Conan: recensione del videogioco per PS3

God of Hyberia?

Conan: recensione del videogioco per PS3
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Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Là dei Cimmeri è il popolo e la città di nebbia e nube avvolti

    Agli albori di quello strano genere letterario che è l’Heroic Fantasy, c’è Robert Erwin Howard ed il suo Barbaro Conan. Protagonista di “fantasie avventurose che si svolgono in mondi immaginari preistorici o medievali, quando - è divertente immaginarlo - tutti gli uomini erano forti, tutte le donne belle, tutti i problemi semplici e la vita tutta un'avventura”, Conan trova oggi una sua trasposizione videoludica grazie al lavoro del team Nihilistic (già autore de “L’ascesa degli esseri imperfetti” e “Vampiri Masquerade: Redemption”).
    Il prodotto fa leva sul fascino del personaggio e su quello della brutalità che lo contraddistingue per tentare di aprirsi un varco nel popoloso mercato moderno, proponendosi come un Action 3D crudo e spietato. Il risultato, a conti fatti, riesce solo in parte.

    "Ciò che non uccide, fortifica"

    La struttura narrativa che fa da sfondo al videogioco è abbastanza fedele alle ambientazioni che caratterizzano la produzione letteraria di Howard, tanto appassionante negli anni ’30 quanto oggi assai inflazionata e “canonicizzata”. Conan il Cimmero, spinto nelle sue peregrinazioni da fama di tesori e d’avventura, libera per errore un potente stregone che diffonde “la morte nera”, uno strano morbo che libera negli uomini gli istinti di violenza omicida. Colpito da amnesia selettiva, Conan incontra fortunosamente Akanna, amazzone guerriera che chiederà il suo aiuto per liberare le terre da questa oscura maledizione. Attraverso una serie di Flashback la sceneggiatura tenterà timidamente di far luce sul passato dello stregone e sulla sua storia di corruzione e dannazione.
    A conti fatti scelte registiche tutt’altro che indovinate ed una scarsa capacità narrativa (che non si focalizza come dovrebbe sul background e sulle psicologie dei personaggi) rendono la trama di Conan un lieve ed effimero sottofondo, che manca di epicità e non riesce a coinvolgere il giocatore.
    L’ambientazione ed il personaggio (con la sua filosofia di vita) risultano quindi molto spuntati rispetto agli originali letterari, ed il metodo di raccontare la storia, scontato e poco incisivo, fa rimpiangere sia i grandi momenti memorabili di God of War che le complesse figurazioni scenografiche del recente Heavenly Sword (per citare due congeneri).
    Un vero peccato, perché il dualismo fra un orrore tangibile la possibilità di sconfiggerlo con la materialità di una spada, o le sottili opposizioni fra barbarie e civiltà che echeggiano nelle pagine di Howard avrebbero meritato approfondimenti ben più consistenti.

    “La barbarie è lo stato naturale dell'umanità", disse l'uomo della frontiera guardando ancora seriamente il cimmero. "La civiltà è innaturale. È un capriccio delle circostanze. E la barbarie, alla fine, deve sempre trionfare”

    God of Hyboria?

    Il confronto con gli action game sopra nominati è inevitabile anche quando si guardi alla struttura di gioco del titolo THQ. Dopo brevi sessioni di gioco si capisce che i due prodotti made in Sony non sono passati in vano. In particolare gli insegnamenti di God of War vengono ripresi pedissequamente da Conan, che mostra un gameplay ed uno schema di controlli sostanzialmente analoghe a quelle del titolo prodotto Santa Monica.
    Nell’ottica della funzionalità ludica è dunque inevitabile promuovere l’impianto basilare di Conan, che ancora oggi si rivela del tutto funzionale a portare su schermo un’azione serrata e varia. A dirla tutta, poi, il titolo THQ inserisce gradevoli introduzioni in quella che è un’ossatura ormai collaudata, andando ad affinare alcuni aspetti che il secondo capitolo di God of War aveva tralasciato per mostrarsi come un intenso “more of the same”.
    Alla base del sistema di gioco sta la realizzazione di lunghe combo, da sviluppare alternando i due tasti d’attacco (veloce o potente), e la possibilità di personalizzare il proprio stile di lotta usufruendo dei punti guadagnati dall’uccisione dei nemici. Entrambe queste caratteristiche sono arricchite dalla possibilità di utilizzare tre configurazioni d’attacco, impugnando rispettivamente un’arma ad una mano (ed eventualmente uno scudo), due armi corte o un’arma a due mani. Queste possibili configurazioni hanno ovviamente funzioni ben diverse: le doppie armi permettono di attaccare velocemente e con continuità, ma raramente riescono ad aprire la difesa avversaria ed infliggere danni ingenti. Il contrario si ottiene con le armi lunghe, che possono rompere gli scudi e permettono di colpire anche nemici di imponenti dimensioni. L’arma singola offre un mix ben bilanciato delle due caratteristiche. Fortunatamente per il giocatore, ognuna delle configurazioni è dotata di un rilevante numero di mosse, da sbloccare progressivamente utilizzando le rune rosse raccolte durante il gioco. L’utente deve così scegliere quale metodo d’attacco privilegiare, sebbene sia possibile, soprattutto nelle fasi finali dell’avventura, potenziare al massimo tutti e tre i “campi”, sviluppando al contempo una serie di capacità “di base” che interessano soprattutto la possibilità di eseguire prese mortali e brutali. A conti fatti il parco mosse è dunque ben nutrito, e si vedono anche alcune innovazioni molto interessanti: dalla possibilità di disarmare l’avversario per colpirlo immediatamente e cambiare di conseguenza equipaggiamento, fino alle sequenze imparabili (rotazioni con colpi mirati alle gambe, utili contro i nemici dotati di scudo), passando per colpi che aprono la guardia e altri che attivano una sorta di ralenti che permette di osservare meglio la crudezza della scena.
    Anche il sistema di contromosse è una graditissima introduzione, il perfetto mix fra la necessità di un’azione non banalizzata e la spettacolarità propria delle counter di Heavenly Sword: quando si riesce a parare con il giusto tempismo appare su schermo l’icona di un tasto: premerla in tempo significa assistere ad una esecuzione spietata e letale (con telecamera ravvicinata): nove quelle disponibili (tre per ogni arma), ognuna molto ben realizzata.
    Se si conta poi che il titolo incentiva ad usare un approccio mutevole (ogni volta che si realizza una combinazione avvicina Conan alla piena comprensione di tale tecnica, premiata con un bonus in rune rosse), non sono molte le critiche che si possono muovere alla struttura di base. Se non fosse dunque per lo spiccato “citazionismo” ludico ed il riuso di elementi già sperimentati dalla maggior parte degli amanti del genere il titolo presterebbe il fianco a pochi affondi, da questo punto di vista. Il fatto però che Conan somigli moltissimo al pluricitato God of War (fino a precise “citazioni” nella caratterizzazione di boss e magie) potrebbe scoraggiare qualche utente, anche perché -come sopra si diceva- nel titolo in esame manca la sensazione di marcata eticità che invece si respira vivendo le gesta di Kratos, e -come vedremo- i risultati audiovisivi sono ben meno riusciti. Un peccato poi che il grado di sfida proposto da Conan non cresca di pari passo con le capacità del suo protagonista: gli spietati massacri che si compiono verso la fine sono piuttosto imputabili al riuso degli stessi avversari, con le stesse routine e le solite capacità, che agli effettivi meriti del giocatore.
    Infine, basti sapere che la durata dell’avventura non supera di molto il margine delle cinque ore (a livello medio), per capire che Conan non riesce a raggiungere l’eccellenza. Lo penalizza, oltre alla scarsa longevità e ai pochi incentivi alla rigiocabilità, anche la mancanza di cura nei dettagli contingenti, quelli che contornano un gameplay altrimenti indovinato: routine comportamentali avversarie poco convincenti e scarsità di tipologie di nemici, QTE banali e tutt’altro che memorabili, un set di magie del tutto marginale nell’economia di gioco (composto di incantesimi poco ispirati).
    In ogni caso, questi difetti non riescono a mettere del tutto in ombra i pregi del sistema di gioco, così come invece si promettono di fare i risultati del comparto tecnico.

    Rozzi, grezzi... Barbari

    Visivamente, Conan ha poco da offrire agli affamati fautori di una Next Gen spettacolare e gratificante. La scena che si dipinge agli occhi dei giocatori è infatti abbastanza desolante, e non tiene conto dei progressi avvenuti in ambito tecnico. Ne sono una prima prova (la più lampante agli occhi dei giocatori) le scene d’intermezzo (realizzate con il motore di gioco), che mettono in luce una modellazione poligonale non molto nutrita (a cui scampano, fortunatamente, i modelli dei protagonisti). Questi ultimi appaiono ben modellati, caratterizzati nelle espressioni facciali e dettagliati a sufficienza, ma quando la regia si concentra sui primi piani degli avversari si nota una scarsa attenzione nella strutturazione dei volti (non ci aspettiamo le vette visive di Heavenly Sword, ma almeno una serie di texture decenti). Quando si guarda alla scena complessiva si deve lamentare una gestione delle inquadrature che lascia pochissimo spazio a campi larghi, limitando l’area visiva. Non si respira, insomma, la stessa magnificenza ambientale che è tipica delle ultime produzioni Next Gen. Di più, sebbene siano abbastanza gli oggetti visualizzati contemporaneamente, le texture superficiali sono a volte imbarazzanti. Dotate di normal map che simulano le asperità delle pareti rocciose o le increspature del mare, queste ultime risultano però cromaticamente monotone e piatte. Ne risente la caratterizzazione generale delle ambientazioni, che tocca pochissime punte di grande ispirazione e risulta più spesso molto “normalizzata” ai cliché tipici del fantasy eroico (la città caduta, la caverna, l’isola dei pirati). Le routine di illuminazione non sono particolarmente interessanti (se non al passaggio interno-esterno): le ombre non dinamiche si accompagnano ad un leggerissimo abuso dell’effetto bloom, e piuttosto che dalla luce ambientale i corridoi sembrano illuminati d’improvviso dall’aura dell’eroe.
    La qualità di effetti speciali sembra essere piuttosto migrabonda: se quando le spade intonano il canto delle lame (una sorta di estasi in cui Conan entra se combatte con efficacia) si nota qualche risultato sufficiente, basta vedere la melma nera che anima i morti o il riflesso blu nella vasca del dio elefante (in pratica poligoni colorati con effetti di trasparenza) per restare profondamente delusi. Fortunatamente i fiotti di sangue che coprono copiosi i terreni e schizzano ad ogni colpo, così come qualche effetto particellare, non sono del tutto da buttare.
    Le animazioni passano l'esame soprattutto per il fatto che le mosse del protagonista risultano sempre "leggibili", così come quelle degli avversari, che si attivano in dipendenza delle zone colpite (arti che si perdono, gambe colpite all'altezza del ginocchio). Per il resto non mostrano particolare cura nella realizzazione.
    Chiude il cerchio qualche problema di collisione: quando Conan cammina sui detriti si alternano inavvertitamente le animazioni del salto o della caduta libera, senza che il giocatore abbia un controllo sul personaggio
    La fluidità si attesta attorno ai 30 frame per secondo, non senza qualche rallentamento, anche vistoso.

    Il comparto acustico non mostra alcun pregio particolare. Il doppiaggio (totalmente in italiano) è accettabile, ma non sempre convincente o ben recitato. Le musiche di sottofondo spaziano fra marcette belliche tambureggianti e lunghi accordi d’inquietudine, ma in generale non sanno ritagliarsi alcuno spazio. Sfortunatamente accade poi che in qualche momento del gioco esse scompaiano d’improvviso (e non sembra un effetto voluto: a volte si verifica dopo i caricamenti), lasciando regnare sovrani i rumori delle lame (monotoni) e quelli delle urla avversarie (come sopra), nonché i commenti del barbaro, a volte invasivi e -sul finire dell’avventura- persino fuori luogo.

    In generale l’idea è quella di trovarsi di fronte ad un prodotto sviluppato da un team ancora inesperto, limitato più dalla necessità di formarsi sul campo della nuova generazione che dalla natura multipiattaforma del progetto. Forse anche il limitato stanziamento di fondi ha pesato in negativo: nelle schermate dei menù e durante quelle di caricamento si respira tutta l'aria delle produzioni Low Budget.

    Conan ConanVersione Analizzata PlayStation 3Un vero peccato che Conan non possa ritagliarsi uno spazio più incisivo nel panorama videoludico moderno a causa della programmazione grossolana e dei piccoli difetti di contorno che asserragliano il gameplay. La struttura di gioco, infatti, è comunque indovinata: riprende gli insegnamenti dei capisaldi del genere ma non si ferma: cerca anzi di esplorare nuove vie, sia dal punto di vista prettamente ludico (l'introduzione delle counter e il parco mosse molto nutrito), sia da quello concettuale (proponendo una brutalità ben più integrata nel sistema di combo, che affettano gli avversari e li disarticolano). Purtroppo l'entità di budget stanziato e l'inesperienza dei programmatori non permettono di arrivare in fondo all'ottimo sentiero imboccato: da una parte una serie di carenze che vanno dalla scarsa longevità ad una IA deficitaria intaccano il valore del gameplay, dall'altra una scena visiva affatto gradevole riuscirà ad abbattere gli animi di molti giocatori. Se si conta poi che molte delle ambientazioni, dei boss finali, delle situazioni di gioco “fanno il verso” a quelle di action più blasonati (God of War in primis), pur senza raggiungere le stesse vette espressive (epicità, regia, coinvolgimento, resa visiva), si capisce che Conan non può essere celebrato se non dai fan del genere, disposti a chiudere un occhio per esplorare un sistema di gioco che meritava di essere più approfondito.

    5.5

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