Recensione Castlevania: The Adventure Rebirth

Su WiiWare, rinasce uno degli storici capitoli di Castlevania

Recensione Castlevania: The Adventure Rebirth
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  • Dagli albori del primo episodio della serie di Castlevania, uscito nel lontano 1986 su NES, la saga degli ammazza vampiri ha attraversato alti e bassi: i primi, riconducibili ad episodi 2D che tuttora rientrano tra le pietre miliari della storia videoludica, come Super Castlevania IV e Symphony Of The Night, ed i secondi, ricollegabili a poco memorabili esperimenti attuati per trasporre in 3D un’esperienza di gioco assai classica.
    Se c’è qualcosa che non è mancato a Konami, relativamente allo sviluppo della serie, è stato il coraggio: tralasciando i suddetti malriusciti titoli per home console infatti, la casa giapponese ha avuto l’ardire di cambiare la struttura ludica della serie, senza stravolgerne le dinamiche, ma nonostante ciò realizzando un impianto di gioco più complesso e ricco. Parliamo del passaggio dalla struttura lineare a livelli a quella a mappa aperta, effettuato in Symphony Of The Night, con la riconduzione ad uno stile di gioco simile a quello di Metroid (di qui la definizione di Metroidvania), fatto di power-up atti a raggiungere aree altrimenti inaccessibili ed una sostanziosa dose di backtracking. La serie è proseguita su questi stilemi, dimenticando la tradizionale struttura a livelli: questo almeno fino a Castlevania: The Adventure Rebirth, che segue Gradius e Contra nella riproposizione di titoli di stampo assolutamente classico su WiiWare.

    Vampire Killer

    Castlevania Rebirth è ufficialmente il remake di Castlevania: The Adventure, primo titolo portatile della serie, uscito nel lontano 1989 su Game Boy, ad onor del vero assai dimenticabile, afflitto da una generale lentezza di gioco e da scelte di gameplay poco attinenti alla tradizione della serie (come i cuori necessari per ripristinare la vita, data l’assenza di armi secondarie). Il nuovo episodio riprende però ben poco dal suo originale, se non la struttura a livelli. Rebirth è infatti il primo Castlevania a livelli da molti anni a questa parte, escludendo il remake di Dracula X per PSP (contaminato però dalla scelta di una grafica in 2,5D e quello si, abbastaza fedele all’originale): struttura classica per grafica classica, completamente bidimensionale, con somma gioia degli appassionati.
    Fin dalla prima schermata di gioco gli appassionati della serie non possono non provare un sottile godimento nostalgico. L’introduzione di ogni livello è affidata ad un breve jingle rielaborato dalla traccia audio più famosa della serie, Vampire Killer, e le prime fasi di gioco vedono Christopher Belmont muoversi all’interno dal giardino antistante il castello di Dracula, eretto da poteri malvagi per ospitare il signore delle tenebre. Finalmente nuovamente nei panni di un vero ammazzavampiri, appartenente alla gloriosa famiglia, le prime fasi di gioco scorrono tra schiocchi di frusta e nemici deboli e lenti, facilmente superabili. Questo, nonostante le possibilità d’azione delegate all’eroe guidato dal giocatore siano veramente ridotte all’osso: niente scivolate, niente capriole all’indietro, niente doppio salto o qualunque altro movimento.
    Per giocare a Castlevania Rebirth bastano due tasti, uno delegato al salto ed uno all’attacco; tornano le armi secondarie tipiche della serie, dal pugnale all’ascia, dall’acqua santa alla croce, utilizzabili raccogliendo i cuori atti a rimpinguare l’apposito indicatore. Persino l’utilizzo della frusta è ridotto, essendo possibile attaccare solo in linea retta e in avanti, privando quindi Christopher delle possibilità concesse invece al suo discendente Simon in Super Castlevania IV, capace di effettuare attacchi in alto e in diagonale, persino in salto. Rimossa anche la possibilità di roteare la frusta a mo’ di scudo, compensata da una maggior ampiezza del suo raggio d'azione, capace di colpire anche nemici leggermente indietro rispetto al giocatore, calcolando bene il tempismo nell’attacco: piccola chiccha possibile solo grazie all’attenzione nell’animazione dello sprite 2D, nemmeno si parlasse di un picchiaduro bidimensionale. Ripresa invece la possibilità di potenziare la frusta in tre fasi, con il risultato finale di sviluppare palle di fuoco dall’estremità per un breve tempo.
    Tale impianto senza dubbio è quanto di più classico possa esserci, ed ai fan della serie sicuramente non dispiacerà il ritorno ad un sistema di controllo così basilare e senza fronzoli. Certamente però si sarebbe potuto mediare tra il classicismo estremo ed una possibilità di movimento e attacco maggiormente articolata, in funzione di un level design e di una disposizione dei nemici che ovviamente sono nettamente influenzati da tale scelta. Un esempio per tutti l’impossibilità di saltare mentre si è su di una scala, componente di un sistema che restringe al minimo le possibilità del giocatore e lo inchioda alla linearità dei livelli. A mitigare questa pecca c’è un level design comunque all’altezza, che riesce ad offrire soluzioni buone per spezzare la monotonia delle fasi di gioco, tramite piattaforme che si sgretolano al passaggio, meccanismi semoventi, stanze labirintiche e trappole di ogni tipo, ma soprattutto aree raggiungibili solo in particolari modi o con l’ausilio di chiavi raccoglibili nei livelli, che permettono di affrontare ogni stage in più modi e per vie differenti, aumentando la varietà complessiva ed ovviamente la longevità dell’esperienza.
    Rimane comunque la sensazione di una classicità troppo eccessiva in rapporto alla tipologia di gioco, perché se in un Run & Gun tale scelta può pagare (Contra Rebirth docet), in un platform action si dovrebbe prestare maggior attenzione al mantenimento di un ritmo sostenuto e di un’esperienza fresca. Avanzando nel gioco ci si aspetterebbero sempre più intriganti artifizi atti a sostenere l’impianto ludico, ma questo avviene solo in parte, mentre aumenta sensibilmente la difficoltà: anche qui, non a causa di fasi di gioco particolarmente ispirate o di nemici disposti in maniera particolare o con maggiori capacità, ma di un aumento smisurato del danno inflitto. A tale rilievo vengono fortunatamente meno i boss di fine livello, questi sì di difficoltà sempre maggiore e con pattern d’attacco sempre più elaborati, ma mai impegnativi ai limiti della frustrazione.
    Ad ogni modo, oggi come allora, avanzare per i sotterranei e le stanze del castello di Dracula piace. Frustare qualunque cosa si muova, spaccare candelabri, calibrare salti al millimetro, sono ancora cose che riescono a divertire in maniera diretta. Studiare i pattern di boss ben realizzati, che non hanno in un inumano danno inflitto la loro maggior prerogativa, richiede una ponderazione rapida. E soprattutto l’antico ed avvolgente fascino dell’eroe che da solo si staglia contro le malvagie tenebre, armato solo della sua Vampire Killer, è rimasto immutato.

    Un castello in 16-bit

    Graficamente il titolo Konami sprizza tradizione 16-bit da tutti i pori: sprite di dimensioni generose e ben animati, qualche effetto particolare di buona fattura, ottimi fondali con tre o quattro livelli di parallasse compongono un quadro colorato, in maniera piacevolmente sorprendente, da una palette cromatica assai più varia di quella utilizzata tradizionale, per una ricchezza visiva difficilmente riscontrabile nella maggior parte degli episodi della serie.
    La colonna sonora, anche qui in maniera abbastanza imprevedibile, riprende sì vecchi brani, riarrangiati con ottima fattura, saltando però molti di quelli più noti della serie, pertanto i più riconoscibili saranno il tema del primo livello (ma solo per i più affezionati) e l’imprescindibile Vampire Killer del sesto ed ultimo stage, purtroppo per i pochi secondi precedenti lo scontro finale. L’accompagnamento sonoro è certamente curato quindi, ma una scelta rivolta ai brani più classici della serie (Bloody Tears, Beginning) sarebbe stata più gradita, anche visto il tradizionalismo espresso negli altri comparti del titolo.
    Un pomeriggio (per i giocatori più esperti) potrà bastare a completare il gioco, che va affrontato tutto di seguito, vista l’assenza di un qualunque sistema di salvataggio: ad aumentare la longevità di certo concorrono le vie alternative di cui prima, ma sarebbe stata gradita una qualunque opzione che invogliasse la rigiocabilità, fosse stata anche solo la possibilità di sbloccare personaggi aggiuntivi. Così com’è, purtroppo, il gioco, una volta completato, ha davvero poco da offrire.

    Castlevania: The Adventure Rebirth Castlevania: The Adventure RebirthVersione Analizzata Nintendo WiiCastlevania Rebirth rappresenta senz’altro un titolo da possedere per tutti giocatori nostalgici e per chi volesse assaporare un po’ di sano gameplay vecchia scuola. Sarebbe potuto essere ancor più appetibile se certe scelte di gameplay fossero state meno drastiche, in particolare riguardo la possibilità d’azione del protagonista, elemento che influisce sulla costruzione dei livelli e sulla freschezza generale dell’esperienza di gioco. Ad ogni modo sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire un titolo del genere, vista anche l’innegabile cura nel comparto tecnico e considerato il basso prezzo per un’esperienza di gioco breve ma intensa.

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