Darq Recensione: un oscuro platform sulla scia di Inside e Tim Burton

Opera prima di un autore polacco, Darq è un cinematic platform dalle tinte horror, che recupera la lezione dei capolavori di Playdead e Tim Burton.

Darq Recensione: un oscuro platform sulla scia di Inside e Tim Burton
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  • Dopo aver costruito una brillante carriera nel settore cinematografico e musicale, il compositore Wlad Marhulets ha deciso di abbandonare tutto per dedicarsi anima e corpo a uno dei suoi hobby preferiti: il videogioco. Privo di alcuna competenza da programmatore, inesperto nella produzione di opere interattive e avendo rifiutato decine di publisher che volevano imporgli determinate scelte, Wlad impiega più di tre anni per portare a compimento Darq, un puzzle platform 2.5D a tinte horror, fortemente debitore della tradizione Playdead e al contempo molto distante da alcuni elementi base della loro filosofia. Il risultato è un gioco di discreta fattura, con alcune contaminazioni stilistiche recuperate dalla cinematografia di Tim Burton, eppure dotato di evidenti limiti dettati probabilmente dalla mancanza di esperienza dell'autore.

    Cos'è? Cos'è?...

    Lloyd, il giovane e pallido ragazzo protagonista della nostra storia, soffre di disturbi del sonno che lo portano a vivere dei sogni lucidi, percepiti come reali. Purtroppo per lui, questi sogni si trasformeranno ben presto in terribili incubi, e ogni tentativo di ritornare nel suo corpo, e quindi nel suo piano fisico, risulterà vano.

    Da questo semplice incipit prenderanno il via fughe rocambolesche ed enigmi oscuri, nel corso di sette capitoli tematici legati agli stereotipi più cari al genere horror: treni inarrestabili, manicomi, labirinti senza uscita e molto altro ancora. Come in tutto il recente sottobosco dei cinematic platform in 2D, la storia di Darq è raccontata in modo implicito, tramite suggestioni e oggetti da interpretare, facendo dunque largo uso della narrazione di stampo ambientale.

    La sceneggiatura si sviluppa in modo decisamente tradizionale, e tutti i capitoli saranno divisi per tipologie di rompicapi: ad esempio, nel primo saremo chiamati a gestire la tridimensionalità delle stanze, di cui bisogna memorizzare i pattern di rotazione (una delle caratteristiche del titolo è proprio quella di giocare con le dimensioni, come fatto da Fez), mentre nel secondo scenario occorrerà affidarsi al proprio tempismo per superare alcune fasi platform, e via discorrendo.

    Al contrario di quanto accade però con Inside o GRIS, gli stage non sono pensati per supportare efficacemente il racconto. La giustificazione narrativa del sogno ha permesso all'autore di sperimentare con varie soluzioni ludiche: tuttavia in Darq sembra mancare in più occasioni quella cura per il level design e per la scenografia capace di fare davvero la differenza.

    Leve, ponti, ingranaggi e passaggi segreti sono del resto distribuiti ed organizzati lungo i capitoli in modo assolutamente privo di logica a livello narrativo. Come detto prima, la dimensione onirica del racconto giustifica queste scelte, ma rimane il fatto che durante l'esperienza si avverte la mancanza di una gestione dei quadri più organica ed uniforme, capace di esplicare l'intento registico attraverso il level design.

    Molti enigmi, in aggiunta, si basano sull'assurdo: dei serpenti vivi vengono utilizzati come fili elettrici per collegare dei generatori, e degli arti mozzati si trasformeranno nelle leve con cui interagire per attivare ponti e passaggi. Parliamo di scelte stilistiche di stampo macabro che donano alla produzione un guizzo in più: alcune sequenze particolarmente originali e il design complessivo di nemici e luoghi riescono infatti a restituire costantemente la sensazione di trovarsi di fronte ad un mondo ignoto, perverso ed oscuro. In tutto questo, data la brevità dell'esperienza (saranno necessarie circa tre ore e mezza per concludere l'avventura, che non presenta selettori di difficoltà), ci sono per fortuna ben pochi jump scare, e l'atmosfera horror viene costruita quasi integralmente dall'ottimo sound design e dal corretto bilanciamento di fasi esplorative, d'azione e d'enigmi.

    A causa di puzzle abbastanza semplici e, a lungo andare, anche ridondanti, la progressione all'interno del mondo di Darq non risulta pienamente appagante: per massimizzare il valore espressivo di un simile estro artistico, sarebbe stato dunque più opportuno studiare qualche soluzione ludica più innovativa, senza costringere l'utente a ripetere ad oltranza gli stessi puzzle ambientali.

    Inoltre, quel pizzico di backtracking richiesto in almeno metà dei capitoli rischia di rendere ancora meno pericolosi certi nemici, facilmente gestibili sin dal primo incontro.

    ...Ma che colore è?

    Dal punto di vista squisitamente stilistico, Darq rifiuta cinematiche tradizionali e narrazione esplicita, preferendo una cinepresa virtuale che segue le vicende dell'avatar senza mai interrompere il legame con il giocatore. Non mancano tuttavia dei rari momenti di distorsione della prospettiva con cui l'autore dà vita a scene davvero sorprendenti.

    Evidentemente influenzato da alcune opere di Burton (Nightmare Before Christmas, Edward mani di forbice, ecc.), Marhulets ha costruito un mondo parecchio affascinante, dotato di un eccellente sound design e di una colonna sonora che irrompe nel silenzio in modo piuttosto dirompente. In definitiva, è innegabile che nelle scelte registiche e visive Darq si esprima al meglio delle sue potenzialità, senza toccare particolari vette qualitative ma al contempo riuscendo nell'ardua impresa di non rendere troppo banale e stantio, sfiorando la parodia, uno stile estetico fin troppo abusato.

    DARQ DARQVersione Analizzata PCDopo aver fatto parlare a lungo di sé ed essere stato uno dei titoli più votati nella storia di Greenlight, Darq giunge sullo store di Steam confermando quanto facilmente prevedibile anche prima dell'uscita del gioco: visione artistica e registica non mancano di certo, e ci sono anche tante buone idee e intuizione da un punto di vista ludico. Ma è nell'unione di queste parti e nella gestione complessiva che viene meno l'estro creativo di Marhulets. Ciononostante, il gioco offre comunque all’utente alcuni momenti decisamente rimarchevoli nel corso delle tre ore richieste per il completamento, che permettono alla produzione di evitare la caduta nel baratro della banalità. Di conseguenza, gli appassionati della scuola Playdead e dei cinematic platform potrebbero dare una chance al primo lavoro videoludico del giovane autore polacco.

    6.5

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