Ubisoft Milano: la visione creativa dello studio autore di Mario + Rabbids

Nell'intervista a Ubisoft Milan si è parlato di Press Start, l'iniziativa di IIDEA, ma anche della struttura del team e della sua visione creativa.

Ubisoft Milano: la visione creativa dello studio autore di Mario + Rabbids
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A pochi giorni dall'inizio di Press Start - Videogame Student Conference, l'iniziativa di IIDEA per permettere ai giovani di avere un contatto diretto coi professionisti della game industry (qui lo speciale su Press Start), abbiamo avuto il piacere di intervistare Andrea Babich, Chiara Viale e Alessandro Mazzega, rispettivamente Narrative Director, HR Manager e Communication Manager di Ubisoft Milan.

Oltre a soffermarci sulle grandi opportunità offerte dall'evento - a cui il collettivo parteciperà - e sull'impegno del team in materia di recruiting e relazioni con istituti di formazione e studenti, abbiamo colto l'occasione per farci svelare i dettagli sul processo creativo che si cela dietro la realizzazione di un videogioco, incluse delle interessanti informazioni sull'atteso Mario + Rabbids: Sparks of Hope (qui la nostra prova di Mario+Rabbids Sparks of Hope).

Press Start e l'impegno di Ubisoft Milan

Everyeye.it: Ciao ragazzi, grazie per il tempo che ci state dedicando. Cominciamo col coinvolgimento di Ubisoft Milan nel progetto Press Start, un'occasione da non perdere per i tanti giovani che parteciperanno.

Alessandro Mazzega: Press Start è nato per far avvicinare il mondo della formazione agli studi di sviluppo italiani. Un progetto che è nato tanto tempo fa. Io stesso faccio parte del working group scuole di IIDEA e diversi anni fa abbiamo pensato di stringere i rapporti tra l'industry e la scuola.

Noi come Ubisoft Milan eravamo già in contatto con parecchie scuole in autonomia però volevamo fare qualcosa di più strutturato, per permettere agli studenti di entrare in contatto con le realtà italiane che stanno facendo recruiting, in modo più semplice e immediato. Poi Chiara può dirlo meglio di me: in generale con le scuole facciamo già tante attività e Press Start è un ottimo modo per far confluire questi sforzi in un'iniziativa condivisa con altri team.

Chiara Viale: Noi siamo in contatto con le principali scuole, università e accademie che hanno percorsi specifici per il gaming, che incontriamo chiaramente in eventi dedicati a Ubisoft Milan, dove ci presentiamo ai nuovi studenti per parlare loro dell'identità e del ruolo di Ubisoft, nonché delle figure professionali che cerchiamo per il nostro team. Ci spingiamo quindi anche sul processo di selezione, su quali skill ricerchiamo nei candidati e candidate. In questo modo possiamo passare a un primo contatto con gli studenti per fare già un primo screening, dei veloci colloqui conoscitivi per capire quali sono le persone più motivate da portare, in seguito, alla selezione vera e propria. Press Start in questo senso è il primo evento nazionale a cui ci capita di partecipare che vede confluire studenti di tutte le scuole che operano in ambito gaming e per questo può fornirci l'accesso a tantissime risorse.

D'altro canto, questa iniziativa è resa interessante proprio dal fatto che siano presenti anche le scuole e le accademie durante le conferenze. Coloro che parteciperanno infatti non sono necessariamente persone che hanno già intrapreso gli studi: alcuni infatti devono ancora affacciarsi al mondo degli studi superiori. Siamo felici del fatto che questo target potrà effettivamente incontrare gli enti di formazione che operano in ambito gaming e capire che esistono tante carriere a cui aspirare in questo senso. Anche perché, quando guardiamo a determinate figure professionali, a volte è difficile reclutare persone perché ci sono pochi studenti o studentesse che hanno imboccato quel determinato percorso.

La struttura di Ubisoft Milan

Everyeye.it: Potete parlarci della struttura dello studio? Quali tipi di figure professionali cercate?

Chiara Viale: Per come è strutturato il nostro studio, noi siamo attivi un po' su tutti i dipartimenti che lavorano su di una pipeline produttiva. Quindi abbiamo il dipartimento artistico - e qui di solito ci rivolgiamo a concept artist, modellatori 3D, animatori - poi abbiamo l'area creativa di cui fa parte Andrea (Babich), quindi la macrofamiglia del game design che poi si divide in sottocategorie come appunto il narrative design, UX design, e così via.

Ultimi ma non per importanza sono il dipartimento più tecnico, formato ad esempio da Gameplay Programmer, la sezione di dev testing, che accomuniamo un po' a quella che è la parte tech, e poi tutta l'area di project management, costituita da figure che si occupano della parte più gestionale del progetto come Producer, Associate Producer e Project Coordinator. Tornando alle professionalità che più cerchiamo, pensiamo proprio ai Gameplay Programmer.

Non è difficile trovare programmatori in senso generale. Lo è trovare quelli con una conoscenza specifica del linguaggio C++, che per noi è fondamentale. Ci sono poi i Tech Animator, i Rigger, i Tech Artist, e così via, dei professionisti con un ruolo "ibrido" che fatichiamo a trovare perché sono pochi.

Everyeye.it: A questo punto la domanda sorge spontanea. Perché sono così pochi?

Chiara Viale: Perché spesso non si sa che esistono queste figure ibride a metà tra il professionista artistico e quello più tecnico. Finché non sono entrata a far parte dell'industry, io stessa non avrei mai pensato che esistessero. I ragazzi che abbiamo assunto negli anni ci dicevano che al tempo in cui seguivano, ad esempio, i corsi di modellazione 3D, non immaginavano nulla di tutto questo. Anche in questo caso, lo hanno scoperto varcando le porte dell'industria e magari da appassionati di coding per conto loro si sono ritrovati a unire formazione accademica a skill più personali per rivestire dei ruoli ibridi.

Everyeye.it: Molto interessante. E in che modo gli incontri di Press Start andranno a far luce su queste figure?

Alessandro Mazzega: Il programma sarà strutturato in una serie di tavole rotonde, con una che ospiterà proprio Andrea Babich e altri tre membri del nostro team. Questi incontri permetteranno agli addetti ai lavori di spiegare come sono arrivati alla posizione che ricoprono attualmente, i percorsi che hanno imboccato per riuscirci.

Per dirvi, ci sono anche dei casi particolari in cui qualcuno ha iniziato come modellatore e poi ha un certo punto ha scoperto l'animazione e quindi si è orientato diversamente. In generale, le figure ibride non sono sempre necessarie in realtà più piccine ma in quelle più grandi e strutturate come la nostra rappresentano un vero e proprio collante tra reparti tecnici e quelli artistici.

Everyeye.it: Quanto influisce un corso universitario specialistico nella formazione di queste figure?

Alessandro Mazzega: Agli studenti diciamo sempre una cosa. Cercate il prima possibile di identificare cosa volete fare davvero e cosa vi piace davvero, perché se capite di voler lavorare come animatori "da grandi" potete spendere le vostre energie in questa direzione e non disperderle un po' in questo e un po' in quello. Molto dipende quindi sia dal corso, sia dalle propensioni di una persona. Ci sono corsi di game design ad hoc, corsi in ambito artistico per formare figure di questo tipo e perfino percorsi dedicati al programming per videogiochi, che è ben diverso da quello legato ad altri ambiti. Insomma, quanto lontano ti può portare un corso dipende dal tipo di carriera, dalle capacità innate di un determinato individuo e pure dalla voglia che ha di spingersi oltre il percorso scolastico. Penso ad esempio a quelli che oltre a seguire un corso scolastico formano dei team indie per partecipare alle Game Jam o a dei concorsi online.

L'importanza della sinergia creativa

Everyeye.it: Passiamo a te, Andrea. Potresti parlarci del processo creativo che si cela dietro la realizzazione di un videogioco, con un occhio di riguardo agli ambiti di game e narrative design?

Andrea Babich: Posso parlarvi a titolo di membro del team allargato di design perché io per molti anni sono stato game designer e poi mi sono spostato sul narrative. Sicuramente la parte creativa è estremamente interconnessa, ci vuole un grado di sincronizzazione tra i vari dipartimenti quindi level design e game design e poi quest'ultimo si scompone in tante cose.

Ad esempio nel nostro gioco (Mario+Rabbids Sparks of Hope) ci sono delle parti di esplorazione o di combattimento che spesso hanno grammatiche che devono essere compatibili e ben armonizzate, pur essendo molto diverse tra loro.

Quindi, come dire, l'elefante invisibile dietro lo sviluppo della parte creativa di un gioco è sicuramente la capacità di essere in sincronia, di saper parlare la lingua degli altri. Di riuscire a trovare un dialetto comune, per comunicare in ambito creativo. E più un team è grande e strutturato e più inevitabilmente si creano dei sottodialetti personali in ciascuna delle squadre coinvolte, e poi bisogna riuscire ad amalgamare tutto questo. Questa è la chiave per mantenere spediti i ritmi di sviluppo e per ottenere - tramite un numero maggiore di iterazioni se necessario - un prodotto più raffinato e rifinito.

Everyeye.it: Parli di idiosincrasie personali che poi vanno unificate in una dimensione omogenea?

Andrea Babich: Sì ma non tanto delle singole individualità. A seconda della squadra di riferimento, dal game design, al level design, fino ai concept artist, ci sono tensioni creative differenti in queste varie branche, che poi all'interno del videogioco devono trovare un'armonia, no? Perché poi i giocatori devono vivere un'esperienza che sia il più coesa possibile, che è la grande, grandissima, sfida che ci poniamo.

Ci sono infiniti esempi in questo senso, basti pensare a una colonna sonora che non abbia le stesse intenzioni narrative nella sua impostazione armonica/melodica rispetto al level design, al ritmo di avanzamento del level design o alla progressione del giocatore in termini di statistiche e di game design. È come un grande concerto "multimediale". Uso questa parola un po' anni '90.

Everyeye.it: Prima hai citato Mario+Rabbids Sparks of Hope. Che cosa puoi dirci, nello specifico, in merito alla visione creativa alla base della produzione?

Andrea Babich: La cosa che ho apprezzato di Kingdom Battle e oggi di Sparks of Hope è il fatto che si cerchi comunque di mantenere un'unità che parta dalla visione autoriale del Creative Director. Oltre a essere un vulcano di idee e di energia, Davide Soliani ha una visione creativa molto chiara. Più che visione, anzi, parlerei di intenzione. Poi quindi c'è bisogno di qualcuno che dia forma a questa intenzione.

Dal brief creativo insomma le varie squadre cominciano a produrre una prototipazione del gameplay, una visualizzazione artistica del concept art, delle sinossi o abbozzi di scenario da un punto di vista narrativo, e poi si comincia a dialogare. Ci sono una serie di pipeline parallele ma che devono costantemente confrontarsi tra loro.

Ci sono tutta una serie di validazioni interne dei direttori dei diversi sottoteam ma poi si torna sempre a quelle con Davide, senza contare quelle legate alla sfera di Nintendo. A questo proposito, ci sono delle limitazioni legate alle proprietà intellettuali coinvolte, anche legate ai Rabbids. Ad esempio, come è visibile nei trailer, per la prima volta parlano, e questo processo di validazione è stato infinito ma nel senso buono, perché c'è stata una volontà di farlo da parte di Davide e ovviamente le orecchie pronte ad ascoltarlo da parte di Ubisoft, quindi ci sono interconnessioni su tantissimi livelli.

Everyeye.it: I Rabbids che parlano. Come è nata questa idea?

Andrea Babich: L'abbiamo presentata in un meeting coi responsabili dell'IP all'interno di Ubisoft e si è cominciato a discutere sull'opportunità in questo specifico gioco, perché non stiamo necessariamente alterando la lore nel complesso. Ci sono alcuni titoli Nintendo, degli spin-off, in cui succedono cose che sono leggermente diverse rispetto a ciò che avviene nei giochi flagship di un Mario ad esempio. In questo caso è stato così per noi. Confrontarsi, valutare l'apertura che poteva esserci e onestamente abbiamo trovato una serenità e una voglia di sperimentare da parte di coloro che abbiamo interpellato.

Abbiamo avuto una grande libertà creativa, le idee partivano da noi e solo in seguito si valutavano con altri. Questa cosa dei Rabbids che parlavano per noi era un'opportunità molto interessante per poter popolare un mondo di personaggi narrativamente ma anche funzionalmente utili. Necessari. Penso agli NPC con cui parlare per ottenere informazioni, pezzi di trama, missioni, quest. I Rabbids divertenti ma muti insomma non si amalgamavano altrettanto bene con questa dimensione narrativa più ambiziosa.

Everyeye.it: Ultima domanda. Narrazione e gameplay si sono mossi in maniera parallela o c'è stata una subordinazione?

Andrea Babich: Una subordinazione c'è. Essendo stato game designer, si dice sempre "game design is king". Però in realtà proprio in Sparks of Hope abbiamo cercato il più possibile di colorare tematicamente, con degli elementi narrativi, quello che succede nella battaglia, che è il fulcro del gameplay. C'è comunque la cosa di non tarpare le ali in maniera eccessiva alle idee di game design, legate a regole di gioco e combattimento. Generalmente, non puoi realizzare un prodotto che si astrae completamente dalla componente narrativa e intendo in senso lato.

Può darsi che non ci siano dialoghi o una storia vera e propria ma comunque il mondo ti trasmette qualcosa, l'idea della lore. Anche perché la narrativa trascende la sola componente verbale. Penso ad esempio a quella di tipo ambientale. Quando un concept artist crea un qualcosa di visivo in sincronia con le idee degli altri team, sta già raccontando qualcosa, no?