Recensione Big Mutha Trucker

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Recensione Big Mutha Trucker
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Disponibile per
  • PS2
  • Xbox
  • Pc
  • Camionisti si nasce...

    Qualche anno fa, la SEGA propose al grande pubblico (nelle sale giochi prima e su Dreamcast poi) un insolito gioco di guida. In 18 Wheeler, il giocatore si trovava alla guida di un enorme camion in una folle corsa contro il tempo, immerso nel traffico delle grandi autostrade americane. Quello che mancava al gioco della casa giapponese era forse qualche tocco di classe in più, quell’appeal unico che ha reso la figura del camionista americano un cliché tanto conosciuto in tutto il mondo. Sviluppato dalla Eutecnyx, e prodotto dalla Empire Interactive, Big Mutha Trucker si propone di trascinare ‘on the road’ i giocatori di tutto il mondo, per trasformarli in perfetti, e rozzi, camionisti.

    ...bifolchi si diventa

    Fin dalle prime battute appare chiaro che alla Empire non si è fatto nulla per rivalutare la posizione sociale del camionista. Anzi, si è fatto di tutto per far apparire questa categoria di onesti lavoratori quanto più simpaticamente incivile e trasandata possibile. La storia ci porta tra le mura di casa Jackson. La capofamiglia, ‘Ma’, gestisce una società di autotrasporti (la Mutha Trucker Inc. per l’appunto) che è decisa a lasciare in eredità a chi, fra i suoi quattro figli, riuscirà a trarre i maggiori profitti in sessanta giorni a zonzo con il camion. Il gioco ci lascia quindi la scelta tra i quattro sgangherati figliocci di Ma. Ciascuno di essi incarna alla perfezione i canoni dell’autotrasportatore americano: Earl è un panzone dalla canottiera perennemente macchiata di grasso; Bobbie Sue è la classica biondona, tanto avvenente quanto rozza; Rawkis è lo spaccone di turno: apre la portiera del camion con un colpo sulla carrozzeria alla Fonzie e non si separa mai dal suo cappello da cowboy; Cletus infine è lo scemo di famiglia, svampito e perennemente addormentato. Il character design è eccellente sotto ogni punto di vista, e si riflette alla perfezione nei mezzi guidati da ciascun personaggio. Peccato che alla fin fine la scelta del protagonista non influisca minimamente sul gioco, dal momento che le differenze riguardano unicamente l’estetica di ciascun veicolo.
    Due sono le modalità principali di gioco: il ‘Trial con il camion’ e la ‘Modalità missione’.
    Nella modalità trial il giocatore guida il suo mostro da strada per le varie città, cercando di guadagnare quanti più soldi possibili, comprando merci a prezzi stracciati per poi rivenderle a prezzi stellari. Una volta giunto a destinazione, infatti, il giocatore si trova immerso nel mondo tridimensionale di una piccola città, della quale può frequentare il bar, i magazzini e il garage. Se nei magazzini può comprare e vendere le merci presenti nel suo rimorchio, e nel garage può riparare e rifornire il proprio veicolo (ma anche truccarne il motore, piuttosto che potenziarne i freni), è nel bar che può concludere i veri affari. Parlando con i baristi di ciascuna città si raccolgono infatti preziose informazioni su quali siano le località che più hanno bisogno di un certo genere di prima necessità. Sapere che a Greenback c’è un disperato bisogno di petrolio o che i prezzi dei cellulari sono altissimi a Capital City, è di vitale importanza per riuscire a costruire un solido business. Esistono in tutto cinque città, ciascuna con il proprio bar e con le proprie necessità da soddisfare.
    Una volta acquistato un carico e scelta la destinazione, si tratta di guidare un enorme bestione da diciotto ruote sano e salvo fino alla meta.
    Il modello di guida è piuttosto interessante. Impegnativo quanto basta per trasmettere la sensazione di guidare un autoarticolato, ma al tempo stesso divertente e pronto a perdonare qualche errore di troppo. Big Mutha Trucker è un arcade, ma riesce a far capire quanto possa essere difficoltoso trovarsi alla guida di un mezzo così imponente. Lungo la strada delle frecce guidano il giocatore nella scelta dello svincolo giusto. In realtà l’unica preoccupazione nel tragitto è quella di non procurare troppi danni al veicolo, e, nello stesso tempo, non attirare con la propria guida l’attenzione delle pattuglie di polizia o di scalmanate bande di motociclisti, sempre pronti ad attaccar briga e a sganciare dalla motrice il prezioso rimorchio. Una volta giunti a destinazione, non resta che parcheggiare (un parcheggio ben eseguito frutta un premio in denaro), vendere le merci, e ripartire. Di tanto in tanto capita che altri camionisti sfidino il giocatore in una corsa, una scommessa a chi per primo arriverà alla città di destinazione.
    L’altra modalità di gioco propone una serie di missioni completamente slegate l’una dall’altra. Con uno stile che ricorda da vicino un’altro classico SEGA come Crazy Taxy, al giocatore viene chiesto di eseguire una serie di consegne con il proprio camion in un determinato lasso di tempo, oppure di far arrivare intatto un carico di televisori particolarmente fragili. Non mancano poi missioni completamente fuori di testa, come il tiro alla fune con i camion, o la consegna di un carico di pop corn che va costantemente raffreddato investendo gli idranti lungo la strada, il tutto mentre il rimorchio sobbalza e scoppietta a causa del suo contenuto. In definitiva la modalità missione si offre di portare un pò di varietà al gioco principale, effettivamente troppo ripetitivo per garantire un’attrattiva concreta.
    La visuali sono quattro, ma una sola è realmente giocabile. È praticamente impossibile infatti tenere d’occhio il rimorchio con una delle due visuali interne (che si rivelano invece utilissime nelle sfide di parcheggio), mentre la visuale esterna permette di controllare alla perfezione il proprio mezzo. Le manovre appaiono realistiche, mentre la gestione del cambio sarebbe potuta essere più elaborata e coinvolgente: esistono solo due rapporti, ed il gioco scala automaticamente la marcia quando il veicolo rallenta.

    Carrozzeria cromata e clacson bitonale

    Sul fronte tecnico, Big Mutha Trucker si difende più che bene. Buona la realizzazione grafica, pulita e ricca di dettagli; sufficientemente alto il numero di poligoni presenti su schermo. Particolarmente azzeccati gli ambienti di gioco, con panorami tipici del cinema ‘on the road’: non sarà difficile sentirsi in suolo statunitense. Il frame rate, pur non essendo particolarmente elevato, si adatta alla perfezione al ritmo del gioco, ma mostra qualche incertezza di troppo in situazioni di traffico intenso. A dirla tutta, è sufficiente la presenza di un altro camion negli scenari più elaborati per rallentare pesantemente l’azione. Le città sono realizzate con dovizia di particolari, soprattutto per quanto riguarda i menù che accompagnano l’azione fuori dagli autoarticolati. Simpatica la possibilità di personalizzare il logo impresso sul rimorchio di ciascun personaggio, scegliendo il preferito in un set di immagini preesistenti, o addirittura disegnandone di nuove. Nel complesso un motore grafico pulito, piacevole e funzionale, seppur carente per quanto riguarda gli effetti speciali su video.
    L’audio è, d’altro canto, molto buono. Durante la guida è infatti possibile scegliere su quale stazione radio sintonizzarsi. Ciascuna stazione trasmette un genere musicale diverso e offre una divertente serie di ‘siparietti’, tipici di un talk show. Purtroppo non esistono né doppiaggio né sottotitoli (la traduzione si limita infatti ai menù di gioco e al testo su schermo), particolare che penalizza eccessivamente un audio divertente e singolare che solo i più anglofili potranno godere appieno. Un vero peccato, dal momento che i frequenti dialoghi dei personaggi e degli spettacoli radiofonici arricchiscono non poco un character design più che buono e un’atmosfera più che degnamente ricostruita.
    La colonna sonora è comunque azzeccata e varia, per quanto i pezzi più azzeccati rimangano quelli trasmessi dalle emittenti Rock e Country. Tra le numerose canzoni protette da copyright spiccano pezzi come ‘Born to be wild’ e ‘Smoke on the water’.

    Un gioco a metà

    Il gioco Empire riesce solo in parte a centrare l’obbiettivo che si era preposto. Se da un lato infatti spicca una realizzazione tecnica più che decente, un feeling ottimo e una caratterizzazione eccellente, non si può ignorare come lo spunto e le tante idee del gioco risultino mortificate da un’eccessiva ripetitività. Il titolo diventa noioso fin troppo presto. Le strade sono sempre le stesse, e si impara presto come guidare senza troppi problemi. Qualsiasi giocatore non troverà alcuna difficoltà a vedere, in un paio d’ore, tutto quanto la modalità principale ha da offrire. E dopo? Dopo ci si dedica alle missioni, che per quanto simpaticamente realizzate ed originali, sono fin troppo fini a se stesse e slegate dalla logica del gioco, senza contare che nemmeno questa modalità offre poi una grande varietà ed attrattiva al giocatore.
    L’idea di fondo avrebbe senz’altro meritato un gioco migliore. Per esempio di sarebbe potuto introdurre la figura di uno sceriffo pronto a perseguitare il giocatore, oppure dare maggior respiro alle sezioni ‘a piedi’ del gioco, permettendo magari di effettuare traffici poco leciti o di contrabbando. Così com’è il gioco si riduce ad una monotona corsa di città e città cercando di evitare polizia e bande di motociclisti. Le violazioni stradali influiscono soltanto sui danni del veicolo. In questo senso avrebbe sicuramente giovato la presenza di una patente o di una classifica degli incidenti alla Burnout.
    Così com’è, Big Mutha Trucker, è un gioco a metà. Si salva grazie all’idea iniziale e ad una realizzazione tecnica comunque più che sufficiente. Consigliato solo a chi ha da sempre accarezzato il sogno di guidare un imponente mostro a diciotto ruote, imprecando contro tutto e tutti.

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