Devil May Cry 5 Recensione: Dante, Nero e V conquistano il Jackpot

Capcom riporta in vita la serie Devil May Cry con un quinto episodio che propone un gameplay frenetico e un comparto tecnico di prim'ordine.

Devil May Cry 5
Recensione: Multi
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Un sfoggio di stile ostinato ed esagerato, una celebrazione dei tecnicismi più arditi e un'esplosiva sequenza di scontri ipercinetici e accelerati. Sono sempre stati questi i valori di Devil May Cry, o almeno dei capitoli più riusciti della serie Capcom, e il quinto episodio li riscopre e li riabbraccia integralmente. Il ritorno sulle scene di Hideaki Itsuno, dopo ben sei anni dal controverso DmC, è un tributo all'anima classica della saga, il recupero integrale dei suoi punti fermi, che vengono però utilizzati come fondamenta per costruire qualcosa di nuovo. Devil May Cry 5 non si accontenta insomma di essere un "ritorno in grande", e per fortuna decide di andare oltre, di sperimentare combat system completamente inediti a fianco di meccaniche già rodate, in una continua rotazione di personaggi, armi e devil breaker. Dentro Devil May Cry 5 c'è un pizzico degli episodi più riusciti, come se si trattasse di un capitolo "enciclopedico", ma c'è pure qualche ingrediente del tutto nuovo, per un'esperienza ricca, e straripante di sapori e situazioni.

    Devil May Cry 5 è insomma un action game puro e duro, di quelli dall'incedere vorticoso, in cui le prodezze del giocatore si infrangono su schiere interminabili di demoni, che vengono massacrati, spaccati, lanciati, brutalizzati, trafitti, sbattuti, straziati, feriti, usati non più come avversari ma come mezzo per esibire una divertita superiorità. I passi avanti ci sono anche dal punto di vista tecnico, sorretti da quel motore malleabile e meraviglioso che risponde al nome di Resident Evil Engine, ma d'altro canto non proprio tutto è al posto giusto. Una seconda parte dell'avventura un po' trattenuta ed una quantità di contenuti non esemplare lasciano qualche solco sull'affilatissima lama di Devil May Cry 5, riducendo l'efficacia di un'arma altrimenti implacabile.

    Le radici del Male

    Devil May Cry 5 comincia con una misteriosa infestazione che colpisce Red Grave City, un albero demoniaco le cui radici affondano nelle profondità degli inferi, che cresce come un parassita nutrendosi di sangue umano, portando con sé un ampio catalogo di creature deformi e mefitiche.

    Nero, con il supporto della sboccata Nico (nuovo, graditissimo arrivo nella mitologia di Devil May Cry), sembra impegnato a contenere la diffusione del Qliphoth, questa pianta colossale il cui nome arriva dalla Cabala ebraica (con un termine che sta a indicare le rappresentazioni delle forze spirituali impure).
    Attorno a questa premessa, poco a poco, si costruisce un racconto leggermente più elaborato, che tuttavia non brilla per complessità e non rappresenta di certo il fulcro portante della produzione. La trama è di fatto una scusa per tirare in ballo molti dei personaggi storici della saga, ragionando sulle loro rivalità ancestrali e sugli elaborati rapporti di parentela. A dirla tutta Capcom ha comunque approntato un buon intreccio, svelando con attenzione i retroscena della missione (attraverso flashback collocati al momento giusto), e soprattutto riservandosi un paio di colpi di scena decisi e poderosi (anche se leggermente prevedibili per i più attenti). Resta inteso che la storia di Devil May Cry 5, comprese le svestite comparsate di Trish e Lady, è fan service allo stato puro, un divertito numero di giocoleria con gli elementi e i personaggi che compongono la continuity della saga. Il racconto, che in certi casi sembra pensato per ripresentare eroi e antagonisti storici a qualche giocatore dell'ultima ora, rimane volutamente inconcludente e insomma non reclama troppe attenzioni, lasciando che a parlare siano spade, evocazioni e sonori pugni in faccia.

    Welcome Back, Nero

    Gli affondi della Red Queen sono pesanti e ritmati. Nero la agita principalmente con una mano, eseguendo gesti estremamente leggibili e plateali. Di tanto in tanto, tenendo fede alla sua anima un po' tamarra, dà gas alla manopola che s'incardina sull'elsa per trasformare un fendente in un colpo esplosivo. Il primo contatto con Devil May Cry avviene proprio attraverso il combat system di Nero, sicuramente esuberante ma non certo stratificato come quello del miglior Dante.

    Almeno sulle prime il giovane figlio di Vergil non ha la rapidità esagerata dello zio né la sua estrema versatilità, e funziona benissimo come personaggio "d'apertura", con cui metabolizzare le dinamiche di gioco.Quando si vestono i panni di Nero il combat system si rifà alla tradizione storica della saga: c'è un solo tasto d'attacco, grazie al quale è comunque possibile realizzare combinazioni di diverso tipo, alternando col giusto tempismo pressioni ripetute e pause momentanee.

    I modificatori direzionali permettono di proiettarsi contro un nemico oppure di sollevarlo in aria con un potente uppercut, eseguendo quella che possiamo considerare la "routine di base" di Devil May Cry, che ai tempi della PlayStation 2 lasciò incantate intere schiere di videogiocatori.

    Ancora oggi eseguire rotazioni a mezz'aria oppure colpire un avversario al volo con la pistola titilla i naturali ricettori dell'indicatore di stile che si nasconde in ognuno noi. Ovviamente anche nel gioco le sequenze più ardimentose corrispondono ad un massiccio incremento del punteggio e del "voto" che identifica la nostra prestazione, dal misero D allo "sfumeggiante" (cit.) SSS. Per ottenere questo risultato c'è ovviamente bisogno di variare le combo, usare tutte le opzioni d'attacco a nostra disposizione, e fare largo uso dei Devil Breaker, i bracci meccanici che Nero monta al posto del suo moncherino.
    L'innesto robotico approntato da Nico permette al protagonista di agganciare gli avversari e trascinarli a sé, un po' come faceva il dante "emo" di DmC, ma anche di sfruttare mosse speciali legate al braccio che abbiamo scelto di equipaggiare. Questa meccanica è stata abbastanza contestata dal pubblico, ed in effetti non è proprio immediata. Il Devil Breaker, in buona sostanza, ha tre utilizzi: si può sferrare un colpo normale, che ha un effetto specifico e non sacrifica il braccio meccanico, oppure un attacco caricato dall'efficacia e dalla portata maggiori, che tuttavia rompe la protesi equipaggiata. La rottura, in ogni caso, avviene anche se si subiscono danni durante un colpo "regolare", quindi è consigliato utilizzare questa possibilità con cautela. In ultimo, possiamo letteralmente far esplodere il braccio, interrompendo l'azione dei nemici circostanti e utilizzando quindi la protesi come una breaker vera e propria.

    Nero può portare con sé un quantitativo determinato di arti meccanici (il numero si può aumentare investendo gemme rosse), ma non può alternare quelli a sua disposizione. In pratica l'unico modo per passare al braccio successivo è quello di perdere o sacrificare quello in uso. In effetti per amor di varietà sarebbe stato piacevole eseguire uno switch al volo, ma crediamo che il team di sviluppo abbia escluso questa possibilità per distinguere in maniera netta il combat system di Nero da quello di Dante, che come vedremo si basa proprio sull'alternanza continua di stance e armi.

    A conti fatti, e dopo diverse ore di gioco, si riesce a metabolizzare questo meccanismo, che in effetti suggerisce molte sperimentazioni, visto che le funzionalità dei bracci sono fra le più disparate. Ci sono Devil Breaker che potenziano gli attacchi di base, altri che creano una bolla di stasi rallentando i movimenti dei nemici, altri che eseguono attacchi ad area ed altri ancora che proiettano Nero in aria o di lato, con una rapidità superiore rispetto a quella delle classiche schivate.
    Anche in questo caso la parola d'ordine è "spettacolarizzazione", e con un po' di pratica è possibile trasformare ogni incontro in un magnetico balletto di morte. Si conti poi che di missione in missione il sistema di combattimento si evolve, grazie alla possibilità di acquistare nuove mosse evasive, provocazioni, colpi caricati e combo aeree.

    V come Varietà

    Questo percorso di crescita, e di scoperta, fa parte dell'esperienza centrale di Devil May Cry 5, un titolo che sul fronte del moveset risulta davvero inesauribile.
    Soprattutto se si considera che Nero è soltanto uno dei tre personaggi a disposizione. Dopo poche missioni arriva il misterioso V, che rappresenta l'elemento di rottura dalla tradizione. Anche nei modi e nel character design sembra quasi volersi dedicare ad una generazione un po' più acerba, e forse è per questo motivo che riduce il grado di complessità, focalizzando gli scontri sulle evocazioni e non sugli attacchi diretti.

    In pratica V può evocare due creature d'ombra (il volatile Griffin e la pantera Shadow) che si "prenderanno cura" degli avversari. Anche in questo caso è possibile, variando la pressione dei tasti, eseguire mosse speciali e combo, ma l'operazione risulta sicuramente meno tecnica. Nei panni di V Devil May Cry 5 si trasforma in uno strano ibrido fra gestionale e action game, senza però dimenticare del tutto la necessità di schivare gli attacchi nemici e quella di finire personalmente i nemici storditi dai propri "minion".

    V dispone anche di una barra del Devil Trigger, che può caricare cantilenando le poesie scritte nel libro che porta con sé, e utilizzare poi per potenziare gli attacchi delle due belve oscure, oppure per evocare il titanico Nightmare, un golem dalla stazza imponente che di solito si proietta furiosamente sul campo di battaglia.

    Il combat system di V è curioso e peculiare, intelligente anche se non eccezionalmente profondo, piacevole intermezzo alle fasi con gli altri due protagonisti. In ultima analisi resta però difficile sacrificare le sane e vecchie mazzate in favore del suo fare più riflessivo: in quelle missioni in cui si può scegliere il personaggio da utilizzare, V finisce per essere l'ultima opzione percorribile, visto il brivido adrenalinico che sia Nero che Dante sanno garantire.

    Dante must fight

    E a proposito dell'eroe più anziano, protagonista originale e capostipite spirituale di tutti i turbofregni personaggi che controlliamo, non ci resta che muovere un plauso a Capcom. Giocare alla guida di Dante è un piacere incredibile, e soprattutto un'esperienza completamente appagante ed incredibilmente stratificata. Il nostro ammazzademoni recupera il meccanismo delle quattro stance che è possibile alternare con i tasti della croce direzionale, focalizzate rispettivamente sull'attacco, sulla difesa, sulla schivata e sui colpi a distanza.

    Su questo modello si innesta poi la possibilità di cambiare al volo le armi corpo a corpo e quelle da fuoco, fino a riscoprire una varietà senza pari. Non c'è Bayonetta che tenga, e persino il dinamico combat system ideato da Ninja Theory per DmC cede il passo di fronte alla stratificazione promossa da Dante. Vi basti considerare fra le altre cose che anche in questo caso c'è un sistema di sviluppo che permette di migliorare tutte le posizioni e tutte le armi, e che l'elenco di queste ultime è più vasto di quanto ci si aspetti.

    Oltre alla dotazione classica ci sono un paio di sorprese che non vogliamo svelare, ma che allargano in maniera impressionante il moveset. Le più elaborate esibizioni nei panni di Dante sono combinazioni interminabili di juggle, proiezioni, colpi rotanti, parate e contrattacchi, con una profondità che non ha nulla da invidiare a quella di un picchiaduro.

    Tanto di cappello a Capcom, per aver messo in piedi, attraverso la presenza di tre personaggi, un vero e proprio compendio dell'action 3D: è molto difficile, oggi, pensare a qualcosa di meglio.
    E allora, vi chiederete, di fronte ad elogi tanto appassionati, qual è la ragione di un voto che si avvicina all'eccellenza ma non la raggiunge per un soffio? I motivi sono soprattutto strutturali e quantitativi. Da una parte, infatti, abbiamo una campagna principale che ha un'impostazione un po' troppo trattenuta, e che nella seconda parte del gioco sembra rinunciare integralmente alla piacevolezza del level design.

    Già le prime missioni mostrano una configurazione abbastanza classica, un'alternanza regolare di arene e corridoi, con pochissime deviazioni per scoprire qualche oggetto e una dozzina di missioni segrete (le classiche prove di abilità, varietà o tempismo). Ecco: se la strega di Platinum Games non riesce a raggiungere la meticolosa perfezione del combat system di Devil May Cry 5, bisogna ammettere che supera il titolo Capcom, e senza alcuna fatica, sul fronte del dinamismo, della costruzione scenica, della varietà di situazioni e delle soluzioni registiche.

    Vedere ma non toccareAlcuni livelli di gioco supportano uno strano multiplayer asincrono, per cui in certi momenti degli stage è possibile osservare le prodezze di un altro giocatore che, in una parte separata e inaccessibile dello stage, sta giocando con un altro personaggio. Alla fine del livello è possibile valutare la prestazione del nostro compagno occasionale assegnandogli come riconoscimento la valutazione "stiloso". Una funzionalità curiosa ma tutt'altro che significativa.

    Dopo tanti anni si poteva e si doveva fare di più, invece che aderire ad un canone che pure alcuni capitoli tradizionali avevano provato a rinfrescare. In ogni caso mentre si viaggia per Red Grave City il gioco regala scorci piacevoli e una buona alternanza fra interni ed esterni: fra aree portuali, tunnel metropolitani e stradine dei quartieri residenziali c'è sufficiente varietà per non sentire troppo il peso della progressione lineare. Purtroppo nella seconda parte dell'avventura Devil May Cry 5 ci spedisce all'interno del Qliphoth, l'albero demoniaco a cui sopra si accennava, amplificando a dismisura la sensazione di un avanzamento troppo inquadrato e soprattutto annullando quasi del tutto la piacevolezza delle scenografie. Un motore come il RE Engine è davvero sprecato, se serve solo per renderizzare generici sedimenti rocciosi e ambientazioni estremamente uniformi.

    Che la seconda metà sia stata costruita un po' frettolosamente lo si capisce anche dalla quantità di missioni: la campagna principale è composta da una ventina di quest, alcune delle quali sono però costituite da una singola boss fight. E a proposito degli sconti con i boss, bisogna ammettere che non c'è da lamentarsi: fra enormi demoni volanti, parassiti striscianti e persino un furioso gallinaceo deforme non manca la varietà, con alcune battaglie che entrano di diritto nella hall of fame della serie.

    D'altro canto se alla fine dell'avventura il cronometro non arriva neppure a tredici ore, forse sarebbe lecito chiedere qualcosa in più. D'altro canto Devil May Cry è sempre stata una saga che instaura con i suoi fan un rapporto particolare, suggerendo un replay value basato sul perfezionamento delle proprie prestazioni, sull'aumento progressivo della difficoltà e sull'ottenimento del grado S in tutte le missioni. Anche in questo caso Devil May Cry 5 compie delle scelte un po' particolari: all'inizio del gioco è possibile cimentarsi nell'avventura solo a difficoltà normale, mentre l'opzione Figlio di Sparda si rende disponibile dopo il primo completamento. Figlio di Sparda è chiaramente la modalità principe della produzione, quella più stimolante e bilanciata: non esagerata come "Dante Must Die", propone degli scontri molto più lunghi e intensi perché fin dall'inizio butta nell'arena più nemici e avversari più potenti. Il fatto però che il gioco costringa ad affrontarla solo successivamente ha due effetti negativi: da un lato la seconda parte dell'avventura, sbloccate alcune caratteristiche di Dante e potenziati a sufficienza Nero e V, diventa letteralmente una passeggiata, incentivano persino (orrore!) un indelicato button mashing.

    Dall'altra il miglior livello di difficoltà disponibile si gioca senza più il fascino della scoperta, avanzando di scontro in scontro per usarlo quasi come una versione con intermezzi del Bloody Palace. A tal proposito è del tutto incomprensibile la scelta di non inserire proprio quest'ultima modalità fin dal day one, concedendola fra qualche mese grazie ad un supporto post-lancio sì gratuito, ma poco in linea con le caratteristiche e la filosofia del gioco.

    Stile, Sonorità e Spettacolo

    Tutte le volte che posiamo lo sguardo su uno dei personaggi modellati con il RE Engine, riusciamo a percepire in maniera cristallina la felicità di Capcom per i risultati del suo motore proprietario. Del resto avere una tecnologia di sviluppo e di rendering da usare come base per tutti i propri progetti è ormai necessità pressante per un publisher che decida di operare sul mercato attuale.

    Pensate a quello che è stato il Fox Engine per Konami, alla necessità di Kojima di trovare un nuovo motore; pensate al Frostbite e a quanto sia integrato nelle logiche di sviluppo di EA, o alla fatica che Square-Enix ha fatto (con risultati non sempre ottimali) per portare avanti il Luminous Engine. Il motore di Resident Evil, sviluppato parallelamente al settimo capitolo della saga horror, ci ha messo appena due anni a rivelare tutte le sue potenzialità.

    Nonostante anche in Devil May Cry 5 ci siano alcune esitazioni sula qualità delle texture, la caratterizzazione dei personaggi è impeccabile, con una resa dei volti appena caricaturale che ne amplifica a dismisura l'espressività. Al di là delle cut-scene (registicamente esagerate), della mole di alcuni boss, dell'efficace dosaggio di effetti speciali, DMC 5 galvanizza grazie ad un reparto animazioni senza una singola sbavatura, perfettamente capace di valorizzare le travolgenti coreografie degli scontri. Sebbene non interferiscano mai con le zuffe demoniache, si notano anche diversi elementi interattivi che di tanto in tanto cadono sotto i colpi della Rebellion o della Red Queen.

    Ma è ovviamente la fluidità senza incertezze il risultato da ammirare, imprescindibile per sostenere un action così tecnico e ritmato. Di spicco anche la colonna sonora, meravigliosa selezione di tracce urlate e ululanti, di accordi e note che graffiano, vibrando con l'intensità dell'heavy metal e dell'hard rock strumentale. I brani originali esplodono a più riprese cercando di fare da controcanto alle predisposizioni di Dante, Nero e V, mentre il resto delle tracce compone un impasto musicale di insolito vigore.

    Devil May Cry 5 Devil May Cry 5Versione Analizzata Xbox One XChe sia un'iperbolica sequenza di colpi improbabili nei panni di Dante, uno scontro duro e metallico portato avanti coi Devil Breaker di Nero, o una gangbang bestiale organizzata grazie alle evocazioni di V, Devil May Cry 5 è un piacere da vedere e da giocare. Esaltata, rockeggiante, tecnica, piacevolmente eccessiva, l'azione di gioco conquista e avvince dall'inizio alla fine, quasi sempre senza riserve: a parte un lieve sbilanciamento del vecchio protagonista, Capcom ha assemblato un combat system che si colloca senza fatica ai vertici dell'action game, in fatto di diversità e profondità. E c'è pure l'inaspettato sperimentalismo di un protagonista inedito, che sicuramente non può sostituire le furiose mazzate del comprimari, ma che rappresenta un gradito diversivo. Purtroppo in questo DMC ci sono anche alcune scelte non troppo felici in termini di level design, quantità dei contenuti, livelli di difficoltà. Il gioco procede per la prima metà a briglia sciolta, e poi sembra quasi volersi trattenere quando invece dovrebbe accelerare ancora. Resta un altro grande centro per Capcom, un rilancio efficace anche (se non soprattutto) dal punto di vista tecnico e dell'iconografia. Devil May Cry torna in una forma strepitosa, e ribadisce di essere qui per restare.

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