Driver Parallel Lines Recensione: un ricordo di sé stesso

Linee parallele verso un Driver ricordo di se stesso

Driver Parallel Lines Recensione: un ricordo di sé stesso
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  • PS2
  • Xbox
  • Wii
  • Pc
  • ...e non si può neanche dar la colpa all’hype!

    Quando uscì Driv3r il prodotto Reflection era così carico di hype che solo un capolavoro sarebbe riuscito a mantenere le aspettative. E Driv3r non era un capolavoro. Pur avendo alcune caratteristiche estremamente interessanti non raggiungeva la profondità del rivale GTA e, soprattutto, era vittima alcuni difetti che lo relegarono nell’affollatissima categoria dei giochi mediocri. Driver: Parallel Lines non è stato alimentato da promesse degne di un portavoce in preda agli effetti di sostanze la cui assunzione è vietata dalla legge. Ne lo stesso portavoce poteva essere definito un etilista. Le dichiarazioni dei responsabili, invece, erano “pacate” e promettevano un ritorno al passato. Dato però che qui non si parla di design di automobili, ne di rock and roll, ne tanto meno di tagli di capelli o scarpe, un “ritorno al passato” (in un settore tanto bisogno di innovazione come quello dei videogame) rischia di essere una lama a doppio taglio e, in effetti, sebbene D:PL ricordi abbastanza il primo capitolo, non ci troviamo a che fare con un’opera d’arte che riscrive un genere partendo dalle linee guida del passato.
    Rispetto al primo capitolo dell’attuale generazione i miglioramenti ci sono e sono evidenti (anche se alcune cose vengono tristemente rimpiante), ma in una visione più generale e completa di tutto quello che è il genere a cui D:PL appartiene, il gioco prodotto da Atari non brilla particolarmente. Non ha il feeling giusto, non ha mordente, non arriva nel cuore del videogiocatore ne lo convince di trovarsi veramente a New York. L’atmosfera è una magia che non sempre riesce e le formule di Driver sembrano avere effetti contrastanti. In alcune circostante l’alchimia di luci e colori funziona e risulta coinvolgente, ma troppo spesso questo delicato equilibrio si sgretola sotto il peso di una giocabilità non sempre perfetta, una grafica non all’altezza delle aspettative e la mancanza di varietà tipica del genere.

    L’eterno secondo?

    La storia del gioco ormai è nota a chiunque abbia seguito i precedenti articoli su Parallel Lines, pertanto sarebbe superfluo ripetere nuovamente quelle che sono le vicende del gioco (Se volete saperne di più vi consigliamo la lettura di una delle nostre anteprime, a Questo Indirizzo.
    Va detto che il plot è una delle componenti migliori di Parallel Lines: davvero bello, appassionante e soprattutto non scontato; quello che non convince appieno sono i personaggi, stereotipati e anonimi, ai quali riuscirete ad affezionarvi solo se avete delle serie carenze affettive. Probabilmente un lavoro maggiore in questo campo avrebbe aiutato a dare un po’ di personalità al gioco e a renderlo più entusiasmante; lo stesso The Kid (il personaggio principale) non è stato particolarmente curato in aspetti che gli avrebbero permesso di fare il salto di qualità, per raggiungere l'olimpo dei personaggi dei videogioco da ricordare. C'è da dire che l’aspetto grafico/estetico è convincente, ed è sopratutto nelle prime fasi di gioco che il carattere del personaggio resta un po’ in sordina.

    Le sequenze a piedi di Driv3r, oltre che a far dubitare circa la mascolinità di Tunner (i salti erano decisamente goffi...) , non avevano mai brillato per fluidità, immediatezza o divertimento. In D:PL le cose sono cambiate, ma non di molto. Si può ben comprendere la filosofia del gioco considerando che in D:PL non è possibile saltare. L’impressione è che i problemi siano stati rimossi invece che corretti, aggirati invece che affrontati. Anche le barche non fanno più parte del repertorio dei mezzi a disposizione, e se per qualsiasi motivo si finisce in acqua, poco dopo ci troveremo magicamente a bordo strada (a chi mettiamo i braccioli adesso?). Un passo indietro più che un ritorno alle origini.
    Questo non vuol dire che il compito di Driver doveva essere quello di inseguire GTA in una ipotetica rincorsa alle glorie del titolo Rockstar, ne aumentare a dismisura le modalità di gioco, le missioni secondarie o quant’altro. Va anzi apprezzato il tentativo di rivedere il genere sotto un’ottica diversa, più semplice e credibile. Più cinematografica e “seria” rispetto a Grand Theft Auto, ma sa tutto di “già visto” e “già giocato” (meglio). L’ombra del nemico numero uno di Driver PL, San Andreas, è quasi onnipresente e talvolta opprimente: in una missione dovremo spaventare un uomo seduto al nostro fianco in un’auto sportiva per estorcergli delle informazioni, tutto questo guidando a velocità folli e compiendo le manovre più spericolate: si tratta in pratica della fotocopia di una missione di GTA:SA (anche se qui il “cattivo” era legato al parabrezza della macchina e si rendeva protagonista di alcuni dei dialoghi più esilaranti della storia dei videogiochi).

    Ok, gli occhiali da sole sono belli. Ok, la giacca di pelle è bella. Ok, cammini tutto ondeggiato, ma poi?

    La grafica di D:PL non convince. Il framerate è buono e costante, gli effetti luce discreti, TK è realizzato bene, ma troppe altre cose lasciano l’amaro in bocca. I modelli poligonali delle vetture, spesso poco ispirati, non sembrano all’altezza di quelli di Driv3r (di per se molto buoni); gli sviluppatori non sono stati in grado di trasmettere l’indiscusso fascino delle auto americane degli anni settanta, e a differenza del precedente capitolo, sarà difficile avere una particolare preferenza per un modello piuttosto che un altro, proprio perché l’anonimato più generale sembra aver dato il colpo di grazia a ogni veicolo. Discorso simile ma diverso per le auto moderne: anche quelle vere non hanno stile. I giocatori più attenti non potranno fare a meno di notare il calo nel dettaglio (rispetto a Driv3r) nel caso in cui un veicolo abbia sulla carrozzeria dei fori di proiettile: particolarmente visibili e credibili in passato adesso si sono trasformati in un dettaglio mal realizzato. Anche New York è stata realizzata con risultati altalenanti: la dimensione assolutamente sconvolgente della città fa da contrappeso a (troppe) zone anonime e mal realizzate. Time Square o altre zone della città sono affascinanti, le torri gemelle (presenti, ovviamente, solo durante le fasi ambientate negli anni '70) o la zona industriale appaiono ben realizzate, ma troppo spesso ci si trova in aree molto simili tra loro, dove le strade sono perennemente ricoperte di giornali quasi come se comprare i quotidiani e buttarli per strada fosse lo sport nazionale americano (o come se gli spazzini fossero in sciopero, o come se per gli spazzini scioperare fosse lo sport nazionale...). Ad ogni modo, è questo il tipo di pensieri che assalgono l'utente mentre si combatte con l’ennesimo “gridlock” della grande mela. Il traffico, infatti, a volte è quasi esagerato, soprattutto rispetto ad altri giochi del genere (GTA su tutti): lungi dall’essere un difetto, si tratta decisamente di un fattore positivo che regala un po’ di sano divertimento durante gli inseguimenti.
    Proprio durante la guida, però, viene alla luce il difetto principale che affligge le sequenze ad alta velocità di Parallel Lines: l’imprecisione del modello. Troppo spesso è difficile riuscire a passare tra due veicoli nonostante ci sia spazio a sufficienza. Ovviamente la pratica aiuta, e con un pò di impegno si passerà da una interminabile ripetizione di incidenti frontali e tamponamenti ad una buona serie di manovre spettacolari ed appaganti; se invece si cavalca una moto è, logicamente, più facile districarsi nel traffico metropolitano. Parlando di inseguimenti è necessario toccare un altro tasto dolente nel panorama di Driver: la qualità dell'intelligenza artificiale. In D:PL ci sono due distinti livelli di attenzione da parte delle forze dell'ordine: uno per il veicolo e uno per The Kid. Se si commette un reato a bordo di un veicolo la polizia cerca quell’auto, e se si esce senza essere visti non si attira la loro attenzione. Se invece si esce dal veicolo mentre la polizia è ancora nelle vicinanze le forze dell’ordine assoceranno automaticamente i reati commessi “dall’auto” a The Kid. Questo implica che si deve adottare un minimo di strategia, per esempio, se la polizia è sulle tracce della nostra auto, potrebbe essere conveniente imboccare un vicolo secondario, disfarsi del veicolo e cercare un altro mezzo. Quello che invece lascia un pò perplessi è l’incapacità della polizia di agire in proporzione alla gravità del reato commesso: non è credibile che si venga presi a colpi di pistola per aver effettuato una manovra azzardata o essere passati con il rosso e per quanto la polizia americana possa essere intransigente sarebbe stato più divertente e realistico un sistema simile a quello adottato in Mafia: superare i limiti di velocità dovrebbe comportare una multa, non implicare necessariamente uno scontro a fuoco.

    Facciamo una passeggiata?

    No, rimanere in auto è sicuramente la scelta più saggia. Così come per l’esempio delle animazioni legate ai salti del precedente Driver, anche per le missioni “a piedi” la risposta dei programmatori è stata simile: ne è stato diminuito il numero, probabilmente nella speranza che i difetti non diventassero particolarmente pesanti. The Kid non è un giovane e agile criminale dal grilletto facile, assomiglia di più ad un impacciato e svogliato pistolero. Mirare, muoversi, guardare l’ambiente circostante e cercare eventuali pericoli sono azioni troppo macchinose e poco intuitive. Oltre a non trasmettere una sana sensazione di adrenalinico pericolo D:PL fa quasi sperare che la missione finisca in fretta e che la prossima sia più divertente.
    Così come promesso dagli sviluppatori la trama non obbliga ad affrontare le missioni con un ordine categorico. Purtroppo siamo ancora molto lontani da una vera meccanica di gioco aperta e dinamica, e anche Driver (così come gli altri giochi del genere) offre qualcosa che si avvicina ad una evoluzione flessibile piuttosto che ad una completa autonomia. Tradotto in termini videoludici vuol dire che prima della successiva missione principale ci si può dedicare ad una attività secondaria, la maggior parte delle volte sarà una gara clandestina o l’assassinio di qualche criminale. Vincendo le gare si guadagnano soldi che possono poi essere spesi per migliore le auto in nostro possesso, questa feature da un po’ di fiato al gioco e rende possibile personalizzare le vetture sotto vari aspetti: le prestazioni, la robustezza e l’aspetto estetico. I miglioramenti possono essere fini a se stessi o utili per portare a termine una missione con particolari caratteristiche. Se si sa, per esempio, che nel corso della missione è necessario avere un’auto particolarmente veloce è opportuno e utile aumentare le prestazioni del veicolo, se invece si deve affrontare un violento scontro a fuoco si può fare in modo di rendere l’auto più resistente alle pallottole.
    Le gare presenti in Driver: Parallel Lines posso essere fondamentalmente di due tipi: clandestine, per le vie della città, o legali, su dei circuiti. Per quanto questa sia una novità gradita (in Driv3r c’era un percorso automobilistico ma eccessivamente nascosto e inutilizzato) è l’ennesimo aspetto che non convince. I circuiti, sulle caratteristiche dei quali è meglio lasciare la sorpresa al giocatore (ma ricordatevi quali altri, gloriosi, giochi ha sviluppato Reflection nel suo passato), sono abbastanza grandi e divertenti ma il sistema di guida di Driver mal si adatta alal guida in pista. Se gli sviluppatori volevano fornire semplicemente un diversivo alla solita dinamica di gioco, sarebbe stato più opportuno lavorare su altri aspetti; se invece volevano che questa fosse una caratteristica importante è bene che non lo ammettano neanche in punto di morte.

    A tutto volume.


    Così come nel precedente capitolo, la colonna sonora risulta particolarmente curata, con canzoni delle due epoche che non mancano di alimentare l’appeal del gioco e di dare un po’ di stile allo stesso. Le canzoni, tra cui, per esempio “Sufragette city” di David Bowie, sono un ottimo sottofondo alle avventure di The Kid e sono selezionabili con il pad mentre si è nell'auto. In Driver: Paralle Lines non c’è un sistema tanto complesso e curato come quello di GTA (con radio e presentatori radiofonici) ma in definitiva non se ne sente la mancanza. I rumori ambientali e dei veicoli rientrano nella media e non stupiscono ne in positivo ne in negativo.
    La longevità del titolo è soddisfacente. Il numero delle missioni adeguato e più in generale ci sono “abbastanza cose da fare”, purtroppo però si tratta sempre del classico “vai da punto A a punto B”, o “vai da punto A a punto B con un determinato veicolo”, in altre parole D:PL non sviluppa nessuna meccanica di gioco rivoluzionaria, e per quanto questa non sia una colpa, sarebbe stato bello avere a che fare con un gameplay più innovativo.

    Driver: Parallel Lines Driver: Parallel LinesVersione Analizzata PlayStation 2Driver: Parallel Lines sembra essere stato sviluppato a metà. Probabilmente necessità di mercato hanno obbligato gli sviluppatori a completare il lavoro senza poter implementare tutte le loro idee ne sviluppare al meglio quelle già esistenti. La critica più grossa che si può fare a D:PL non è quella di non aver eguagliato la concorrenza, in alcuni casi D:PL è drasticamente superiore (la fluidità grafica è sorprendente), ma di non essere stato in grado di ripetere le gesta passate. Dopo il passo falso di Driv3r era logico aspettarsi una rivincita della saga, ma così non è stato. Sebbene D:PL sia un prodotto nel suo complesso abbastanza buono, non riesce a trasmettere il divertimento desiderato. A qualunque cosa mirassero gli sviluppatori è evidente che non abbiano fatto pieno centro, anche se è palese il loro impegno e talento: New York, i veicoli e TK si trasformano per dar vita, nella parte ambientata nel 2006, a un gioco graficamente diverso. Stilisticamente differente. E’ molto bello notare le differenze nei colori e nelle atmosfere della New York moderna, lo si può quasi respirare nell’aria. I menù, il tachimetro delle vetture e tanti altri piccoli dettagli fanno notare come il lavoro maniacale e l’attenzione per le piccole cose possano effettivamente giovare al titolo. Ma, ovviamente, non bastano.

    6.5

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