Metro Exodus: un viaggio nella Russia post atomica prima della recensione

A un mese dal lancio di Metro Exodus, abbiamo potuto toccare con mano il nuovo shooter di 4A Games: ecco le nostre impressioni.

Metro Exodus
Anteprima: Xbox One X
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Stadia
  • Exodus è un capitolo importante e delicato, per la saga di Metro. Possiamo dire senza timor di smentita che si tratta della prova di maturità del team ucraino 4A Games, che si misura con un prodotto estremamente ambizioso, deciso a guardare oltre le conquiste dei suoi predecessori lavorando su nuove soluzioni narrative e di gameplay. Il rischio, tuttavia, è quello di tradire le aspettative degli appassionati, perdendo quelle caratteristiche che avevano reso 2033 e Last Light due capisaldi degli sparatutto narrativi. Il nuovo episodio, ispirato all'immaginario dei romanzi di Dmitry Glukhovsky ma sostenuto da una sceneggiatura completamente originale, porterà il protagonista Artyom e la sua compagnia lontano dai cunicoli infestati della metropolitana di Mosca, in un viaggio di riscoperta del mondo esterno. Questa scelta si riflette inevitabilmente sulla struttura dell'avventura, meno lineare rispetto a quanto non fossero i precedenti capitoli. Il team di sviluppo, per fortuna, ha fatto di tutto per evitare di tradire la fanbase e di allontanarsi troppo dall'impostazione originale: le aree di gioco sono vaste e liberamente esplorabili ma restano lontanissime dall'estensione di un open world, ed il ritmo dell'azione rimane moderato, mai troppo frenetico, opportunamente stemperato da elementi survival che ben si sposano con l'ambientazione post-apocalittica della saga.

    Nonostante le attenzioni del team, in ogni caso, la prova di una versione molto vicina a quella definitiva sottolinea alcune "spigolosità", legate non solo all'intelligenza artificiale ed alla pulizia del codice, ma più in generale ad un incedere dell'avventura che resta in qualche caso un po' affaticato e non sempre stimolante. D'altro canto la buona varietà di situazioni e l'ottima diversità degli scenari, nonché la presenza di sezioni più inquadrate e squisitamente narrative, rendono Metro Exodus potenzialmente interessante per chi cerca uno sparatutto in prima persona convintamente diverso da tutto quello che il mercato ha da offrire.

    L'inverno degli Urali

    Fuggito dal dedalo di cunicoli sotterranei in cui i sopravvissuti alla guerra si erano rifugiati, Artyom raggiunge finalmente la superficie. Il conflitto esploso ventitré anni prima ha lasciato cicatrici indelebili, infranto il tessuto della società e ridotto le città a enormi relitti di cemento e asfalto. Il fallout nucleare ha mutato la flora e la fauna, generando mostri urlanti e terribili deformità.

    Eppure, dopo una reclusione così estenuante, Artyom ed il suo gruppo sentono che è arrivato il momento di riappropriarsi della Terra. La Russia è un territorio ferito ma immenso, che si estende per decine di migliaia di chilometri: da qualche parte ci dovrà pur essere un posto da cui ripartite; un'oasi insperata e fertile nel mezzo della devastazione, un angolo di mondo in cui costruire qualcosa.
    E così Artyom, Miller e Anna, divenuta ormai moglie del protagonista, si imbarcano nella loro più grande avventura, alla guida di un manipolo di pionieri determinati. Arroccati nel ventre metallico dell'Aurora, una locomotiva a vapore potentemente militarizzata, ci sposteremo lungo la Gran Via Transiberiana, ferrovia mitologica che attraversa tutta la Russia e collega Mosca con Vladivostok: un estenuante viaggio verso Est, aggrappati alla speranza di nuovo inizio. Sono queste le premesse da cui prende le mosse il racconto di Metro: Exodus, una storia che seguirà il gruppo di Artyom per un anno intero. L'avventura sarà suddivisa in quattro capitoli distinti, ciascuno legato ad una stagione differente ed ambientato in un'area specifica della Russia. La nostra prova è cominciata nella regione degli Urali, a qualche centinaio di chilometri da Mosca. Qui l'Aurora si imbatte in un blocco che costringe il gruppo a fermarsi: un ponte ferroviario che consente il passaggio è sollevato e tenuto sotto stretta sorveglianza da un gruppo di sopravvissuti locali, e l'obiettivo sarà quello di scoprire qualcosa in più sulle loro intenzioni.

    Metro: Exodus esplicita fin da subito la struttura che intende adottare per la sua avventura. Prima di scendere dal convoglio Artyom riceve una mappa dell'area, che può consultare in qualsiasi momento. La zona è abbastanza estesa ma si può correre da un capo all'altro dell'area in una decina di minuti, quindi gli spostamenti non sono mai troppo estenuanti. La prima missione che ci viene assegnata ogni volta che ci fermiamo in una nuova regione, inoltre, resta molto lineare e inquadrata: serve in primis a presentarci le fazioni con cui avremo a che fare, a permetterci di scoprire qualcosa in più sull'area in cui siamo capitati, e a definire l'obiettivo principale da soddisfare per poterci rimettere in marcia.

    Nel caso specifico, Artyom si imbatte in una setta di fanatici che odiano tutto ciò che è tecnologico, rifiutando categoricamente l'utilizzo di ogni congegno elettrico e meccanico. Chiunque venga bollato come eretico, adoratore del progresso che ha portato alla catastrofe nucleare, viene osteggiato, intrappolato e ucciso, e ovviamente il gruppo di Artyom, a bordo del suo bestione semovente, non fa eccezione. Per poter ripartire sarà quindi necessario smantellare questa organizzazione ed il suo profeta.

    I primi passi compiuti nelle steppe fredde e inospitali ribadiscono a chiare lettere che Metro: Exodus non vuole essere uno sparatutto frenetico e travolgente. Dimenticate il ritmo rabbioso di DOOM, RAGE e Wolfenstein, e preparatevi ad un andamento molto più compassato. Artyom procede lento e sospettoso, affaticato dal peso dell'equipaggiamento che si porta dietro e consapevole che la chiave per la sopravvivenza non è certo l'avventatezza.

    Spesso e volentieri è meglio evitare gli scontri a fuoco, cogliendo di sorpresa i nemici umani oppure allontanandosi dalle creature mutanti che pattugliano l'area. L'obiettivo non è solo quello di minimizzare i rischi, ma anche quello di risparmiare munizioni.

    Exodus introduce infatti alcune meccaniche tipiche dei survival, riducendo di molto il numero di proiettili a disposizione del protagonista e presentando al giocatore un semplificato sistema di crafting. In giro per l'ambientazione si possono recuperare due tipi di risorse: materiale meccanico e reagenti chimici, indispensabili per costruire oggetti di varia natura. Nascondendosi in un posto sicuro e usando gli attrezzi infilati nello zaino potremo creare kit medici (da usare in caso di emergenza), filtri per la maschera antigas (che dovremo indossare spesso e volentieri per proteggerci da gas tossici e tempeste di polvere), ma anche coltelli da lancio e mine improvvisate. Senza un banco da lavoro non potremo però assemblare i proiettili per la maggior parte delle armi a disposizione; al limite sarà possibile rimpinguare le scorte di cartucce per il fucile ad aria compressa: un'arma che non brilla per potenza e per rateo di fuoco, e che deve essere sempre tenuta in pressione. Resta adatta per assalti mordi e fuggi o per colpire dalla distanza, ma risulta abbastanza inutile per attacchi diretti, dal momento che ad intervalli regolari bisogna fermarsi ed utilizzare la leva meccanica per pompare aria nel serbatoio.

    E così Metro: Exodus si presenta come un titolo in cui si spara poco e si avanza con circospezione, affrontando i nemici con estrema cautela e cercando, quando si può, di aggirare le minacce o cogliere di sorpresa gli avversari umani. Il feeling non si allontana molto da quello di S.T.A.L.K.E.R., e c'è dentro anche un pizzico di Fallout, senza che l'elemento survival sia mai "prepotente". Anche quando si raggiungono le safe house e si utilizzano i banchi da lavoro non ci sono menù estremamente complessi su cui scervellarsi: sarà possibile semplicemente costruire munizioni per tutte le armi (mitragliette, pistole e fucili a pompa) e installare sul nostro equipaggiamento varie modifiche, smontate dagli strumenti degli avversari, che cambiano in maniera sostanziale il comportamento e la funzione delle bocche da fuoco o dei gadget.

    Anche quando si decide di premere il grilletto, in ogni caso, Metro: Exodus ribadisce la distanza abissale che lo separa da tutti gli sparatutto moderni. Il gunplay è sporco e "ruvido", le armi sono pesanti e non sempre reattive, lo shooting resta in generale affaticato come ci si aspetterebbe nel contesto di una catastrofe post-atomica che costringe i sopravvissuti ad utilizzare mezzi e materiali di recupero. Se decidete di avvicinarvi all'ultima fatica di 4A Games, insomma, abbiate ben chiaro a cosa andate incontro.

    Se in apertura abbiamo citato qualche problema di ritmo, in ogni caso, la colpa non è certo di questo approccio, bensì della struttura generale dell'avventura. Dopo la missione introduttiva di cui vi abbiamo raccontato, il gioco vi fa incontrare un NPC che vi indicherà tutti i punti d'interesse sparsi per la mappa. A questo punto il giocatore avrà la possibilità di dirigersi a testa bassa verso l'incarico principale, liberandosi del problema che blocca l'avanzamento dell'Aurora, oppure di perlustrare tutte le aree segnalate. In quest'ultimo caso, purtroppo, ci si imbatte in missioni secondarie non proprio eccezionali, in linea di massima piuttosto generiche.

    Avamposti da liberare, oggetti da recuperare, covi di mutanti da ripulire: fra una scrittura non eccelsa ed una serie di ricompense non sempre utili gli stimoli per esplorare tutta l'area potrebbero mancare presto. In qualche frangente, per fortuna, il level design degli ambienti riesce a salvare la situazione. L'idea che ci siamo fatti è che, anche senza arrivare agli eccessi di un open world, gli spostamenti liberi e l'allargamento delle mappe abbiano allentato un po' l'intensità dell'avventura, "diluendola" con incarichi che hanno il sapore di riempitivi. Quell'equilibrio che altri titoli (come The Evil Within 2) hanno saputo trovare, sembra invece sfuggire a Metro: Exodus.

    Di tutt'altra pasta è, per fortuna, il tenore dell'avventura principale, che ci è apparsa decisamente più intensa e trascinante. Al momento non è possibile dare giudizi complessivi sul racconto e sulla tenuta della narrazione. Ci limitiamo ad un rilievo statistico: procedendo a testa bassa lungo la main quest, le missioni della prima regione si completano in poco meno di tre ore. Un altro paio serve invece per esaurire tutte le quest secondarie. Salvo sorprese, questo potrebbe darvi un'idea approssimativa della durata della produzione.

    Estate sul Caspio

    Quando il convoglio arriva nell'area della grande depressione caspica, i membri della truppa sono stanchi e affaticati. L'Aurora necessita di nuove scorte di acqua e di carbone da bruciare, e una sosta diventa quasi obbligatoria. Il panorama che ci troviamo di fronte è radicalmente diverso da quello degli Urali: se prima calpestavamo distese di ghiaccio e neve, e affondavamo nella fanghiglia sudicia che si estendeva sulle rive dei laghi, qui siamo di fronte ad un territorio desertico e "alieno", rosso come le sabbie di Marte. L'immaginario di riferimento è chiaramente quello di Mad Max Fury Road.

    Anche la situazione che troviamo sembra ricordare quella del capolavoro cinematografico firmato George Miller: l'area è controllata da un Barone che sorveglia tutte le risorse, venerato dal popolo sottomesso e urlante. Uno degli obiettivi di Metro: Exodus, attraverso il suo viaggio interminabile, è quello di mostrarci comunità di superstiti diverse da quelle che abbiamo incontrato nei sotterranei di Mosca. In questo caso l'operazione di allargamento dell'immaginario scolpito da Glukhovsky sembra decisamente interessante, ed è affascinante scoprire quali altre comunità siano sopravvissute alla catastrofe, come abbiano reagito e quali orrori abbiano dovuto affrontare. A livello ludico l'impatto con questa seconda sessione di gioco restituisce sensazioni analoghe a quelle già abbondantemente descritte. Amplificate, forse, dall'estensione dell'area, che rappresenta la più vasta fra quelle che visiteremo durante il viaggio di Artyom. Il team di sviluppo ha addirittura inserito un veicolo improvvisato da utilizzare per spostarsi nella zona. Anche in questo caso l'esplorazione procede abbastanza fiacca e senza guizzi particolari, finendo per allentare un po' la tenuta della progressione. D'altro canto, anche grazie alle risorse accumulate nella prima parte dell'avventura, le missioni principali possono permettersi di spingere un po' di più sull'azione.

    Nei frangenti più movimentati abbiamo osservato un'intelligenza artificiale non sempre reattiva e consapevole, almeno per quanto riguarda gli avversari umani. Mentre è chiaro che i mutanti si lancino a testa bassa contro Artyom, gli altri sopravvissuti hanno la tendenza a rimanere barricati dietro a qualche copertura, facendosi bersagliare dalla distanza. In certi casi, purtroppo, anche le hitbox sono risultate problematiche, con colpi a segno che non venivano conteggiati. Capiamo che il titolo, nonostante la prospettiva in prima persona, non vuole mettere al centro della scena le sparatorie, ma un'esperienza di gioco pulita e rifinita resta imprescindibile per godersi l'avventura. Speriamo quindi che le operazioni di ottimizzazione del codice portino sugli scaffali un prodotto impeccabile da questo punto di vista.

    In questa seconda area di gioco abbiamo poi affrontato quella che possiamo considerare la missione più riuscita di tutto il nostro playtest: si è trattato di un'incursione negli archivi di una vecchia installazione militare, all'interno di una base sotterranea.

    Il buio avvolgente, le ragnatele da bruciare con la flebile fiammella di un accendino, i rumori destabilizzanti che sembravano inghiottirci: tutto ci ha ricordato i momenti migliori dei primi Metro, con un lieve retrogusto horror che ci ha fatto rimanere coi nervi a fior di pelle fino alla fine. Segno che il team di sviluppo ha voluto inserire all'interno del gioco le situazioni-tipo dei prodotti precedenti, confermando che proseguire integralmente nella direzione percorsa fino ad oggi non sarebbe stata un'idea da scartare.

    Primavera nei boschi

    Ci accoglie proprio sul finire della nostra prova la taiga verdeggiante delle regioni boreali, una foresta rigogliosa che ribadisce una volta di più quanto il team di sviluppo abbia voluto puntare sulla varietà: di panorami ma anche di situazioni, a giudicare dalla nuova missione che ci troviamo ad affrontare. Recuperata una potente balestra da un accampamento nemico, infatti, possiamo dedicarci allo stealth con ritrovata convinzione, quasi come se fossimo di fronte ad un avamposto di Far Cry. Questa terza zona è anche quella più affascinante a livello visivo: le distese desertiche del Caspio e quelle glaciali degli Urali lasciano il posto ad una vegetazione molto più fitta e colorata.

    Tecnicamente parlando il lavoro svolto da 4A Games è encomiabile e la nuova versione dell'engine proprietario appare enormemente potenziata. In Exodus come nei vecchi capitoli, a fare la differenza non sono tanto gli shader ricercati o le luci all'avanguardia (comunque di alta qualità), quanto lo strabordare dei piccoli dettagli dei modelli. Il lato prestazioni è un'altra bella vittoria per il team di sviluppo, dal momento che il gioco va alla grande su Xbox One X, mantenendosi fluido e stabile. È ovviamente su PC che il 4A Engine dà il meglio di sé, superando la controparte console in quanto a gestione delle ombre e risoluzione delle texture (che di tanto in tanto perdono qualche colpo).

    Non sempre convincente il set delle animazioni dei personaggi comprimari, soprattutto al di fuori delle cut-scene. I movimenti in prima persona di Artyom sono eccellenti, ma quando ci troviamo a chiacchierare con Anna, Miller o uno qualsiasi degli NPC sembra di avere a che fare con modelli troppo rigidi, dallo sguardo talvolta vitreo e inespressivo. A questo si aggiunge un doppiaggio italiano di medio livello, senza punte di eccellenza e con alcune interpretazioni un po' sottotono. Anche se rimane un po' troppo caricaturale nelle inflessioni, il voice acting inglese resta tutto sommato preferibile.

    Metro Exodus Metro: Exodus è un titolo ambizioso, che si pone l'obiettivo di superare -per varietà, estensione e soluzioni creative- entrambi i suoi predecessori. Sceglie così di allontanarsi da Mosca, percorrendo una marcia estenuante in direzione della Russia orientale, lungo la traccia interminabile della transiberiana. Attraverso quattro fermate, quattro stagioni e quattro ambienti, Exodus seguirà la rivalsa di Artyom e del suo gruppo di sopravvissuti. In questo suo lavoro di espansione e rifinitura del contesto apocalittico della saga si trova uno dei capisaldi della produzione: gli scenari e i personaggi che incontriamo raccontano con una grande intensità la storia di una catastrofe nucleare e umana, rappresentando un eterogeneo catalogo di disopie post-atomiche. D'altro canto non tutte le soluzioni adottate dal team di sviluppo ci sono sembrate completamente a fuoco. La volontà di allargare le aree di gioco per allontanarsi dalla linearità, ad esempio, non sempre dà i frutti sperati. Pur senza la marea di fetch quest e incarichi secondari che di solito si affollano sulle mappe degli open world, le missioni opzionali e gli spostamenti allentano un po' i ritmi dell'avventura. I momenti migliori restano quelli in cui Exodus ribadisce la sua appartenenza alla serie, lavorando su missioni sì lineari, ma intense e ben costruite. A monte c'è un gameplay che mescola uno shooting ruvido e duro con elementi survival ben integrati con il contesto, mai invasivi e ben bilanciati. Per quanto sia imperfetto in alcuni aspetti, Metro: Exodus è importante anche perché lotta fino in fondo per non far sparire gli FPS narrativi e orgogliosamente concentrati sul single player, rispondendo all'approccio ipercinetico e accelerato di Bethesda con un impasto ludico più ragionato e focalizzato sull'immersione. Un prodotto forse non adatto a tutti, che anche per questo merita rispetto e attenzione. Speriamo che il team riesca a smussare le piccole asperità tecniche in tempo per l'uscita.

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