L.A. Noire: provata a Londra una nuova build, le nostre impressioni

Provata a Londra la nuova build

L.A. Noire: provata a Londra una nuova build, le nostre impressioni
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  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Non tutto è ciò che sembra. Un mantra che avvicinandosi a L.A. Noire è necessario ripetersi più e più volte. La storia che sottende il titolo Team Bondi viene dipanata a piccoli dosi, poco alla volta, quel tanto che basta per intricare ancor di più la matassa narrativa. Uno scripting immenso, fitto di parole, emozioni contrastanti, personaggi frastagliati, spaccati di vita e letteratura vissuta. Il citazionismo assorbe come una spugna le fonti più disparate: dal cinema, all’editoria, dalla cronaca al sociale. Il risultato è una Los Angeles di fine anni ’40 credibile, così verosimile da fare paura.
    Perché sappiamo che i casi di omicidio, minuziosamente ospitati dal gioco, si basano su atrocità realmente accadute. Perché di tanto in tanto il fantasma della Dalia Nera serpeggia, lambendo la storia, sussurrando all’orecchio del giocatore cose di primo acchito incomprensibili.
    Non tutto è ciò che sembra. Nel senso che tutti paiono custodire le chiavi della verità, tranne il giocatore. Tutti hanno qualcosa da nascondere, da omettere, in una gigantesca farsa di cui è difficile valutarne anche solo i contorni. Il boom economico post bellico è solo una bolla di sapone che imbratta lo sporco, la corruzione, il viscidume morale. Un bel tappeto sotto cui nascondere i propri scheletri. E allora via alle investigazioni, agli interrogatori, ai minuti spesi a studiare i sospettati, la gestualità che li caratterizza.
    L.A. Noire fa centro perché stimola la curiosità del giocatore continuamente, imbastendo finalmente una storia imponente, che lascia al palo le timide inquietudini di Nico Bellic o John Marston. Alla base c’è la voglia di sapere. Di conoscere. Tutto il resto, dalle piccole side quest annunciate, alla voglia di cazzeggio, non conta, non c’entra. Non è importante.
    E, ancora una volta, non tutto è ciò che sembra. LA Noire è sì un’avventura open world, ma non è un free roaming, né divaga nelle dinamiche sandbox semplicemente perché non ha bisogno di riempitivi o divagazioni. C’è troppo da raccontare, da sapere, da scrostare sotto uno spesso manto di bugie. Possiamo scorrazzare per le vie di Los Angeles a piedi, o requisendo un qualsiasi mezzo di trasporto, magari per riflettere, per pensare, con un orecchio incollato alla radio in caso di segnalazioni o al finestrino, per sentire le richieste di aiuto più prossime. Ma a chi interessano?
    Everyeye.it è quindi volata a Londra per saggiare -pad alla mano- le dinamiche su cui poggia la risoluzione di un caso di omicidio. Nel frattempo, contattate pure il vostro coroner di fiducia.

    La serata butta al meglio. Il vento sbuffa di tanto in tanto. Qualche ramo sullo sfondo risponde. C’è aria. Ma se alcune cose si muovono come dovrebbero, altre sono ferme, immobili, congelate. Morte.
    Una macchina scura. E’ buio pesto. Figure indistinte, camuffate dalle proprie ombre. Poi un oggetto viene parcheggiato nel cranio di qualcuno, e fine della storia. Per ora.


    Cole Phelps, come abbiamo già avuto modo di dire nella precedente anteprima, è un eroe di guerra. Team Bondi non vuole svelare nulla sul suo profilo che possa macchiarne l’idea di un uomo retto. Un poliziotto con dei principi, che si muove per portare ordine e giustizia. In realtà, questa sua smania zelante pare talvolta voler scappare da un passato misterioso e comunque atroce come quello della guerra. Flashback continui ripercorrono le tappe del personaggio più umano e credibile mai fuoriuscito dalle penne Rockstar.
    Il comportamento che il giocatore è dunque chiamato a tenere si confà alle inclinazioni di un poliziotto con una sua integrità, in un processo di immedesimazione molto simile alla “recitazione”.
    Se si è poliziotti, e si desidera estirpare il marcio dalla metropoli, rubare un’auto investendo pedoni o sparando a casaccio è semplicemente ridondante e consono a tipologie di giochi lontani da quanto ideato per LA Nore.
    Onde evitare il crollo del costrutto narrativo e della credibilità di una storia che rimane il perno centrale dell’avventura, l’IA degli NPC provvederà a schivare le manovre senza senso od assassine del giocatore, mentre in casi di infrazioni del codice stradale o danneggiamento di beni pubblici il gioco provvederà a ridurre -a caso chiuso- la quantità di soldi guadagnati dal giocatore, pecunia che potrà essere investita secondo modalità che saranno svelate nelle prossime settimane.
    Ovviamente in veste di ufficiali di polizia potremo requisire un qualsivoglia mezzo -esibendo il distintivo-, magari per sveltire alcuni inseguimenti che, così come le sparatorie e azzuffate, non mancheranno di insaporire il gameplay con continui ed inaspettati cambi di ritmo. Laddove in RDR e soprattutto in GTA è prevista anche una piccola dose di pazzia, qui è richiesta la coerenza, la volontà di calarsi completamente in una parte, diventando un tutt’uno col proprio personaggio.
    Cole Phelps non potrà quindi estrarre l’arma contro un civile, né malmenarlo senza motivo. Nonostante ciò, la presenza dei passanti giocherà un ruolo tutt’altro che secondario nell’economia di gioco. Da semplice carne da cannone, a testimoni, a possibili indiziati, o custodi di elementi utili per velocizzare in maniera considerevole le indagini.
    Lo sviluppo del personaggio coincide con l’avanzamento tra le varie sezioni della polizia e tramite l’assegnazione di casi via via più articolati e complessi.
    Si parte dall’abc, ovvero dal pattugliamento delle strade, coi casi più marginali, sperando di trovare quello giusto per fare il salto di qualità. Verso dipartimenti come Traffic od Homicide.
    Sei sezioni in tutto, una media di sei/sette casi ogni volta da fronteggiare. Anche muovendosi come novelli Perry Mason, ergo senza sbagliare un colpo, un interrogatorio, una domanda, una conclusione, una sparatoria, si parla di almeno 25 ore di gioco come minimo sindacale.
    La verità però è un’altra: nonostante il finale della main story sia unico, i modi per raggiungerlo, e più specificatamente per chiudere i singoli casi, sono i più disparati. Una fitta trama di intrecci e raccordi che portano alla stessa uscita seguendo reticoli differenti, con attori e situazioni (e dispendio di tempo da parte del giocatore) altrettanto disuguali.
    I richiami però sono molteplici, anche per dare al giocatore -indirettamente- la possibilità di scovare un elemento importante seguendo modalità differenti. Durante un interrogatorio, per esempio, abbiamo incalzato in maniera opportuna il nostro interlocutore, rifiutando la sua versione dei fatti e ricavandone il nome di un luogo fondamentale per il prosieguo dell’indagine.
    Nel caso l’avessimo bevuta, invece, avremmo potuto raccogliere detta informazione durante un sopralluogo in un edificio, ricavando un particolare specifico durante la perlustrazione. Una sorta di seconda chance. L’eventualità invece che non si riesca a ricavare la stessa informazione nonostante gli input del gioco, comporta l’apertura di biforcazioni e allungamenti dell’indagine secondo algoritmi differenti in accordo con la qualità e l’importanza dell’informazione stessa
    Ripetuti errori valutativi, interrogatori sfalsati con NPC non più disposti a collaborare, elaborazioni grossolane della scena del crimine, comportano necessariamente l’arrivo ad un punto morto, che in pratica equivale ad un game over, col gioco che riporta il giocatore nel primo checkpoint utile (ad esempio, l’inizio di un interrogatorio).
    In caso invece di semplici errori di percorso -siamo umani, d’altro canto- il gioco aprirà varchi investigativi difformi, meno lineari, meno diretti, ma pur sempre collegati alla conclusione del caso.
    Se durante l’interrogatorio di un gruppo di testimoni non riusciamo ad estrapolare il numero di targa, perché valutiamo male la disposizione d’animo di uno dei testimoni o perché troppo sbrigativi o poco meticolosi, LA Noire provvederà a renderci la vita molto più difficile, allargando il quadro probatorio e di conseguenza le nostre possibilità di sbagliare ancora.

    Un cadavere. Donna. Completamente nuda. Non ha una bella cera. Il corpo mutilato, martoriato, sfregiato fuori e dentro. E un messaggio: Kiss the blood. Rosso sangue. Un tocco di classe tanto per infarcire il disgusto.
    Dalia Nera? Le probabilità che sia opera dello stesso pazzoide omicida sono scarse, questione di istinto. Eppure il modus operandi dice il contrario. Bah. Intanto in centrale le lettere del presunto killer arrivano puntuali come il Natale. Tutti vogliono un colpevole. Tutti vogliono sentirsi più tranquilli. Anche sbattendo al fresco lo stronzo sbagliato.


    Alla base, la scena del crimine. L’analisi del cadavere, da vicino, con tanto di zoom sui particolari (che si possono non appurare altrimenti). Due chiacchiere col coroner e col compagno di turno, che come già detto cambia da sezione a sezione. Ognuno col suo carattere, ognuno con la propria visione e stile operativo. Galloway, per esempio, è uno vecchio stampo. Non vede di buon occhio la verve di Phelps, né la sua idea che dietro tutto ci sia un serial killer. Che i casini siano ben più grossi di quanto invece sembrino ad una sbirciata veloce.
    Ogni elemento raccolto e visionato viene registrato sul taccuino del protagonista, così come gli spunti investigativi o gli elementi chiave ancora da chiarire/associare.
    Il caso nella fattispecie ci porta ad interrogare quattro personaggi, ognuno più o meno direttamente collegato alla vittima. Le possibilità sono le stesse di qualche mese fa. Un set di domande da sfoltire: a seconda delle risposte è possibile concordare, oppure imbeccare o addirittura accusare l’interlocutore. Le ultime due ipotesi, comunque, devono essere suffragate da elementi chiarificatori (associabili attraverso il succitato taccuino) e dunque da elementi raccolti sul campo o assorbiti da altre dichiarazioni, altrimenti il rischio è di irretire inutilmente l’interrogato, autocastrandoci così la possibilità di ricavarne altre informazioni saporite.
    Il peso della mimica, della gestualità, del timbro della voce è dunque fondamentale. Per la prima volta è possibile guardare un NPC non come un pupazzo digitale ricco di informazioni, ma come un attore con una sua personalità, con motivazioni proprie che se non intuite rischiano di mandare all’aria l’interrogatorio.
    La scrupolosità richiesta durante i sopraluoghi è pari almeno alla capacità poi di saper associare gli indizi/prove alle nostre esternazioni in sede di interrogatorio. Ritorcere quindi le prove contro i sospetti è dunque un’arte che però abbisogna di tempo e dedizione per essere appurata, anche perché se LA Noire, per certi versi, sposta il giocatore abbastanza linearmente da un luogo all’altro, come operare all’interno dello stesso luogo è compito esclusivo del giocatore. Che magari racimola tutto il raccoglibile nella casa di un sospettato, ma dimentica di fare due chiacchiere con gli eventuali vicini, perdendosi potenzialmente informazioni preziose e generatrici a loro volte di percorsi differenti. La libertà è qui più decisionale che “planimetrica” alla GTA. Quello che il giocatore decide o non decide di fare potrebbe avere un senso o un risvolto sull’intero caso. Il consiglio quindi è sì di cercare, ma soprattutto di pensare. Perché il concetto appunto di open world sta tutto qui: non spazi chiusi, piccoli, scontati. Ma vivi, aperti a soluzioni differenti.
    Interessante anche il rank system, che certifica caso dopo caso le performance del giocatore (interrogatori riusciti, quantità di prove raccolte) che daranno poi il la a svariati collectibale e agli intuition points (aggiunti nell’ultimo mese di sviluppo).
    Introdotti in luogo di normali livelli di difficoltà, gli intuition points (un massimo di cinque spendibili per singolo caso) possono essere sfruttati per facilitare alcune situazioni di gioco (eliminando, durante gli interrogatori, un’azione sbagliata fra credere, dubitare e accusare), oppure evidenziando per pochi istanti le prove oggettive in una scena del crimine. Un escamotage che manda in pensione il concetto vetusto di diversa gradazione di difficoltà, senza per questo costringere gli utenti smaliziati a piangere ripetutamente sangue. La loro connessione al modo con cui si porta avanti un’indagine, comunque, confessa un certo equilibrio di fondo, scongiurandone l’abuso.
    Il caso però che abbiamo risolto, senza volerci addentrare nei particolari, si è concluso con un arresto. Tuttavia la testa si arrabatta fra mille questioni irrisolte. Alcune prove sono schiaccianti, altre meno, tal’altre semplicemente studiate ad arte. E poi alcuni comportamenti non convincono, nemmeno quello dell’arrestato.
    Ok, abbiamo un colpevole. Diamolo in pasto alla stampa prima ancora che al sistema giudiziario. Ma dov’è la verità? Il quadro non è completo. Lo sa Phelps. Lo intuiamo noi. E ce lo ribadisce Rockstar concludendo beata proprio come avevamo iniziato: non tutto è come sembra.

    La build in oggetto ci ha permesso di testare il combattimento corpo a corpo. Possibilità di lockare il contendente, bloccarne i colpi, schivarli e contrattaccare, secondo dinamiche che puntano tutto sul timing, anche per confezionare mosse conclusive (e davvero bastarde). Il sistema abbisogna ancora di qualche limatura -come confessato dagli stessi portavoce di Rockstar- tuttavia il tutto svolge bene la funzione di divertente diversivo.
    Ottima la fisica delle vetture, pesanti come ci si aspetterebbe da bolidi anni ’40, ma tutt’altro che ingovernabili. Da puntellare resta solo il nervosismo di fondo (troppo sensibili).

    Se escludiamo il frame rate, da limare nella congestione di un inseguimento tra decine di vetture, il resto conferma lo stupore raccontato nella precedente anteprima.
    Motionscan rivoluziona il concetto di interpretazione, gettando sullo schermo attori vivi e palpitanti. Gli occhi di alcuni personaggi secondari sono giocoforza meno espressivi (e ve ne accorgerete, nello splendore generale), e altresì ci aspetteremmo più “colore” sulle strade (una differenzazione dei passanti alla GTA IV sarebbe perfetta), tuttavia c’è davvero poco di cui lamentarsi.
    Texture di prim’ordine (su PS3) sottolineano un ottimo lavoro di rifinitura. Solo il sottofondo musicale durante la normale routine investigativa denuncia un minimo di ripetitività.

    L.A. Noire L.A. Noire è semplicemente il prossimo capolavoro di casa Rockstar e uno dei titoli da attendere con più trepidazione. Perché dà uno scossone ad un canovaccio che tutti pensavamo di conoscere, perché punta finalmente sull’importanza di una storia di livello, perché a livello tecnologico ed emozionale lambisce vette mai raggiunte finora da prodotti anche solo lontanamente accostabili. La sola parte investigativa merita di essere giocata e studiata da chiunque ami tenere in mano un pad. Gli unici dubbi sono riscontrabili in una certa linearità nelle progressione dei casi, con il gioco che aiuta il fruitore a non smarrirsi perlomeno sulla scelta di dove andare. Tutto diventa molto relativo pensando alle decine di biforcazioni previste, tuttavia ci sembra doveroso tentare di sollevare almeno un dubbio prima di arrivare alla prossima review, che davvero non è mai stata tanto lontana.

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