The Last of Us Parte 1: intervista esclusiva a Naughty Dog sul remake

Abbiamo intervistato in esclusiva italiana il creative director e il game director di The Last of Us Parte 1 per PS5 e PC: ecco cosa ci hanno raccontato.

The Last of Us Parte 1: intervista esclusiva
Intervista: PlayStation 5
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  • Pc
  • PS5
  • Nella nostra recensione di The Last of Us Parte 1 ci siamo già interrogati sul concetto di Remake e vi abbiamo raccontato le nostre impressioni circa le aggiunte e le modifiche apportate al gameplay della versione originale. Molte parole sono già state spese su questa riedizione, sia da parte del pubblico che della critica, tuttavia crediamo che ascoltare direttamente il punto di vista degli autori sia un valore aggiunto di cui non vogliamo privarci. In esclusiva italiana, abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con il creative director Shaun Escayg e il game director Matthew Gallant: i due sviluppatori erano un fiume in piena di gestualità, sorrisi e descrizioni strabordanti di amore per la loro creatura. Una loquacità passionale che speriamo possa soddisfare alcune vostre curiosità sul remake di The Last of Us. Senza ulteriori indugi, che parlino gli autori.

    Il concetto di Remake e l'intelligenza artificiale

    Everyeye.it: Vorrei concentrarmi sul concetto di Remake come inteso da Naughty Dog: cosa significa per il team ricreare un titolo così autoriale senza fargli perdere la sua personalità distintiva?

    Shaun Escayg: Per noi, The Last of Us Parte 1 è una lettera d'amore ai fan e al franchise. Come team abbiamo posto una notevole pressione su di noi, nel tentativo di ricreare quello che è considerato uno dei più grandi giochi mai realizzati.

    C'era un forte senso di responsabilità che gravava sulle nostre spalle. Volevamo mantenere l'essenza del titolo originale, e focalizzare le nostre risorse nel compiere scelte ben ponderate, precisi miglioramenti volti a mantenere il nucleo dell'esperienza di partenza. Era importante per noi che i fan potessero giocare Parte 1 e Parte 2 in continuità, senza troppi margini di differenza in termini di fedeltà visiva o di divario tecnologico.

    Ed era anche importante per noi espandere le feature sull'accessibilità, per fare in modo che tutti potessero giocare alla produzione. Ecco questi sono stati i nostri pilastri fondanti da cui poi è stato eretto il remake. Migliorare e cambiare, sì, ma rimanendo fedeli all'originale.

    Matthew Gallant: Molte persone che hanno lavorato sulla riedizione sono le stesse che facevano parte del team durante lo sviluppo del primo The Last of Us. Ed è stato entusiasmante osservare il tutto nove anni dopo, con l'esperienza accumulata e senza i limiti dell'hardware PS3.

    Inoltre, altri autori del remake sono entrati a far parte di Naughty Dog proprio grazie al gioco originale. E anche per loro è stato molto elettrizzante poter onorare l'opera di partenza, senza snaturarla, per renderla la migliore versione possibile.

    Everyeye.it: Focalizziamoci sul gameplay e sull'intelligenza artificiale. Quella proposta in Parte 1 è una sorta di punto intermedio tra le esigenze del level design dell'originale e i traguardi raggiunti in Parte 2? Anche l'assenza di possibilità di gameplay presenti nel sequel è strettamente connessa alle regole del game design del primo capitolo?

    Matthew Gallant: No, non è un punto intermedio: è l'engine della IA utilizzata in Parte 2 e inserita all'interno dell'ecosistema ludico del primo The Last of Us. Gli incontri del gioco originale per quanto mi riguarda erano già decisamente ottimi, e non abbiamo mai pensato che ci fosse uno scontro palesemente mal realizzato.

    Non abbiamo quindi mai sentito la necessità di ricreare tutto dalle fondamenta. Prendiamo ad esempio lo scontro a Pittsburgh, nello store, subito dopo l'incidente: è iconico, e funziona ancora alla grande, per il modo in cui i personaggi si muovono nello spazio e vanno alla ricerca dei protagonisti. La nuova IA che abbiamo introdotto ha reso tutto più dinamico.

    Il modo in cui l'intelligenza artificiale reagiva, al tempo del primo The Last of Us, obbediva a un meccanismo di "azione-reazione": se l'utente si muoveva in un modo, allora il nemico adottava uno specifico approccio. Più che una scelta, era il modo in cui funzionava il tool dell'IA all'epoca.

    A volte dovevamo fornire l'illusione di uno scontro più su larga scala con il respawn degli avversari, perché non potevamo gestire troppi personaggi sullo schermo in contemporanea a causa delle limitazioni di PS3. Uno degli sviluppi della IA nell'ultimo decennio consiste nella maggiore dinamicità.

    Abbiamo dei ruoli più flessibili: stabiliamo dei parametri, delle regole generali, per esempio su quali siano buone posizioni difensive, e poi è l'IA stessa a scegliere le migliori strategie offensive per accerchiare, attaccare, colpire alle spalle. In questo modo, giocando più volte e in maniera diversa lo stesso incontro, potrete trovarvi a combattere con nemici che agiscono via via in modi costantemente diversi e meno prevedibili.

    Shaun Escayg: Voglio aggiungere un dettaglio. Abbiamo preso delle decisioni. Mantenere ciò che amavamo del primo capitolo, così da non renderlo irriconoscibile. Volevamo, ad esempio, che Joel si comportasse come Joel, e non che il suo modo di agire fosse simile a quello di Ellie in Parte 2.

    È una distinzione che abbiamo scelto appositamente di mantenere: il fatto che abbiamo a disposizione la tecnologia del sequel non implica che implementarla totalmente in Parte 1 avrebbe avuto il giusto impatto. Abbiamo evitato di effettuare un cambiamento drastico, così che il primo The Last of Us non perdesse la sua personalità. Quindi per riassumere: sono tutte scelte che abbiamo compiuto deliberatamente.

    Le sparatorie e i cambiamenti

    Everyeye.it: Passiamo un attimo alle fasi di shooting: è una mia impressione o sono stati ritoccati in parte i tempi di reazione di Joel ai colpi? Mi è sembrato che fosse necessario un secondo in più a Joel per riprendersi dopo aver subito un colpo. È legato alle nuove animazioni? Inoltre, anche la telecamera è stata avvicinata alle spalle del protagonista durante la mira: è una scelta per rendere più simile il gameplay a quello della Parte 2, ma quanto influisce sul feeling delle sparatorie, secondo voi, rispetto all'edizione originale?

    Matthew Gallant: Sì è proprio così. Uno degli obiettivi che abbiamo voluto raggiungere con The Last of Us consiste proprio nel desiderio di avvicinare il più possibile il giocatore all'azione, immettendolo nella scena. Questo vale soprattutto nelle scene di combattimento melee. Abbiamo avvicinato la telecamera per rendere tutto più intimo, aggressivo.

    E così come per il corpo a corpo, lo stesso può dirsi per le meccaniche di shooting e di mira. Anche il tempo di recupero dopo un colpo segue lo stesso principio di realismo e immersione: The Last of Us è un gioco umano e intenso, e volevamo che anche il combattimento fosse più umano e intenso.

    Bisogna poi considerare che tipo di personaggio è Joel: è un uomo con un po' di anni sulle spalle, è un picchiatore, e tutte queste sue caratteristiche si riflettono nel modo in cui si muove e nella maniera in cui reagisce ai colpi o attacca.

    A tal proposito in The Last of Us Parte 1 abbiamo introdotto la tecnologia del motion matching, che offre centinaia di diverse animazioni mescolate tra di loro tramite una IA che le gestisce e le unisce per creare movenze fluide e ben interconnesse. Al netto di questi miglioramenti, volevamo comunque che Joel si muovesse come Joel, coerentemente con la sua corporatura, pur con i necessari accorgimenti per fare in modo che il feeling con Parte 1 fosse quello di un prodotto current gen.

    Everyeye.it: Durante le cinematiche di gioco sono presenti anche dei cambiamenti di regia, non sempre, ma in alcune scene. Alcune modifiche sono meno percettibili, altre sono molto più evidenti, come la sequenza sulla giostra in Left Behind. Puoi spiegarci i motivi del cambiamento dell'inquadratura?

    Shaun Escayg: Il nostro approccio al Remake consiste nel voler dare nuova linfa alle ambientazioni, agli spazi, ai personaggi. Ci siamo chiesti come poter migliorare il modo di raccontare la storia senza cambiarla, e in tal senso il lavoro di regia e di fotografia è stato a mio modo di vedere eccellente. Eravamo e siamo affamati di impatto emotivo.

    E i dettagli che tu hai citato sono stati modificati proprio per trovare un'inquadratura migliore che massimizzasse la tensione tra i personaggi. Prendiamo ad esempio la scena del confronto tra Ellie e Joel quando sono da Tommy, oppure il frangente in Left Behind tra la protagonista e Riley: le espressioni del volto, la limpidezza degli occhi, la trasmissione delle emozioni è completamente rivista, e molto più profonda.

    La forza di quei momenti è amplificata e la comunicazione non verbale raggiunge livelli di alta intensità. Le stesse scene appaiono differenti, perché abbiamo posto in esse l'attenzione per il dettaglio che meritavano. È un aspetto per cui io e il mio team andiamo molto fieri.

    Everyeye.it: Al di là dell'ovvio ed enorme miglioramento grafico, ho notato alcune differenze in termini di scenografia. Ad esempio l'assenza del peluche della giraffa durante il confronto tra Joel ed Ellie. Qual è stato il criterio nella ricostruzione della scenografia?

    Shaun Escayg: Tutto il mood e tutte le ambientazioni sono costruite per mettere al centro dell'attenzione la carica emotiva della scena. In alcuni luoghi abbiamo ridotto i dettagli per focalizzare i riflettori sui personaggi, mentre in altri abbiamo aggiunto particolari per amplificare il carattere dello spazio e renderlo più viscerale. Un esempio molto utile è il mercato che Joel e Tess attraversano all'incirca all'inizio del gioco.

    Su PS3 anche il numero di NPC da usare era molto limitato, quindi quando abbiamo ricreato quel momento ci siamo chiesti come potessimo renderlo più realistico, più vivo, più pericoloso.

    Come in questo caso, il nostro approccio alla ricostruzione è stato meticoloso, e ha obbedito sempre alla necessità di amplificare le sensazioni dei protagonisti e del giocatore. Ci sono frangenti in cui, come nel caso della giraffa da te citata, abbiamo rimosso dalla scena elementi che potessero distrarre l'attenzione dell'utente. Durante il confronto tra Joel ed Ellie, per esempio, il focus doveva essere solo su loro due, senza aggiunte superflue circostanziali.

    Left Behind, le emozioni e la mancata uscita su PS4

    Everyeye.it: Personalmente ho apprezzato l'idea di non inserire la storia di Left Behind all'interno del gioco principale, così da non modificare il perfetto ritmo narrativo dell'opera originale. Tuttavia mi chiedo: c'è stato un momento in cui avete pensato di creare un'unica esperienza, inserendo il DLC direttamente nella storia di The Last of Us?

    Shaun Escayg: All'inizio tutto è stato sul tavolo delle discussioni. Ma alla fine abbiamo scelto un unico mantra da seguire: non cambiare l'esperienza originale. E quindi benché idee come questa ci siano balenate nella mente più e più volte, alla fine siamo tornati sempre alla linea guida che ci siamo posti all'inizio. Se qualche aggiunta cambia notevolmente l'esperienza originale, per noi è da scartare.

    The Last of Us è il nostro Sacro Graal. Non volevamo fare nulla che potesse incasinarlo.

    Everyeye.it: Parliamo di emozioni e tecnologia: The Last of Us è uno dei giochi narrativamente di grande impatto, e la nuova espressività dei modelli di Joel ed Ellie, come già abbiamo avuto modo di vedere, mette in risalto le emozioni dei protagonisti. Quanto è importante l'avanzamento tecnologico, oltre alla scrittura, come veicolo di empatia?

    Shaun Escayg: È molto importante. Soprattutto nelle cinematiche si avverte questo valore. Per Parte 1 abbiamo cercato di avvicinarci il più possibile al motion capture originale, alle performance degli attori che, al tempo dell'uscita del primo capitolo, erano state limitate dai vincoli tecnologici. E con questo remake abbiamo fatto in modo di celebrare le loro interpretazioni. La tecnologia è cruciale per esprimere al meglio questa forma d'arte.

    Matthew Gallant: Una delle conseguenze del voler creare un mondo realistico e verosimile consiste nel fatto che i giocatori, in un modo o nell'altro, "giudicano" le azioni del protagonista, pensando - magari anche inconsciamente - a come si comporterebbe una persona vera in un dato contesto.

    Può sembrare sciocco, ma per raggiungere questi livelli è importante anche il corretto movimento nello spazio durante l'esplorazione. Abbiamo perfezionato tutto questo: Ellie si guarda intorno con maggiore credibilità, e la sua postura, le sue espressioni, e tutto il contorno del linguaggio non verbale trasmettono maggiore vicinanza alla realtà.

    Fermarsi a guardarla nel corso dell'esplorazione dona al personaggio una maggiore profondità. Sono dettagli che possono passare inosservati ma se messi insieme forniscono il profilo di un'esperienza più intensa.

    Everyeye.it: Quali sono i motivi per cui Parte 1 non è stato realizzato anche per PS4? In fondo The Last of Us Parte 2 è nato su quella console e per ragioni di continuità avrebbe avuto senso distribuire il remake anche su PS4. Inoltre: il prezzo di lancio è stato un argomento di discussione molto controverso: potete spiegare le ragioni che hanno portato Sony a distribuire la Parte 1 a prezzo pieno?

    Matthew Gallant: Volevamo che questo gioco fosse bellissimo da vedere al massimo del suo potenziale. Sfruttare al meglio il nostro engine, realizzare la migliore cornice visiva possibile. Sin dal principio il gioco è stato pensato per essere una produzione dell'attuale generazione, che potesse trarre il meglio dalla console sul piano visivo e del gameplay.

    The Last of Us Parte 1 è per noi un'esperienza totalmente degna di PlayStation 5. E credo che questa motivazione possa rispondere ad entrambe le tue domande. Questo è ciò che è The Last of Us Parte 1: sin dalle sue fondamenta è un gioco PS5.

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