Super Meat Boy Forever: corri Meat Boy, corri!

A otto anni dal primo episodio, Super Meat Boy torna alla carica con un seguito con controlli semplificati e un livello di difficoltà ancora più estremo.

Super Meat Boy Forever: corri Meat Boy, corri!
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  • Come potrete facilmente immaginare, in dieci anni esatti di E3 credo di aver visto fondamentalmente tutto e il contrario di tutto: annunci bomba, conferenze epocali, stand fuori da ogni logica, superstar dell'industry che fanno pipì accanto a te - a tal proposito, posso confermarvi per esperienza diretta che Peter Moore la fa come qualsiasi altro essere umano... - e molto altro ancora. Uno dei ricordi che senza dubbio conservo con maggior piacere risale in particolare all'edizione 2010, ed è legato a Super Meat Boy: poco prima dell'uscita, quando l'opera prima del Team Meat non si era ancora affermata come il cult che sarebbe successivamente diventato, posso dire di aver assistito a una specie di piccolo miracolo. In un angolino sfigato dello stand Xbox ho visto formarsi (più di una volta) capannelli di gente rimasta semplicemente a bocca aperta di fronte a un gioco che aveva dell'impossibile. Così, solo e soltanto per il puro gusto di fermarsi un attimo a vedere come si potesse riuscire a giocare qualcosa di così incredibilmente crudele e all'apparenza sovraumano, tra salti oltre ogni limite, motoseghe ovunque e missili a ricerca.
    E il bello è che la gente non si fermava solamente a guardare i temerari che decidevano di impugnare un controller. No, la gente arrivava letteralmente a tifare per loro, disperandosi all'unisono per un salto sbagliato o esultando di gioia per un livello portato a termine dopo decine di tentativi. Credetemi, non solo ho perso il conto delle pacche sulle spalle e delle strette di mano, ma ho addirittura visto perfetti sconosciuti arrivare ad abbracciarsi nel momento in cui qualcuno riusciva a superare questo o quel maledetto ostacolo, con uno spirito di gruppo tanto immotivato quanto struggente. Il tutto di fronte agli sguardi attoniti dei due creatori, Tommy Refenes e Edmund McMillen, che palesemente non si sarebbero mai aspettati nulla di simile. Io stesso mi sono ritrovato tanto a giocare quanto a tifare, e ricordo che il gioco mi aveva preso al punto da farmi tornare e ritornare in zona nel corso dei tre giorni di fiera. Grandi, grandissimi momenti.

    Non chiamatelo endless runner

    Fast forward a oggi: otto anni più tardi molte cose sono cambiate, eppure sia io che Refenes - il programmatore che rappresenta la metà rimasta in possesso del nome e della licenza del Team Meat, con McMillen concentrato su altri progetti personali che vanno da The Binding of Isaac in giù - non abbiamo certo dimenticato quelle incredibili scene, quell'alchimia fuori di testa che a pensarci quasi non sembra neppure vero. Incontro Tommy nell'area dedicata alla galleria d'arte Into The Pixel: ha questo giro non ha un stand vero e proprio stand e viaggia col suo Macbook appoggiato a un tavolino per far provare Super Meat Boy Forever, il seguito di quello che nel frattempo è diventato non solo un classico, bensì uno dei precursori e degli alfieri dell'intera scena indie (vedere il meraviglioso documentario Indie Game: The Movie per credere).

    Super Meat Boy corre da solo in stile endless runner, ma i livelli hanno sempre un inizio e una fine prestabilita. Nel mezzo, follia a metà strada tra design studiato e randomicità procedurale.

    Refenes mi racconta che l'idea alla base del sequel è nata dal boom dell'originale, e in particolare dall'esigenza di rispondere alla mostruosa domanda di chi reclamava a gran voce un Super Meat Boy per smartphone. Una richiesta a quanto pare assai sentita all'epoca, che però mal si sposava con la natura del titolo stesso - parliamo dopotutto di un platform diabolico con un level design oltre la soglia del sadismo, che avrebbe richiesto una precisione in termini di controllo assolutamente incompatibile con l'assenza di uno stick analogico reale, fisico. Come dimostra la sua creatura, Refenes è ad ogni modo uno che ama le sfide, e dunque non si perde d'animo: durante la GDC 2013, direttamente dalla sua stanza d'hotel, modifica il codice di Super Meat Boy inserendo un comando per far correre in maniera autonoma il protagonista, lasciando di fatto all'utente la sola gestione del salto (un po' come accade negli endless runner, per intenderci).

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    Dal 2013 a oggi, qualcosa però cambia: il progetto passa dal porting dell'originale a un vero e proprio seguito costruito al 100% attorno al nuovo sistema di controllo, con la trovata di far muovere in modo indipendente il piccolo blocchetto di carne che diventa la perfetta scusa per soluzioni di design ancora più crudeli ed estreme, basate su un singolo input utilizzato per saltare o per tirare un pugno e interagire con ostacoli/nemici. Un'idea che galvanizza Refenes - per sua stessa ammissione ben poco esaltato dalla prospettiva di un successore che si limitasse a essere letteralmente Super Meat Boy 2, ovvero la formula del primo episodio con una valanga di nuovi livelli - e che, controller alla mano, conferisce un feeling particolare all'insieme. Sulle prime infatti si sente innegabilmente la mancanza del controllo diretto del cubettoso protagonista, e ci vuole del tempo per abituarsi al concetto di dover gestire l'azione in maniera diversa. Una mancanza di immediatezza un po' paradossale per un videogame costruito attorno a un unico tasto.

    Non che il gioco si premuri in qualche modo di semplificarti la vita o di metterti a tuo agio: il livello di difficoltà resta mostruoso, ed è un bene che sia così (perché stava nel suo essere brutale ma onestissimo il grande pregio di Super Meat Boy). Come però per la direzione artistica, passata da una pixel art un po' rozza ma a suo modo adorabile a uno stile vettoriale palesemente più rifinito e più curato eppure al tempo stesso più freddo e forse meno di carattere, qualcosa non sembra tornare del tutto.

    Difficile individuare esattamente cosa, perché a suo modo quel che c'è funziona e funziona pure bene, ciononostante non devo ammettere di non aver sentito quella scintilla, quell'energia e quel brivido che, come raccontavo in apertura, otto anni fa aveva folgorato all'istante me e tantissimi altri.

    Il sistema di replay, che al completamento di un livello mostra tutte le vite spese per arrivare alla fine in contemporanea, è stato rivisto e arricchito, con risultati ancora più spettacolari.

    Con ormai un quinquennio di sviluppo sulle spalle, Super Meat Boy Forever ambisce a essere comunque un titolo più profondo e più strutturato del predecessore: basti pensare agli oltre settecento livelli di gioco, peraltro creati con un sistema di moduli procedurali in grado di renderli sempre diversi uno dall'altro. Refenes e il suo nuovo socio, un level designer descritto come un geniaccio dalla creatività incontenibile, si sono infatti inventati un sistema che assembla in maniera casuale spezzoni di livello attentamente studiati a mano, in modo tale da aggiungere un quid di imprevedibilità alla progressione e alla sfida. Refenes ha paragonato la cosa alle costruzioni LEGO, spiegandomi che ogni singolo set di salti, ostacoli e avversari è stato creato ad hoc con gusto e criterio orgogliosamente umano (come se fosse un mattoncino LEGO, appunto), mentre la successione di mattoncini stessi è affidata alla variabile random di un algoritmo.

    In arrivo nel 2019 più o meno su qualsiasi piattaforma - con la versione per Nintendo Switch ormai in primo piano, dopo le clamorose (e inattese) vendite dell'originale sulla console ibrida della Grande N - Super Meat Boy Forever è destinato a portarsi dietro un beffardo paradosso: nonostante sia nata come porting per smartphone, la prossima fatica del Team Meat non sarà infatti disponibile al lancio su dispositivi iOS e Android, perché Refenes deve ancora trovare la quadra a livello di prezzo e modello di vendita in formato mobile. L'intenzione è quella di uscire "al tipico price point da gioco indie, tra i 14.99 e i 19.99€", una cifra che il papà di Bandage Girl giudica incompatibile con il panorama del gaming su cellulari. Non essendoci intenzione di scegliere un modello free to play con vite a pagamento o altre amenità simili ("magari ci farei un milione di dollari in pochi giorni e potrei scappare su un'isola tropicale, ma non è ciò che voglio e ciò che mi sembra giusto...", mi spiega ridendo Refenes), il piano per ora resta quello di procedere col resto e affrontare la questione più avanti, un passo alla volta. Un approccio non troppo diverso da come si affrontano i micidiali stage del gioco, insomma.

    Super Meat Boy Forever Super Meat Boy Forever sembra essere un seguito non convenzionale di uno dei pesi massimi della scena indie, un autentico fenomeno che nel 2010 ha contribuito alla rinascita delle produzioni orgogliosamente lontane dal contesto mainstream. Pur conservando l'anima fieramente hardcore dell'originale, la seconda proposta del Team Meat - rimasto nel frattempo orfano dell'acume di Edmund McMillen, che senza litigi o rimorsi ha scelto una carriera diversa, in solitaria - mi ha dato l'impressione di un titolo valido e curato, ma nettamente meno accattivante e sorprendente del predecessore. Rimane comunque presto per giudicare un platform ambizioso, perverso e implacabile: serviranno parecchie più ore (nonché migliaia e migliaia di vite sprecate) per avere un quadro più preciso della situazione, a partire dall'anno prossimo.

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