Ghostwire Tokyo provato: un'avventura tra horror e azione su PS5

Abbiamo provato per ben 4 ore i primi due capitoli di Ghostwire: Tokyo, scoprendo un'avventura potenzialmente sorprendente.

Ghostwire Tokyo
Anteprima: PlayStation 5
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Ghostwire Tokyo è un'altalena di horror e azione, dramma e grottesca ironia, linearità ed esplorazione. È un gioco che raccoglie in sé tante "anime" diverse, tutte incanalate in un unico contenitore che fa dell'atmosfera il suo nucleo centrale. Ghostwire Tokyo è affascinante, magnetico e multiforme come la città che ricostruisce con un'attenzione inusitata. I primi due capitoli dell'avventura ci hanno posto dinanzi a un prodotto di carattere, in cui la metropoli nipponica si conferma la più grande protagonista; o meglio, una sua versione corrotta da un male ultraterreno, che distorce a tratti la percezione, imbrunisce il cielo, avvolge l'orizzonte con una nebbia da dissipare, desertifica le strade dalla presenza umana e le ripopola con creature appartenenti al mondo dell'oltretomba.

    Ghostwire Tokyo sembra una sorprendente digitalizzazione del folklore e della cultura giapponese, pennellati con un tocco orrorifico e con qualche sfumatura da buddy movie sovrannaturale (per approfondire, potete leggere il nostro speciale su Ghostwire Tokyo e il folklore giapponese). E per le prime quattro ore trascorse tra le vie della città, c'è da dire che questa formula bifronte funziona e avvince in maniera francamente inaspettata.

    Folklore horror

    La firma di Tango Gameworks si nota in più di un'occasione. Gli autori di The Evil Within (a questo link trovate la nostra recensione di The Evil Within) hanno però evitato di calcare la mano su una componente horror totalizzante, ed anzi hanno saggiamente deciso di centellinarla in alcuni momenti ben concepiti, alternandola a fasi più scanzonate e ad altre dal ritmo più accelerato.

    È intelligente la maniera con cui lo spettro dell'inquietudine accompagna l'esplorazione della città. Tokyo non è sin da subito visitabile interamente: ci sono delle barriere di nebbia che impediscono l'accesso a specifiche strade, e per liberarne il passaggio occorrerà purificare i portali Torii che si ergono qua e là nei parchi, sui tetti, agli incroci delle vie o ai piedi di torreggianti grattacieli. Poco a poco, insomma, la metropoli aprirà tutte le sue diramazioni; la nostra prova si è interrotta alla fine del secondo capitolo, quando non era ancora possibile sbloccare tutti i quartieri, ma volgendo un rapido sguardo alla mappa ci siamo resi conto di come l'intera superficie percorribile, fortunatamente, non sia troppo estesa. Ghostwire vuole proporre un mondo dall'ampiezza tutt'altro che soverchiante, espressione di una morigeratezza che si muove di pari passo con la densità delle attività completabili e che invoglia a un'esplorazione attenta e compassata, non soffocante né famelica. Ed è proprio in questa navigabilità a misura d'uomo, lontana dai titanismi degli open world, che si intravede l'attento uso della materia horror da parte di Tango.

    Grafica e suoniNon è la pura qualità grafica a calamitare gli occhi del giocatore, bensì una direzione artistica impeccabile. Tokyo è spaventosamente suggestiva, con un'estetica ricercatissima e una cornice scenografica che riempie lo sguardo, arricchendo la città con numerosi veicoli abbandonati, insegne al neon in ogni dove, superfici riflettenti, particellari a profusione, oggetti sparpagliati tra le vie e indumenti spiegazzati ai margini dei marciapiedi, che contribuiscono a non rendere mai "vuote" le strade della capitale, nonostante siano effettivamente prive di abitanti. Troviamo poi ben sei modalità grafiche: Qualità (con Ray Tracing a 30 fps), Prestazioni (a 60 fps), Qualità e Prestazioni High Frame Rate (che non pone nessun limite ai fotogrammi con alcune percettibili variazioni visive) e infine Qualità e Prestazioni HFR con attivo il V-Sync. Al netto dell'ottima atmosfera, è però l'audio l'elemento davvero vincente di Ghostwire Tokyo: i suoni circostanziali, quelli emessi dal DualSense, le musiche, i versi degli Yokai e l'eccellente doppiaggio in italiano e in giapponese danno al titolo un'energia unica.

    Camminando per i vicoli o per le grandi piazze, di tanto in tanto è possibile imbattersi in strisce pedonali ondulanti, palazzine marcescenti, ombre impazzite che si riflettono sulle mura, segno di un pericolo intangibile ma imminente. E poi i suoni dei demoni che nella spazialità dell'audio di PS5 sembrano avvolgerci, o il gorgoglio di qualche Yokai ancora da individuare, oppure il lamento di uno spiritello incapace di passare oltre. Non è un'inquietudine costante, che ci accompagna ad ogni passo, anzi spesso si mette da parte, e lascia spazio all'esplorazione più rilassata, tra scenette goliardiche e scanzonati siparietti con animaletti-gangster. Questo equilibrio all'apparenza molto ben ponderato è uno dei punti di maggior forza di Ghostwire: Tokyo, all'insegna di una moderazione che scandisce anche le fasi più lineari, soggette allo svolgimento della main quest. Quando visiteremo gli interni di magazzini, negozi o appartamenti, riprodotti tutti con grande accuratezza, a volte ci imbatteremo in situazioni dal forte impatto visivo, con un piglio horror squisitamente nipponico, fatto di apparizioni improvvise, spettri evanescenti, ambientazioni che si deformano e si contorcono in un turbinio di onirismo. Il gore e lo splatter sono quasi del tutto assenti: Ghostwire Tokyo è un'esperienza horror che sa essere elegante, cibandosi di un'angoscia e di una paura più emotive che esplicite.

    Acchiappafantasmi da combattimento

    Difronte alle minacce ultraterrene non saremo indifesi. I poteri del protagonista ci permettono di combattere a testa alta gli Yokai che infestano le strade, sfruttando sia l'azione in stealth sia quella a viso aperto, il tutto con un approccio dai ritmi simili a quelli di un FPS dove, al posto di fucili, pistole e mitragliette, utilizzeremo le nostre mani e il dono dell'etere, energia elementale che genera proiettili di vento, lame d'acqua e sfere infuocate.

    Ciascun potere ha un grado di pericolosità differente, oltre che un diverso raggio d'azione e un variabile numero di "munizioni" residue. L'etere di fuoco, di certo quello più letale, possiede ad esempio meno pallottole spirituali rispetto agli altri due, e di conseguenza non potremo abusarne per avere la meglio con estrema facilità. I duelli sono sì semplici, ma non elementari: i colpi non vanno sparati senza criterio, e anzi occorrerà tenere sotto controllo l'indicatore di energia residua per non finire a secco nel bel mezzo della mischia; bisognerà poi spostarsi con una certa frequenza, senza però mai raggiungere un dinamismo esasperato, e sarà necessario anche usare un pizzico di strategia quando alle battaglie si uniranno Yokai di varie tipologie.

    Più coreografici che complessi, gli scontri intrigano in virtù di un'effettistica ammaliante, con movimenti delle mani tremendamente ipnotici. Quantomeno al livello normale, il senso di sfida ci è parso orientato un po' verso il basso, benché non manchino momenti più stimolanti, specie quando veniamo accerchiati da molteplici creature. A incuriosire è anche, e soprattutto, la caratterizzazione dei nemici, i cui pattern d'attacco rispettano l'indole delle tipologie di persone che rappresentano.

    Vi poniamo degli esempi per aiutarvi a capire meglio: gli Erranti della Pioggia sono dei classici salaryman, nati dai cuori di coloro spinti all'esaurimento dal proprio lavoro, e pertanto agiscono in maniera neghittosa, muovendosi lentamente verso il bersaglio; l'Alunna dello Sconforto assalta invece con rapidità e agilità, tra capriole e frenesia, perché nata dalle ansie delle giovani studentesse. E così gli Studenti del Dolore aggrediscono con irrequietezza (poiché mossi da frustrazione per futuri incerti), e le Bambole di Carta colpiscono da lontano, rigide e austere nella postura, simbolo di chi in vita ha mantenuto le apparenze dinanzi al dolore. Ecco, nonostante nessuno di questi mostri incarni davvero una minaccia schiacciante, la loro realizzazione merita un sincero applauso, se non altro per la volontà di raffigurare un evidente disagio esistenziale e sociale sotto forma di Yokai. Nelle prime ore di gioco, merito sia del "bestiario" sovrannaturale sia dell'immediatezza del combat system, l'anima action di Ghostwire Tokyo, tra archi, talismani, poteri elementali e sporadici attacchi corpo a corpo, emerge con grinta.

    C'è bisogno di comprendere da dove provengono i colpi, variare etere in base ai tipi di nemici, sfruttare un parry col tempismo migliore, valutare il tempo giusto per estrarre il cuore corrotto degli Yokai dopo averli indeboliti, e ottenere quanta più esperienza possibile per massimizzare i talenti del protagonista.

    Quanto il sistema di progressione, gli oggetti equipaggiabili, le skill e le minacce si riveleranno adeguatamente bilanciati per tutta la durata dell'avventura potremo confermarlo solo in fase di recensione. Sin da ora possiamo sottolineare però che il combat system benefica ottimamente del supporto al DualSense, capace di acuire in modo brillante l'immersività degli scontri.

    Storie di spettri

    C'è un motivo, se Tokyo appare ormai disabitata. Una nebbia dall'origine ovviamente sovrannaturale ha avvolto Shibuya, assorbendo le anime degli abitanti e creando un ponte tra l'aldilà e la dimensione terrena, invasa dai Visitatori, demoni che ormai hanno preso il controllo della città.

    L'artefice di questo folle piano è un uomo che indossa una maschera Hannya del teatro Noh: sembra essere una vecchia conoscenza di KK, una sorta di sbirro dell'occulto, il cui spirito alberga ora nel corpo di Akito Izuki, studente 22enne che risulta apparentemente il solo superstite della capitale. Insieme, i due protagonisti partiranno alla caccia di Hannya, che ha rapito la sorella di Akito per scopi che vi lasciamo il piacere di scoprire.

    In bilico tra scavo psicologico, scanzonatezza e guizzi horror, la trama di Ghostwire Tokyo ha ancora tutto da dimostrare: le prime quattro ore ci presentano un sostrato narrativo ben scritto e inscenato, soprattutto per merito di suggestive scelte registiche e della buona chimica tra i due personaggi principali, ma solo al raggiungimento dei titoli di coda potremo capire se la storia terrà fede alle sue discrete premesse.

    L'attrattività del racconto non si manifesta tanto nel canovaccio, quanto nella capacità di tratteggiare con poche battute il temperamento dei vari comprimari, in un lavoro di caratterizzazione sicuramente accattivante. Il tutto in virtù di una scrittura che, grazie al dono della sintesi, riesce a creare un immaginario convincente, anche quando si concentra sulle quest secondarie.

    In giro per Tokyo

    Ogni volta che sbloccheremo un nuovo quartiere, sulla mappa compariranno le icone che indicheranno nuove missioni opzionali nelle vicinanze. Già nelle ore iniziali le attività collaterali si presentano in buon numero, sorrette da una sceneggiatura tutt'altro che scontata.

    Brevi e quasi tutte circoscritte nella zona in cui vengono attivate, le quest secondarie si esauriscono in pochissimi minuti, propongono una dignitosa varietà di situazioni (dalle fasi platform a lunghi combattimenti) e sono raccontate da uno script che alterna sia momenti più intensi, che indagano su problematiche sociali come la mania dell'accumulo, sia frangenti più goliardicamente assurdi, al pari di quanto avviene nella serie Yakuza. Ci toccherà indagare su spiriti prigionieri e disperati, scalare i tetti alla ricerca di oggetti preziosi, investigare all'interno degli appartamenti con la visione spiritica di KK, liberare anime intrappolate disegnando sigilli con il touchpad del Dualsense e altro ancora, in un pendolo in perenne oscillazione tra il serio e il faceto. Per completare tutte le attività dovremo scrutare attentamente ogni angolo, volgendo lo sguardo anche verso l'alto, al fine di scorgere la sagoma di un Tengu (Yokai delle montagne giunti misteriosamente anche in città) da sfruttare come appiglio e raggiungere la sommità dei palazzi. Da qui potremo anche planare per un tempo limitato, muovendoci tra i tetti e scovando altri portali Torii o spiriti da salvare. Con in dotazione un Katashiro (oggetti di carta simili a bambole), Akito può infatti assorbire le anime degli abitanti di Tokyo che ancora non sono riusciti a "passare oltre", e che puntellano praticamente ogni zona della metropoli.

    Ciascun ricettacolo può contenere un numero limitato di spiriti, quindi sarà fondamentale sia possederne il più possibile sia "svuotarlo" in apposite cabine telefoniche che fungono da tramite fra il nostro mondo e l'aldilà. Ci sono più di 240 mila anime sparse per Tokyo, e la loro raccolta ci è parsa francamente l'attività per ora meno appagante della produzione, in una rincorsa all'accumulo che rischia, a lungo andare, di rivelarsi stancante.

    Sempre esplorando la città avremo modo infine sia di imbatterci in Statue di Jizo per potenziare le abilità, sia di entrare in combini gestiti da Nekomata (uno Yokai con sembianze feline) in cui far incetta di consumabili per ripristinare la salute, sia ancora di incappare in cani e gatti da sfamare, e dei quali potremo persino leggere i pensieri. Alcuni di questi animali hanno anche piccole storielle personali che si esauriscono in una manciata di secondi, e che testimoniano ancora una volta l'attenzione di Tango Gameworks nella composizione del micro mondo narrativo di Ghoswire Tokyo.

    Ghostwire Tokyo Fresco e trascinante, Ghostwire Tokyo ha saputo soddisfarci con poche riserve nelle prime quattro ore di gioco. C’è sicuramente da valutare la tenuta del sistema di combattimento, della storia e della progressione sulla lunga durata, eppure le premesse sono quelle di un’opera coinvolgente, che trasuda cultura e stravaganza nipponica in ogni singolo pixel. Tra commedia, J-Horror e dramma psicologico ed emotivo, l’FPS spiritico di Tango Gameworks ha già vinto la sua prima scommessa: quella di proporsi come un’avventura distintiva. Scopriremo nel corso della recensione se riuscirà a bilanciare fino in fondo qualità, ambizioni ed originalità.

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