaggio in un trailer pubblicato un po' di tempo fa ai The Game Awards, che ho diretto io stesso.

    Per quanto riguarda cinema e televisione, al momento sto scrivendo dei progetti originali per la TV di cui non posso ancora discutere. Inoltre sto lavorando ad un progetto cinematografico indie, rimasto a lungo in cantiere a causa del Covid.

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