A Way Out Recensione: la grande fuga

Dagli autori di Brothers A Tale of Two Sons arriva un gioco d'azione dal taglio cinematografico che conquisterà gli amanti delle emozioni forti.

A Way Out
Recensione: PlayStation 4 Pro
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Il nostro primo contatto con A Way Out risale allo scorso giugno, quando, nel cuore dell'evento EA Play, ci siamo trovati in una stanzetta solitaria nella quale aleggiava, persistente, un buon odore di luppolo fermentato. Un odore emanato, a fiere ondate, dal personaggio seduto in un angolo della sala, Josef Fares, colui che di lì a poco sarebbe diventato la nostra migliore scommessa per questo 2018 videoludico. Al tempo non avevamo ben chiaro in mente cosa volesse essere A Way Out, ma di una cosa eravamo più che sicuri: il gioco era in buone mani. Non avevamo mai visto uno sviluppatore tanto appassionato ( e folle), tanto desideroso di condividere col mondo la sua visione, tanto sicuro di avere le carte in regola per creare un'esperienza senza uguali.? Beh, cavolo, ci avevamo visto lungo.

    Dichiarazione d'intenti

    A chi ama il videogioco come forma di espressione artistica, come manifestazione di quella creatività che rende unico e speciale l'umano intelletto, capita spesso di equiparare questo medium alle 7 arti "superiori", sublimazione multiforme di concetti che risuonano armonicamente con le corde della nostra anima. E d'altronde perché negare la giusta definizione alle emozioni che ci pervadono davanti a un gioco in grado di toccare il nostro io profondo, di farci scoprire cose che non conoscevamo, quasi fossimo bambini nuovi al mondo.
    È pur vero, però, che il videogioco non sempre è in grado di superare i confini dell'opera di intrattenimento, specialmente ora che il medium comincia ad avvicinarsi alla sua maturità espressiva, figlia di una codificazione che rende difficile creare qualcosa di realmente nuovo, di genuinamente sorprendente.

    Specialmente agli occhi di chi ha cominciato a giocare a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90, un'epoca d'oro per la sperimentazione in ambito videoludico, quando quasi ogni trovata poteva vantare un certo grado di innovazione.
    Non è certo un caso se la fetta più matura dell'utenza non può fare a meno di ricordare nostalgicamente quei tempi in cui ogni click, ogni digitazione risplendeva di un lampo di sorpresa, da condividere a voce con i compagni pionieri di quella che, al tempo, era una passione di nicchia. Sebbene il videogioco sia ancora in grado di rinnovarsi come forma espressiva, trent'anni dopo risulta sempre più difficile sfuggire al manierismo di una massificazione che ci ha dato tanto, ma che al contempo ci ha progressivamente sottratto il piacere della sorpresa, ora sempre più raro e, di conseguenza, preziosissimo.
    Una marmellata di parole al sapor di malinconia che ci serve per individuare sin da subito il nodo centrale, la colonna portante dell'offerta del nuovo titolo di Hazelight: la capacità di sorprendere a ogni passo, come non succedeva da tanto, troppo tempo. Quell'amabile scriteriato di Josef Fares ci propone un concept radicale, che porta sui nostri schermi un titolo che può essere affrontato esclusivamente in compagnia di un altro giocatore. Una scelta più che rischiosa, in netta controtendenza con quello che è l'attuale panorama di mercato. Un azzardo che però rappresenta solo la base di un costrutto ludico che rimane sempre fedele a un singolo proposito: quello di offrire al pubblico un'esperienza completamente nuova, totalizzante, unica. Per questo motivo non possiamo, né vogliamo raccontarvi nel dettaglio cosa si nasconde dietro la generica definizione "action-adventure" di A Way Out. Sarebbe un vero delitto. Possiamo però darvi un'idea di come Fares è riuscito a dare senso alla valanga di "dita medie" mitragliate qua e là nel corso dell'ultimo anno.

    A Tale of Two Men

    A Way Out si apre con un lungo piano sequenza che vola, carico di suggestioni, lungo il perimetro di un carcere di massima sicurezza. Già qui è facile intravedere il passato e il presente registico di Fares, che mostra sin da subito un grande talento per i "long take" di stampo cinematografico, con movimenti di camera morbidi e di grande effetto che avvolgono la scena e incantano l'occhio. Doti che non perdono di smalto neanche quanto la schermata si divide in più parti, sia in verticale che in orizzontale, per seguire le vicende di entrambi i personaggi. I richiami a stilistici a maestri come Scorsese e Antonioni abbondano, così come non mancano strizzate d'occhio più o meno lampanti al modus operandi di Tarantino e Park Chan-wook (Oldboy).

    Leo Caruso e Vincent Moretti sono due uomini molto diversi, animati da una caratterizzazione profonda e trascinante, tale da spingere i giocatori ad assecondarne naturalmente i tratti distintivi. Entrambi sono stati forgiati da un passato tormentato, che li ha condotti a condividere il cortile assolato del penitenziario che ospita le fasi iniziali dell'avventura. Queste prime battute, che risuonano tematicamente con capolavori del calibro de "Le ali della libertà" e "Fratello, dove sei?", pongono le basi del rapporto tra i due personaggi, e permettono ai giocatori di afferrare quelle che, almeno inizialmente, sono le fondamenta strutturali del gameplay. Protagonista ciascuno della propria inquadratura, i due uomini saranno chiamati a collaborare per sopravvivere alla terribile quotidianità della vita carceraria, fino alla stretta di una riluttante alleanza votata ad un comune obiettivo: la libertà.
    Questi momenti, ludicamente parlando, non si distanziano molto dal canone moderno degli adventure game in terza persona, con punti d'interesse con cui interagire e quick time events (legati in genere a due soli tasti) da superare, magari in sincrono durante una furiosa scazzottata. A questo punto del gioco anche la gestione delle inquadrature e della partizione dello scena non sorprende particolarmente per audacia, e si nota perfino qualche lieve problema di telecamera, specialmente quando la regia dinamica "soffoca" uno dei giocatori in una porzione decisamente ridotta dello schermo.
    Meno di un'ora dopo, la raccolta degli strumenti necessari alla "grande fuga" introduce un elemento di asimmetria che rimescola le carte in tavola e già permette di intravedere i tratti di un disegno ludico mutevole, che rifiuta categoricamente di riproporre le proprie routine.

    A un certo punto ad esempio, dovremmo fare il possibile per distrarre una guardia e permettere così al nostro compagno di accedere, in modalità stealth, a un'area contenente un oggetto utile. In questi casi non sono tanto le scelte di dialogo a fare la differenza, quanto il tempismo calcolato al millesimo interagendo a voce con l'altro giocatore.
    Una costante che si fa ancor più essenziale quando, ad esempio, dovremo scalare spalla a spalla un condotto verticale, coordinando perfettamente la pressione dei tasti sui due pad.
    Il tempo di abituarci a questa nuova soluzione, ed ecco che il gioco cambia di nuovo, accelera le proprie ritmiche, gioca con l'asimmetria delle dinamiche e di nuovo con la coordinazione perfetta, fino al primo punto di svolta, quando i due personaggi sono costretti a decidere quale sia la migliore strategia per sfuggire ai propri inseguitori. In questi momenti, i giocatori - non i personaggi - sono costretti a dialogare tra loro per accordarsi sulla strada da intraprendere, optando per uno di due percorsi che, nella stragrande maggioranza dei casi, conducono a scenari di gameplay radicalmente differenti.
    Il tempo di recuperare qualche battito con una scena più calma, incentrata sull'approfondimento del rapporto tra i due protagonisti, ed ecco che Fares ribalta nuovamente il gameplay e ci catapulta in una mappa più ampia, spingendoci ad elaborare liberamente - almeno in apparenza - un piano per sottomettere due vecchi campagnoli e sottrargli vestiti e veicolo.
    Di scena in scena, tra l'altro, scopriamo una miriade di minigiochi ideati per stimolare l'interazione tra i due giocatori, tra gare di freccette, duetti musicali improvvisati e partite a "Forza 4". Nel quadro della produzione, però, non si tratta di semplici riempitivi, dato che questi "passatempi" vanno a rinsaldare le pareti di quella cassa di risonanza emotiva che va formandosi, scena dopo scena, tra i giocatori, che si fanno eco l'un l'altro tra proclami di stupore e momenti di muta sorpresa. Qualche minuto di riposo e il dinamico duo è di nuovo sulla strada, coinvolto in un inseguimento mozzafiato che bipartisce il gameplay in due entità distinte, con un giocatore alla guida e l'altro impegnato a scoraggiare a suon di piombo gli inseguitori. Una pletora di meccaniche in continua evoluzione che, quasi miracolosamente, non mostra mai il fianco con tentennamenti qualitativi.

    Lo shooting funziona bene, l'handling delle auto risulta sorprendentemente congruo e perfino lo stealth, per quanto semplice, rispetta i giusti canoni di genere. Per quanto paradossale possa sembrare, l'unico elemento ripetitivo del gioco è proprio la sua capacità di non ripetersi mai, o almeno di rielaborare sempre la propria formula per suscitare meraviglia.
    Quando il "topos" della fuga-inseguimento comincia a farsi troppo battuto, ecco che Fares ci butta in mezzo un cambio registico totale, con un piano sequenza unico che insegue e isola i due personaggi, magari con un bel topping di beat ‘em up a scorrimento uscito fuori dal nulla. A Way Out va avanti così, con una ritmica serrata e incalzante, fino al momento dei titoli di coda, e perfino oltre, con delle trovate narrative che non esitiamo a definire clamorose, che annullano ogni sentore di inconsistenza. Sì, perché anche la trama ordita da Hazelight è un concentrato di guizzi brillanti e svolte inattese, che assieme al gameplay forma una concertazione praticamente perfetta, senza cedimenti.
    Prese singolarmente, le dinamiche offerte dal gioco possono non sembrare particolarmente rivoluzionarie, fino a che non si rimane a bocca aperta quando ci si rende conto della magia degli intrecci registici ideati da Fares e colleghi.
    Durante un inseguimento, ad esempio, i due protagonisti si trovano isolati su strade diverse, liberi di schiantarsi su un lato della corsia, rallentare o procedere a tutta velocità ignorando tutto e tutti.
    La scena degenera in puro sbigottimento quando, senza indizi di forzatura o interruzioni, i due si ritrovano di nuovo nella stessa inquadratura, con una naturalezza disarmante, proprio nel momento clou dell'azione.

    Scene come questa, inevitabilmente, alimentano la sensazione che il team di sviluppo abbia composto il titolo come un gioco di specchi nel quale ogni svolta, ogni scelta operata sia in realtà puramente illusoria, priva di conseguenze concrete sulla progressione veicolata sia dal gameplay che dalla storia. Sebbene la sospensione dell' incredulità evocata dal prodotto tolga a questo dubbio gran parte del suo peso, abbiamo avuto modo di verificare che in buona parte dei casi non c'è nessuna illusione o inganno, ma piuttosto una magistrale composizione di game design e perizia creativa, tanto perfetta da sembrare posticcia. Un crescendo di idee che arricchisce i giocatori, e li premia con una valanga di splendidi momenti di condivisione, frutto di una formula cooperativa mai vista finora.
    Giunti ai titoli di coda dopo sei ore volate in una doppia pulsazione all'unisono, non potrete fare a meno di passarne almeno un'altra a parlare con il vostro compagno di quanto avrete appena visto e vissuto. E questo, se possibile, è il più grande lascito di A Way Out: un bagaglio di ricordi indimenticabili, scolpiti indelebilmente nella vostra memoria di videogiocatori.

    Quando lo stile è più importante della tecnica

    Basato sul potente Unreal Engine 4, A Way Out non è certo una produzione in grado di riscrivere i canoni del pregio grafico multipiattaforma, ma in fondo non questo l'obiettivo del team svedese, composto, tra l'altro, da un'esigua manciata di talentuosi sviluppatori. Sebbene nel titolo abbondino texture sgranate, ombre a bassa risoluzione e shader vecchi di una generazione, la direzione artistica riesce a compensare alla stragrande offrendo un colpo d'occhio di sicuro impatto, con scenari ricchi di dettagli esaltati da una regia, come detto, sempre brillante. La qualità media della scena è sostenuta anche da un sistema d'illuminazione pregevole, che mette in risalto la fotografia di questo lungometraggio videoludico.

    Il level design, assieme alla strutturazione polimorfica del gameplay, rappresenta inoltre il vero punto forte della produzione, con livelli perfettamente navigabili, anche ai ritmi ipercinetici di un inseguimento mortale. Fatta eccezione per i protagonisti, delineati con uno stile leggermente caricaturale ma molto funzionale alla caratterizzazione, la gran parte degli npc appaiono come ammassi poligonali slavati e generici, con l'aggravante di un'animazione piuttosto legnosa, anche quando a muoversi sono Leo e Vincent.
    Difetti che però non influiscono negativamente sulla giocabilità, che rimane sempre su alti livelli qualitativi, anche per merito di un buon sistema di controllo, privo di problematiche di rilievo. Anche dal punto di vista del frame rate, il gioco vanta, almeno su PS4 Pro, una buona stabilità, anche nelle situazioni più concitate, con diverse sezioni ambientali renderizzate allo stesso momento. Molto buone anche le musiche, una selezione di brani che riesce a sottolineare alla perfezione ogni situazione, rinvigorendo la presa emotiva del prodotto. Lo stesso discorso vale per il doppiaggio che, al netto di qualche cedimento interpretativo, delinea due personaggi credibili, nei quali è facile immedesimarsi. Parlando della scelta, estrema, di dare al titolo un'impostazione esclusivamente cooperativa, si tratta a conti fatti di una strategia vincente, eccezionalmente funzionale al tipo di esperienza che il gioco propone. Il modo migliore per affrontare A Way Out è spalla a spalla con un amico, in locale, per trarre il massimo dagli accesi scambi vocali che accompagnano ogni passaggio del gioco. Il senso di partecipazione, di condivisione che viene a crearsi arricchisce il gameplay in un modo che è difficile descrivere, e per questo non possiamo fare a meno di consigliarvi di vivere il titolo in questo preciso modo, magari tutto d'un fiato. D'altronde raggiungere i titoli di coda non vi richiederà più di sei ore di gioco, una quantità ben bilanciata sia con le caratteristiche ludiche del prodotto, sia con il prezzo di listino, pari a trenta euro circa.

    A Way Out A Way OutVersione Analizzata PlayStation 4A Way Out è una delle esperienze più innovative e sorprendenti che abbiamo avuto il piacere di giocare negli ultimi anni. L’opera di Hazelight è un concentrato di coraggio e creatività senza vincoli, una sorta di specchio poligonale del suo ideatore. Tutto, dalla regia alla giocabilità, contribuisce a creare un flusso ludico ritmicamente perfetto, che continua a sorprendere gli utenti per tutta la durata dell’avventura. Il gioco di Josef Fares ha la meravigliosa capacità di rinnovarsi a ogni svolta, in un contesto narrativo che ricalca le medesime, stupefacenti, caratteristiche del gameplay. Sei ore che scorrono in un batter d’occhio, regalando agli utenti una quantità incredibile di memorie condivise. In un periodo nel quale risulta sempre più difficile afferrare il concetto di pura innovazione in ambito videoludico, A Way Out riesce a farci tornare ai tempi in cui tutto era novità, tutto era fresco e inedito, ed è un regalo a dir poco prezioso.

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