Blind Fate Edo no Yami Recensione: cyber samurai salvano il Giappone

La campagna del samurai cibernetico per la difesa del Giappone dall'assalto dei temibili Yokai inciampa più spesso del previsto.

Blind Fate Edo no Yami Recensione: cyber samurai salvano il Giappone
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Blind Fate: Edo no Yami era un prodotto certamente atteso. Si tratta di un progetto ambizioso, nato da un concept che potrebbe fare tranquillamente invidia a team decisamente più rodati e conosciuti rispetto a Troglobytes Games, collettivo italiano di stanza in Spagna. Edo no Yami ha fatto parlare di sé un po' in tutto il mondo ed è stato attenzionato soprattutto durante l'ultima edizione della Gamescom. Troglobytes viene da un ottimo esordio con il riuscito Hyperparasite, e ha dimostrato di avere l'occhio lungo anche una volta entrata nel mondo del publishing con Ravenous Devils (qui la recensione di Ravenous Devils). Purtroppo, al netto di questi incoraggianti presupposti, Blind Fate: Edo no Yami non è riuscito a colpire nel segno e adesso vi spieghiamo il perché.

    L'eredità di Kan Shimozawa e Takeshi Kitano

    La produzione narra la storia di Yami, un samurai senza padrone caduto vittima degli yokai e sopravvissuto per miracolo a un attacco che lo ha privato della vista. Una storia che raccontata così farà sicuramente pensare al Giappone feudale già trattato da innumerevoli videogiochi in passato. Ma c'è una particolarità nel Giappone feudale in cui vive Yami. Difatti non è quello dell'epoca Bakumatsu ma è invece una sua versione trapiantata in un futuro post-apocalittico.

    Yami non è solo un rimando alla figura classica dello zatoichi, il samurai cieco nato dalla penna di Kan Shimozawa e popolarizzato dalla sua interpretazione cinematografica a opera di Takeshi Kitano, ma è una sua riproposizione in chiave cibernetica. Lo stesso vale per gli yokai, che qui non sono spiritelli dispettosi, ma vere e proprie macchine di morte robotiche che hanno decimato la popolazione giapponese. Yami, privato della vista, percepisce il mondo usando la propria katana come un bastone guida per non vedenti, e oltre a questo è dotato di un corpo provvisto di vari sensori che gli permettono di percepire l'ambiente attorno a sé.

    Yami può lanciarsi in battaglia grazie al supporto di Tengu, un'IA che gli permette di visualizzare nella mente delle immagini del mondo generate a partire dai dati disponibili in rete. C'è un problema però: quelle informazioni sono vecchie di centinaia d'anni e non rispecchiano per nulla le condizioni reali del mondo attraversato dallo zatoichi. Strade e piattaforma sospese possono essere franate, i soffitti crollati, così come possono essere comparsi nuovi ostacoli invisibili. Se Yami può combattere è solo grazie ai sensori impiantati nel suo nuovo corpo cibernetico, che gli permettono di "visualizzare" suoni, calore e odori, in maniera tale da individuare i nemici che lo circondano.

    Il concept di Blind Fate: Edo no Yami è pazzesco, inutile girarci attorno. Si tratta di una rilettura in chiave ultramoderna di un periodo storico da sempre mitizzato da tanta cultura popolare e di una figura spesso sottovalutata come lo zatoichi, incrociati con le suggestioni della fantascienza più corporale e materica. È un'idea fresca, che pur non inventandosi nulla rielabora concetti di altre epoche per generare una distopia affascinante e a modo suo spaventosa, che denota una creatività notevole. A non funzionare, però, è (quasi) tutto il resto.

    Miopie di game design

    Edo no Yami è un action a scorrimento orizzontale, e in quanto tale necessita di un combat system che sia il più appagante possibile e che permetta di non concentrarsi sulla mancanza della terza dimensione. Si è voluto puntare, in totale coerenza con il ruolo del protagonista, su un sistema di combattimento posato e mai troppo frenetico, in grado quindi di far trasparire un marcato aspetto tattico da ogni scontro all'arma bianca.

    Yami è un samurai, e in quanto tale attacca dove trova spiragli; gli bastano pochi incroci per aprirsi poi a un fendente letale in grado di squarciare le difese nemiche, ed è esattamente così che si configura il gameplay. Assaltare i nemici permette innanzitutto di renderli visibili ai sensori di Yami, che ne registrano la presenza solo a seguito di uno o più colpi mandati a segno, ma serve anche ad aprire le loro difese per poter eseguire una sorta di finisher basata sul rilevamento delle relative debolezze, individuabili da uno dei tre sensori a disposizione del protagonista. A questo si aggiunge la possibilità di sparare dei proiettili a distanza dal proprio braccio meccanico e il bisogno di tenere sempre sotto controllo la barra della stamina, che una volta esaurita lascia il combattente in una situazione di svantaggio notevole. Concettualmente, quindi, Blind Fate: Edo no Yami sembra avere tutte le carte in regola per funzionare. Il problema è che non è così, perché i controlli sono macchinosi, lenti e poco responsivi, sposandosi quindi malissimo con la supposta agilità sovrumana del guerriero, e sono pure azzoppati da un input lag fastidiosamente percepibile il più delle volte. Tutto questo diventa un problema difficilmente ignorabile quando il gioco inserisce sul percorso di Yami delle bossfight basate sulla precisione e, soprattutto, sulla risoluzione di piccoli "puzzle" platform.

    Tra le altre cose, Blind Fate: Edo no Yami si aspetta troppo dal giocatore senza mai metterlo nella posizione di comprendere appieno il suo funzionamento. Per intenderci, capita spessissimo di trovarsi di fronte a quadri che sembrano assolutamente impossibili da risolvere con le conoscenze accumulate. Nello specifico, la seconda fase della prima bossfight può essere completata solo dopo una lunga sessione di trial and error che, alla fine, porta il giocatore a scoprire che andando nella direzione opposta a quella più logica è possibile interagire con le pareti dell'arena.

    Il che, intendiamoci, non sarebbe un problema, se non fosse che fino a quel momento il gioco non aveva mai nemmeno accennato a una possibilità del genere, e che il punto esatto in cui è possibile interagire con l'apposito prompt di comando è inizialmente nascosto dalla telecamera, senza che la modellazione dell'ambiente dia alcun indizio sulla sua effettiva presenza.

    Edo no Yami non si spiega, quasi come se avesse fretta di progredire, e pretende dall'utente una perfetta comprensione di meccaniche a lui sconosciute. Ci sono poi la maldestra gestione dei checkpoint e l'enorme riserva di HP di ogni singolo nemico. La prima genera degli scompensi notevoli tra le varie aree dello stesso livello, che spesso costringe il giocatore a ripetere intere sezioni dell'avventura.

    Tale criticità si coniuga proprio alla barra della vita fuori scala di ogni nemico, da qui la necessità di dover impiegare diverso tempo per progredire e tornare al punto della sconfitta precedente. Con opponenti troppo deboli la componente tattica degli scontri sarebbe scomparsa, lo sappiamo, ma purtroppo in questo caso si è passati da un eccesso all'altro. Insomma, la durata dei singoli combattimenti è più che estesa e le dipartite, anche quelle accidentali, si trasformano in fonte di frustrazione.

    Gru, tengu e yokai

    C'è una cosa in cui Blind Fate: Edo no Yami riesce, ed è la sua direzione artistica. Troglobytes è riuscita a immaginare un Giappone che è al contempo tradizionale e futuristico, grazie alla commistione di folklore e fantascienza spinta. Gli yokai diventano macchine feroci pronte a uccidere chiunque gli si pari di fronte, gli animali raccontati dall'arte classica si fanno cibernetici e il Giappone feudale dei ronin e degli shogun si trasforma in complessi industriali che ricordano sia il passato quasi mitologico del medioevo nipponico sia la sua controparte moderna.

    Gli ambienti non sempre funzionano quanto vorrebbero, ma le atmosfere sono spesso quelle giuste, soprattutto quando si prendono in esame le sezioni narrative illustrate e la splendida colonna sonora, che a sua volta riflette il dualismo estetico del gioco. Ci sono anche alcune chicche notevoli come l'inserimento di uno skill-tree fisicamente presente di fronte al dojo che fa da hub centrale per il gioco, in cui ogni abilità sbloccata viene visualizzata come una lanterna appesa alle fronde dell'albero.

    È un peccato, perché Blind Fate: Edo no Yami avrebbe tutte le carte in regola per funzionare alla grande ma va ad impantanarsi proprio in quegli ambiti in cui avrebbe dovuto brillare. Si trasforma in fretta in un titolo più frustrante che spettacolare, più "estetico" che realmente funzionale. È bello vedere che un team culturalmente così lontano dal Giappone sia andato a rielaborare temi e figure come quella dello zatoichi, facendolo peraltro in maniera tematicamente ed esteticamente convincente.

    Ad essere deludente è tutto il funzionamento del gioco, che soffre di continue disattenzioni, inciampi tecnici, di problemi di ritmo (colpa di un ricorso troppo massiccio ai Quick Time Event) e soprattutto della mancanza di gran parte delle spiegazioni al giocatore. Capita troppo spesso di trovarsi incastrati per colpa di un azione che non si sapeva si potesse compiere o, peggio, di richieste che per il gioco sembrano scontate ma che nella realtà il più delle volte sono incomprensibili.

    Blind Fate Edo no Yami Blind Fate Edo no YamiVersione Analizzata PCBlind Fate: Edo no Yami nasce da un concept intrigante che rielabora mitologia e folklore del Giappone feudale per trasportarli in un futuro distopico e popolato da macchine assetate di sangue. Il suo protagonista non vedente è una trovata veramente notevole, soprattutto una volta inserito in un contesto del genere. Detto questo, in ambito di game design ci sono troppi problemi sovrapposti uno all'altro, a partire dai controlli macchinosi e il percepibile input lag, fino a un'imperfetta gestione dei checkpoint e all'assenza di spiegazioni sul funzionamento stesso di meccaniche fondamentali. È veramente un peccato, perché la direzione artistica è certamente valida al pari della colonna sonora.

    CONFIGURAZIONE PC DI PROVA

    • CPU: Intel Core i7-9750H
    • RAM: 16gb
    • GPU: Nvidia GeForce RTX 2060
    5.5

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