The Witcher 3 - Intervista a Konrad Tomaszkiewicz

In occasione della cerimonia di premiazione del Drago d'Oro 2016, abbiamo avuto modo di intervistare Konrad Tomaszkiewicz, Game Director del progetto The Witcher 3 Wild Hunt.

The Witcher 3 - Intervista a Konrad Tomaszkiewicz
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • PS5
  • Xbox Series X
  • In occasione dell'evento del Drago d'Oro abbiamo avuto l'opportunità di parlare con Konrad Tomaszkiewicz di CD Project Red, che ha viaggiato fino a Roma per ritirare i numerosi premi attribuiti a The Witcher 3, di cui è Game Director. Ecco come ha risposto alle nostre domande.

    In superficie The Witcher può sembrare appartenente alla nuova fantasy, soprattutto quella di Martin con il suo Trono di Spade. Eppure mantiene un classicismo quasi tolkieniano, come se vi si raccontasse di una Quarta Era della Terra di mezzo dove tutto è andato tremendamente male.
    Sebbene sia difficile paragonare le due opere, anche perché i libri di Andrzej Sapkowsky sono stati scritti prima di quelli di Martin, penso che la saga di The Witcher sia più simile al Trono di Spade e questi due mondi differiscono da quello di Tolkien per il loro essere uno specchio su cui si riflette il nostro. C'è un maggiore realismo nei personaggi e gli elementi politici ci ricordano fatti storici realmente occorsi. Non c'è una evidente dicotomia tra il bene e il male ma ogni sfumatura di grigio tra uno e l'altro. Tuttavia nel Trono di Spade tutto si regge sulla politica e le motivazioni dei personaggi sono, di fatto, solo politiche. In The Witcher non è così; poiché gli obiettivi dei personaggi non sono determinati esclusivamente dalla politica, inoltre è più potente l'elemento fantasy, con un particolare accento sulla magia, sulle antiche profezie o sulle creature fantastiche che formano un ricco bestiario soprannaturale, come i licantropi e i troll. E' come se The Witcher fosse sospeso tra Tolkien e Martin. Le similitudini con i romanzi dell'inventore della Terra di Mezzo si trovano nelle razze, elfi e nani ad esempio, e nel dettaglio e nella vastità del mondo fantastico. Ma le regole sono completamente differenti!

    Geralt è un personaggio letterario. Ciò ha semplificato o reso più complessa la sua versione videoludica?
    Ritengo che abbia facilitato le cose agli sceneggiatori il fatto che Geralt sia descritto in maniera approfondita nei romanzi. Sapevamo già in quale direzione andare e quali erano le regole affinché il protagonista non fosse penalizzato come carattere, perdendo la sua coerenza. Gli autori di altri videogiochi hanno imprese più complesse da portare a termine perché essi devono inventare tutto dall'inizio e non sanno se ciò che stanno scrivendo alla fine piacerà al pubblico. Per noi è tutto più semplice perché sappiamo che i libri di Sapkowsky hanno già un grande pubblico di appassionati, di cui fa parte anche chi lavora al videogioco, così sappiamo già quello che può coinvolgere i giocatori o funzionare ai fini della trama. Quindi è come se cercassimo di dare una consistenza visiva e ludica ai libri, una forma, senza tradire ciò che li rende ammirevoli. Quindi non solo Geralt, ma tutti i personaggi del videogame devono essere il più possibile simili a quelli dei romanzi. Sappiamo cosa ci piace nei libri e vogliamo fare in modo che la saga videoludica sia quella che "vogliamo" giocare da lettori appassionati.

    The Witcher 3 è differente sia dai giochi di ruolo giapponesi che occidentali, sebbene mantenga elementi di entrambi i generi. Lo possiamo considerare l'inaugurazione di un nuovo Gioco di Ruolo Europeo?
    Sicuramente. Perché credo -anche se ciò potrebbe non riguardare ogni aspetto dei nostri lavori- che abbiamo inventato un nuovo genere di gioco di ruolo. In passato c'era una grossa dicotomia tra giochi di ruolo più lineari fondati sul racconto e quelli con un gigantesco "open world", la trama dei quali non era l'elemento fondamentale dell'esperienza. Noi abbiamo tentato di inventare un ibrido, quindi un gioco di ruolo con una storia determinante che si svolge in un mondo aperto, uno "story driven open world RPG"! Riuscire a rendere fondamentale la narrativa in un gioco "open world" è stata la sfida più complessa che abbiamo affrontato. Nel genere infatti ci sono sempre tantissime missioni secondarie e cose da fare e queste catturano l'attenzione di chi gioca, spesso distraendolo dalla storia principale. Abbiamo quindi fatto in modo che ogni attività secondaria fosse in un qualche modo connessa all'intreccio principale affinché questo non risultasse troppo diluito, disperdendosi. In questo caso sono utili anche le schermate di caricamento, perché riportano il giocatore a cosa sta facendo e dovrebbe fare. Temevamo che il pubblico potesse dimenticarsi l'obiettivo primario, considerata l'enormità del mondo e delle sue storie, tuttavia sembra che il nostro lavoro abbia funzionato, perché abbiamo creato una formula che prima non esisteva.

    Considero stupefacente l'utilizzo del vento in The Witcher 3. Ha solo un valore "meteorologico" o anche simbolico?
    Abbiamo creduto fin dall'inizio nella potenza espressiva, descrittiva e anche simbolica del vento e di ogni altro fenomeno atmosferico. Poiché questi elementi contribuiscono in maniera determinante a edificare l'illusione di un mondo vero. Gli alberi si muovono al vento, anche l'erba reagisce, ed è qualcosa che riconosciamo immediatamente perché è così nella realtà e a questa ci connette con forza. Più si ritiene un mondo fittizio credibile più l'immersione in questo risulta amplificata, quindi non siamo più solo giocatori davanti ad uno schermo ma siamo dentro al gioco. Percepiamo, anche quando spegniamo il monitor, di avere vissuto un'avventura, un'esperienza. Adesso stiamo facendo ancora di più, perché consideriamo il suono della natura imprtante nel gioco; ad esempio abbiamo avuto il tempo di modificare il rumore della pioggia in base alla superficie su cui cade. Se Geralt è all'interno di una tenda, sentiremo il gocciolio attutito, smorzato dalla qualità del materiale e modificato.

    In The Witcher 3 l'horror tende a infiltrarsi sovente nel tessuto fantasy. E' stato arduo combinare i due generi?
    Sì, è stato difficile realizzare un'atmosfera horror nel nostro gioco, soprattutto perché si tratta di un'opera in terza persona. Con la prima persona della soggettiva è più facile, perché si guarda direttamente dagli occhi del personaggio, così risulta più semplice sorprendere e spaventare. Con la camera sempre sul personaggio è complesso creare una giusta atmosfera spaventosa. Ritenemmo comunque che fosse fondamentale che The Witcher 3 incorporasse diversi tipi di emozioni, e l'horror per questo è stato importante ai fini di mutare il tono e lo stile delle missioni. E' stato duro ma ci siamo applicati al massimo e una delle cose più determinanti al successo dell'impresa è stato l'utilizzo dell'illuminazione. Perché la variazione nell'intensità della luce favorisce il trascorrere all'atmosfera horror; poi ci sono i suoni e gli effetti speciali. Ma soprattutto è di massima importanza la storia e i dialoghi, che devono avere un registro spaventoso. Dopo averci giocato per ore, anche prima che uscissero le recensioni, ho ritenuto che fossimo riusciti ad essere efficaci, anche nei momenti horror. Perché sono fondamentalmente un giocatore e ricavavo delle emozioni che anche il pubblico avrebbe potuto sperimentare.

    Sebbene il mondo dei videogiochi sia spesso accusato di essere contenitore di maschilismo in The Witcher 3 ci sono donne molto forti e mai triviali.
    Ancora una volta ribadisco che ciò che è più importante per noi di CD Project Red è garantire l'immersione nel mondo di gioco. E nel vero mondo ci sono sia uomini che donne forti. Se avessimo intrapreso sentieri maschilisti, il senso di realismo a cui tanto abbiamo teso sarebbe fatalmente crollato. Io conosco tante donne forti e se non ne avessi incontrata neanche una nel gioco mi sarebbe sembrato strano e sbagliato. Interagiamo con tante persone diverse e non è importante che queste siano donne o uomini, ma che siano credibili, vere. Abbiamo lavorato affinché ogni personaggio avesse le sue motivazioni, la sua storia e il suo carattere e non fosse solo il "manichino" a cui rivolgersi per accettare una missione e poi ritirare il premio in caso di successo. Sono personaggi che hanno tutti qualcosa a che fare in questo mondo, ci vivono, e abbiamo voluto che al giocatore importasse delle loro emozioni, che le sentissero attraverso di questi.

    Ci sono messaggi etici o politici che avete voluto lanciare attraverso The Witcher 3?
    Non c'è un solo messaggio, ma tanti. Ma ci sono diversi livelli per ogni messaggio perché vogliamo che i contenuti etici o politici siano mostrati sempre da diverse prospettive. Possiamo giudicare, condividere, rifiutare. Dipende da noi. Ad esempio quando viviamo la storia del Barone, che è un alcolizzato, sorge spontaneo avere un'opinione personale su di lui, ma è un personaggio complesso che richiede un'interpretazione e un giudizio non superficiale e manicheo. Vogliamo che le persone pensino e ragionino su ciò che hanno giocato, così da evolvere un'idea tramite la riflessione sull'argomento trattato. Poi attraverso il nostro gioco abbiamo voluto ribadire che i videogiochi non sono solo intrattenimento, ma qualcosa di più. Possono suscitare una vasta gamma di emozioni, possono rivaleggiare con l'arte della letteratura e del cinema o talvolta superarla. Il videogioco ha la stesa dignità di un libro o di un film. Sono stato molto contento di avere ricevuto tanti premi dedicati ai videogiochi, compresi i Draghi d'Oro italiani, e abbiamo ricevuto riconoscimenti non solo in ambito videoludico, ma come fenomeno culturale dell'anno. Mi piace pensare di fare parte di una nuova onda che porta un cambiamento della percezione del videogioco nella società contemporanea.

    Ha giocato qualcuno degli altri videogiochi premiati con il Drago d'Oro?
    Ho giocato molti di quei videogiochi e confermo, come ho detto ieri durante la premiazione, di sentirmi onorato che il nostro gioco sia stato in mezzo a tante grandi opere. Ho amato molto Bloodborne, mi piacciono anche i Dark Souls, per le loro meccaniche così ostiche, per come attraverso di essi si racconta una storia e per come sono disegnate le ambientazioni. Ho davvero adorato i panorami di Bloodborne per la loro anima lovecraftiana, d'altronde ho giocato per anni al gioco di ruolo cartaceo Call of Chtulhu e dal videogioco di Miyazaki ho ricavato le stesse impressioni e emozioni. Così sono lieto dei risultati ottenuti da questi lavori e del loro valore artistico e ludico, perché amo i videogiochi.

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