Recensione AlienSyndrome

Gli alieni ci stanno attaccando. E purtroppo non sono quelli di Ridley Scott.

Recensione AlienSyndrome
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  • Wii
  • Psp
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    Fin dal principio della loro affermazione commerciale, i videogiochi hanno intessuto col cinema un’ambigua relazione fatta di citazioni, furti ed ispirazioni reciproche. Non ci stiamo riferendo solo ai cosiddetti Tie-in o agli adattamenti cinematografici dei nostri passatempi interattivi. Stiamo parlando di una liaison nella quale i film traspongono al loro interno dinamiche simili a quelle videoludiche e i giochi elettronici traslano nei loro bit e byte tematiche o soluzioni narrative prettamente filmiche. Attenendoci al secondo dei due esempi, negli anni ottanta, quando Michael Jackson era ancora la killer application di Mtv e non il Babau del villaggio globale e i video con le contorsioni erotico/ginniche di Pamela e Tommy Lee erano ancora lontani, c’era una saga cinematografica che grazie a registi del calibro di Ridley Scott e James Cameron stava vivendo il suo momento di massimo splendore. Parliamo ovviamente dell’epopea dei tenerissimi Alien, partoriti dalla mente (evidentemente malata e contorta) di Hans Ruedi Giger. Proprio il secondo capitolo della saga è servito come “suggerimento” agli sviluppatori Sega mentre cercavano delle idee per un arcade game dal titolo “Alien Syndrome”.
    Dopo vent’anni, forse in vena d’operazioni nostalgia, Sega ha deciso di pubblicare su Wii e Psp un action RPG intitolato, repetita iuvant, Alien Syndrome, affidandone lo sviluppo al team californiano Totally Games celebre, in passato, per gli ottimi Tie-in simulativi per Pc ispirati all’universo di Star Wars come, tanto per citare uno dei più celebri, TIE Fighter.
    Cerchiamo di capire se, ora che stanno per uscire pezzi da novanta come Metroid, il lavoro dei ragazzotti californiani valga i 50 euro del suo cartellino.

    Vengono fuori dalle pareti! Vengono fuori dalle fo**ute pareti!

    Questa nuova produzione Sega prende piede cento anni dopo i fatti narrati nel vecchio arcade di Alien Syndrome. La trama alla base è banale e vagamente ammantata di “già sentito”: nel solito “lontano futuro”, il genere umano ha raggiunto elevati standard d’evoluzione tecnologica, tanto da poter raggiungere, a bordo di sofisticate atronavi, gli angoli più remoti della galassia, colonizzandoli a tutti gli effetti. Le operazioni preventive d’insediamento, prevedono l’invio di speciali unità operative atte a “terraformare” il pianeta ospite.
    Probabilmente avrete già intuito il resto della litania: una di queste colonie di preparazione, denominata Seti-Alpha 5, ha interrotto ormai da tempo il ponte di comunicazione interstellare generando preoccupazione presso il quartier generale del Comando Terrestre che decide pertanto d’inviare in missione d’investigazione l’astronave USS Logos.
    L’intreccio alla base dell’avventura, non brilla certo per la sua originalità. Questo però, nel mondo dei nostri amati ideogames non è necessariamente un dramma. Super Mario salva la Principessa Peach ormai da più di vent’anni e questo non va di certo ad inficiare la qualità dei prodotti che vedono l’idraulico baffuto come protagonista. Nel caso di Alien Syndrome, la trama trita e ritrita è il più lieve dei mali.
    E se il buon giorno si vede dal mattino, si prospetta una giornata uggiosa.

    Nuclearizziamo e partiamo.

    Il primo impatto col gioco è quantomeno preoccupante. La spoglia grafica della schermata di selezione modalità di gioco, fa, infatti, presagire l’andazzo generale del titolo. Inizialmente è possibile selezionare un solo livello di difficoltà predefinito: normal. Gli altri due saranno opzionabili mano a mano che si porta a termine il gioco: ultimando l’avventura normal accederemo al livello difficile e poi, una volta superato quest’ulteriore fatica, anche il modo “esperto” diverrà finalmente (?) disponibile.
    La debole impostazione ruolistica del titolo ci conduce quindi al secondo step, ovvero la selezione del personaggio e delle sue peculiarità e abilità. Il menù di selezione consente, infatti, ai giocatori di creare un carattere dall’inizio o d’importarne uno da una partita salvata in precedenza. Nel caso di un nuovo soggetto, dovremo poi assegnargli una specifica competenza. Il roster prevede 5 generi di attività base: 1) esperto in demolizioni 2) incendiario 3) seal 4) carro armato (inopportuna traduzione di "tank") 5) occhio di falco.
    Come ogni action/GDR, i nostri avatar potranno vantare un pacchetto di caratteristiche di base che variano secondo le competenze. In Alien Syndrome, tali proprietà standard sono quattro. La Forza, che naturalmente sta ad indicare il nostro vigore, è capace d’influenzare il numero massimo di oggetti trasportabili e il bonus dei danni corpo a corpo, la Destrezza, ovvero la nostra velocità di movimento, la Precisione, fondamentale nell’analizzare e colpire con precisione un bersaglio e la Resistenza che sta ad indicare la salute e la costituzione fisica. Le abilità di combattimento sono anche influenzate da altri sotto contrassegni: a seconda dell’armatura che indossiamo saremo in gradi di incassare più danni, il livello energetico delle armi sarà upgradabile così come la velocità di ricarica e la percentuale di assorbimento danni dello scudo. Durante le peregrinazioni negli angusti e spogli ambienti di gioco, potremo inoltre incrementare i punti esperienza del nostro space marine per mezzo dell’uccisione dei nemici e completando i vari livelli. Sarà nostro compito quello di gestire al meglio i punti guadagnati spendendoli nel potenziamento di quei comparti che riterremo più giusto sviluppare.
    Il sistema di controllo fa pieno utilizzo delle periferiche Wii: tanto il Wiimote quanto il Nunchuck sono adoperati durante l’azione. La levetta analogica muove il personaggio indirizzandone la direzione degli spostamenti, ma NON l’indirizzo dei nostri spari: questi, infatti, sono orientati via Wiimote pertanto sarà possibile muoversi in un senso e sparare nell’altro, camminare in avanti e sparare all’indietro e così via. Se ad un primo timido approccio il tutto può sembrare funzionale, dopo alcune sessioni di gioco più approfondite, la meccanica inizia evidentemente a scricchiolare poiché capiterà spesso di sparare alla cieca. La direzione della telecamera è influenzata dal puntatore a schermo e succederà sovente di ritrovarsi in mezzo a sparatorie in cui l’immagine sulla Tv inizierà a girare quasi vorticosamente seguendo l’orientamento degli spari e producendo un caos visivo arduo da gestire.
    Gli altri tasti del nunchuck sono usati per raccogliere gli oggetti (premendo Z) ed attiva lo scudo protettivo (il tasto deputato è C). I pulsanti del Wiimote coordinano tutte le altre feature: per attaccare i nemici potremo avvalerci tanto del grilletto inferiore quanto del tasto A (l’impostazione standard delega al grilletto l’arma principale e ad A quella secondaria, ma la configurazione è customizzabile).
    Le attività di controllo della mappa, di sfruttamento dei pacchetti di ricarica delle munizioni e della salute e il passaggio all’arma secondaria, sono demandate alla croce direzionale, mentre la navigazione nei menù del personaggio e del gioco sono affidate ai tasti - e +. 1 e 2 modificano il livello di zoom della telecamera.
    Il free hand è timidamente supportato nei combattimenti corpo a corpo con le armi ausiliarie. Affondi, attacchi stordenti e pesanti e colpi di grazia sono quello che otterremo a seconda dei movimenti fatti via Wiimote e Nunchuck.
    Le nostre azioni di “guerriglia” saranno costantemente coadiuvate da uno SCARAB (Sentient Combat And Recycling Assembly Bot), un automa del Comando Terrestre che ci accompagnerà nel corso dell’avventura dandoci man forte negli scontri a fuoco, potenziando armi e costruendo oggetti spendendo gli appositi punti.

    You now have one minute to abandon ship!

    Cominciamo dai lati positivi. Anzi, rettifichiamo: DAL lato positivo. Il gioco ha una buona longevità: portare a termine Alien Syndrome è un’attività che può portare via 25 ore abbondanti di gioco. La domanda da porsi è: perché impiegare tutto questo tempo prezioso quando fra pochi giorni uscirà un altro titolo dall’ambientazione fantascientifica di ben altra caratura? Come direbbe Corrado Guzzanti, in arte Quelo, “la risposta è dentro di noi”. Solo che questa volta non è sbagliata, bensì corretta: non esistono motivi validi.
    Il lavoro di Totally Games fa acqua da tutte le parti. Il gameplay è minato alla base da mancanze nella varietà delle ambientazioni, nella caratterizzazione degli alieni e nel sistema di controllo che, se in situazioni non particolarmente concitate può essere appena discreto, diviene inevitabilmente dubbioso e insufficiente in altre. La malsana conduzione della videocamera costringe sovente il giocatore a sparare a caso; abbiamo già accennato al fatto che la gestione della visuale isometrica è influenzata dal puntatore di Wiimote e, come risultato di questo, molto spesso i nemici finiscono fuori della nostra visuale durante gli scontri. L’aver voluto combinare il versante action a quello RPG concorre a trasformare un lavoro che già non brilla per la sua meccanica di gioco in un esperienza che non è né carne né pesce: i momenti di azione mancano della dovuta frenesia e tatticità mentre il lato ruolistico non è dotato della giusta profondità. Probabilmente, se si fosse mantenuta un’impostazione esclusivamente arcade, l’opera, pur rimanendo mediocre, avrebbe giovato di un’identità ludica più definita, magari tutta improntata al semplice “run and gun”, ma in ogni caso idonea ad apportare almeno quella classica sfumatura da gioco senza pretese capace di divertire con del sano blastaggio vecchia scuola a là “Smash Tv”.
    Il piatto scorrere dei livelli, la banalità delle missioni proposte contribuiscono a condire i momenti di gioco con un aura soporifera davvero dura da digerire e a nulla serve l’aggiunta del multiplayer fino a quattro giocatori che, anzi, rende ancora più caotica la già penosa gestione dell’azione a schermo.
    Insomma, quella piacevole sensazione di voler scoprire “cosa c’è dopo” che distingue i videogiochi, e non parliamo necessariamente dei capolavori, ma anche dei normali “prodotti medi”, è totalmente assente in Alien Syndrome e il raggiungimento dei vari Save Point, più che un traguardo, è una liberazione.

    Tassonomie aliene.

    Gli sviluppatori del gioco hanno inserito all’interno del loro lavoro un bestiario alieno composto da circa cento differenti specie. Il problema è che la rozzezza della grafica rende di fatto impossibile apprezzare il lavoro svolto. Tutti gli elementi del videogame, a cominciare dallo sprite principale fino ad arrivare all’ultimo degli alieni, sono composti da pochi poligoni, malamente colorati e pressoché privi di qualsiasi orpello grafico capace di favorire almeno per un secondo la proverbiale sospensione dell’incredulità.
    Non è questione di disquisire sulle potenzialità di Wii e di stare a pontificare per ore se la console Nintendo sia solo “un Gamecube 1.5”o chissà che altro: si tratta solo di constatare come il gioco sia un vero e proprio porting della versione per Psp. Se già sono pillole piuttosto amare da ingoiare le molteplici trasposizioni da Ps2 fatte fin ora, con Alien Syndrome il proverbiale fondo del barile viene grattato proprio a dovere.
    L’utenza Wii sa ormai bene cosa potersi aspettare dalla console e, dopo gli assaggi di Super Mario Galaxy e del prossimo Metroid, l’audience è perfettamente a conoscenza di quello che può essere fatto sfruttando a dovere i chip di Wii. E di sicuro la candida console può fare di più che offrire una sequela di corridoi privi di qualsivoglia estro artistico. Oltretutto, la palette cromatica adoperata è spesso fuorviante: frequentemente nemici e fondali si confondono rendendo le sparatorie seccanti e faticose alla vista.
    Il sonoro fa pendant con la grafica. Nel più fortunato dei casi, a giungere alle nostre orecchie sarà una nenia ripetitiva e tediosa “impreziosita” da un parlato davvero dozzinale.

    Alien Syndrome Alien SyndromeVersione Analizzata Nintendo WiiNon esiste davvero una valida ragione per degnare d’attenzione Alien Syndrome. Si sarebbe anche potuto sorvolare sulla povera realizzazione tecnica se almeno ci fossimo trovati davanti un titolo divertente da giocare e ben strutturato sotto il profilo del gameplay. Quello che ci siamo trovati fra le mani invece è un opera datata sotto il versante meramente estetico - siamo a livelli dei primi giochi per Playstation 2 e non è un’esagerazione - e ludicamente priva di qualsiasi qualità. Ora che l’autunno caldo di Wii sta per iniziare, non possiamo fare altro che consigliarvi di star bene alla larga dal videogame di Totally Software a meno che non vogliate provare l’ebbrezza data da un gioco che trasforma una puntata di “Sottovoce” di Gigi Marzullo in un esperienza simile ad una scossa d’adrenalina.

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