A Hat in Time Recensione: un platform 3D ispirato a Super Mario Sunshine

Opera prima dello studio danese Gears for Breakfast, A Hat in Time è un platform collectathon che strizza l‘occhio a Super Mario Sunshine.

A Hat in Time Recensione: un platform 3D ispirato a Super Mario Sunshine
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Difficile tornare a parlare di platform game dopo un'annata che ha visto Super Mario Odyssey ergersi a sovrano incontrastato del genere. È difficile anche perché gli altri progetti che si sono messi a confronto con questa tipologia di videogiochi, subito dopo o subito prima del Re, non ne sono usciti con le ossa particolarmente intatte. Si pensi all'attesissimo Yooka-Laylee, rivelatosi molto al di sotto delle aspettative dei fan, oppure a Super Lucky's Tale, che è riuscito a fare anche peggio nonostante il buon esordio in ambito VR.
    Eppure c'è un titolo che, senza azzardarci a fare confronti diretti con il peso massimo di Nintendo, qualcosa è comunque stato in grado di dimostrare. È il primo gioco edito da Humble Bundle, opera primigenia del team danese Gears for Breakfast, ed è attualmente disponibile in versione PC per poco meno di trenta euro, quasi pronto ad esordire anche su PS4 e Xbox One. Ci riferiamo ad A Hat in Time, una piccola, inaspettata e graditissima sorpresa di questi ultimi mesi tardo autunnali.

    2017: l'anno dei cappelli

    La protagonista di A Hat in Time è un'esploratrice spaziale che suole vagare per la galassia a bordo di una casa-astronave alimentata dalle Clessidre, oggetti magici che la giovane ha collezionato in gran quantità nel corso dei suoi viaggi. Un giorno come tanti la navicella viene aperta dall'esterno da un omone in giacca e cravatta, provocando la fuoriuscita di tutte le Clessidre che, come pioggia, si sparpagliano tra le superfici dei pianeti sottostanti. È chiaro fin da queste poche righe che il fattore narrativo non sia l'aspetto su cui la produzione punti con maggiore enfasi, benché poi la vicenda si sviluppi quel pizzico che basta fino a confluire in un finale quantomeno gradevole. L'incipit è piuttosto un pretesto per introdurre alcuni tratti di gameplay che andranno a comporre l'esperienza di lì a breve. Dalla nave spaziale, hub di gioco in tutto e per tutto, la ragazza può raggiungere alcuni telescopi -inizialmente uno, con altri quattro in attesa dell'unlock- che servono a teletrasportarsi all'interno dei vari mondi.
    Similmente a Super Mario Sunshine, ciascuno dei cinque macro-stage è suddiviso in capitoli, che portano il giocatore a ripercorrere le strade dello stesso scenario in situazioni e secondo obiettivi ogni volta differenti. Ogni capitolo termina al ritrovamento di una Clessidra, l'equivalente di Stelle, Soli e Lune dei titoli con protagonista l'idraulico per definizione. Completandoli tutti si sblocca una boss fight che chiude il ciclo della mini-storia raccontata tra un capitolo e l‘altro del mondo di riferimento. Ci sono anche dei livelli segreti, detti Time Rift, che si raggiungono scovando dei piccoli wormhole nascosti tra gli anfratti del setting.
    Sono brevi prove bonus ambientate in un universo parallelo di poligoni monocromatici, dove la componente di salti, rincorse e wall jump diventa assolutamente predominante rispetto alle altre meccaniche di A Hat in Time. Una delle quali, forse la più importante assieme al platforming, è sicuramente legata all'esplorazione. Prima ancora di essere un gioco di piattaforme, infatti, l‘opera targata Gears for Breakfast è un collectathon che omaggia i grandi classici di un sottogenere ormai poco in vista: uno su tutti Banjo-Kazooie, esplicitamente citato come fonte d'ispirazione dagli stessi sviluppatori.

    Ciò significa che, nelle circa otto ore necessarie a completarlo e poi oltre, è d'uopo scandagliare ciascuna ambientazione in cerca di Clessidre, diamanti, monete e una quantità notevole di altri collezionabili utili ai fini più disparati, dall'acquisto di nuovi perk all'abbellimento della propria casetta spaziale. Per farlo la ragazzina dovrà sfruttare dei cappelli magici, a loro volta "craftabili" racimolando i gomitoli di lana del colore corrispondente.
    Si parte con il cappello a cilindro standard, che ha il potere di evidenziare gli obiettivi primari di ogni livello, a cui si aggiungono le possibilità di creare, tra gli altri, un cerchietto per accelerare la corsa, un berretto da strega per creare delle pozioni esplosive, un copricapo da volpe per materializzare certe strutture invisibili per qualche secondo.
    Entrare in possesso di nuovi cappelli significa poter raggiungere zone della mappa precedentemente inaccessibili, il che permette ai livelli di non esaurire il proprio interesse dopo una sola visita. Il gioco vive anzi di quel po' di backtracking tra gli scenari che, tuttavia, non risulta affatto tedioso, per i motivi di cui subito andiamo a scrivere.

    Di pianeta in pianeta

    Citavamo Super Mario Sunshine in merito alla suddivisione dei mondi in capitoli, ma è ragionevole affermare che il Mario tropicaleggiante per Nintendo GameCube sia importante punto di riferimento di A Hat in Time a trecentosessanta gradi. Lo è senza dubbio per quanto riguarda il platforming e il sistema di controllo della protagonista in generale.
    Che è insomma un control system acrobatico, che punta molto sul movimento pimpante del personaggio e sulla sua capacità di zompare sui muri, di rimbalzare sulle corde sospese, di piroettare sugli oggetti di scena e sui nemici, così da restituire un'azione molto fluida e coreografica.

    Sistema di controllo che, coadiuvato dall'utilizzo reiterato dei cappelli e di altri gadget tipici del platformer, si sposa perfettamente alle ottime scelte di level design operate dal team di sviluppo danese. Alla Delfinia di Sunshine strizza l'occhio manifestamente Mafia Town, località balneare presidiata da tanti mafiosi dall'accento italiota fatti con lo stampino. Mafia Town è sicuramente uno dei mondi più "ariosi" dell'universo di A Hat in Time, assieme ad Alpine Skyline, ambientazione che fa affidamento su un'esplorazione simil-free roaming. Più in generale, il gioco sorprende per un'inaspettata varietà dei setting, elemento che rende la progressione appassionante e mai ripetitiva. Il giocatore si troverà in una palude spettrale che tanto ricorda gli scenari infestati della serie "mariesca"; sul set di un thriller cinematografico che fa il verso ad Assassinio sull'Orient Express; tra le viuzze di un festival urbano tutto paillette e luci stroboscopiche.
    Un intervallarsi incessante di spazi aperti e sfide più guidate, che non rinuncia neppure a declinare il gameplay in modi diversi dal consueto salto tra piattaforme, finanche poggiando su sezioni stealth abbastanza indovinate. Se c'è qualcosa di A Hat in Time che non convince appieno è invece il character design complessivo, piuttosto anonimo e ben poco memorabile. Fanno da contraltare una grafica in cel shading allegra e sgargiante nonché, soprattutto, una magnifica colonna sonora ispirata a quelle dei classici Rare, non a caso composta in collaborazione con Grant Kirkhope, i cui lavori dimorano ormai nell'Olimpo della musica per videogame a pieno diritto.
    Nota a margine: il videogioco è scritto e doppiato in inglese, ma manca una localizzazione pur parziale in lingua italiana. Poco male: i dialoghi sono sceneggiati attingendo a un vocabolario piuttosto elementare, comprensibili anche da chi non masticasse l'idioma alla perfezione.

    A Hat in Time A Hat in TimeVersione Analizzata PCA conti fatti, la reale sfortuna di A Hat in Time è stata quella di esordire pressappoco in concomitanza con la nuova avventura 3D di Sua Maestà dai folti baffi, così da non ricevere le attenzioni che avrebbe meritato. Il gioco è infatti a dir poco delizioso, ricco di contenuti e con una personalità ludica ben definita, che omaggia i suoi idoli digitali senza rinunciare a dare il suo contributo a un genere che sta recuperando terreno proprio grazie a questo 2017. La fortuna è che i videogiochi non abbiano una data di scadenza, motivo per cui l’opera prima di Gears for Breakfast è un titolo che tutti gli amanti del platform, orfani di una formula collectathon che Yooka-Laylee non è stato del tutto in grado di riportare in auge, dovrebbero assolutamente recuperare.

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