Eldest Souls Recensione: boss rush senza pietà in Pixel Art

Fallen Flag Studio, piccolo team italo-inglese, debutta con un diabolico Soulslike tutto incentrato sui boss... e su un livello di sfida brutale.

Eldest Souls
Recensione: Multi
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Fa sempre piacere vedere team nostrani cimentarsi nello sviluppo. È il caso di Fallen Flag Studio, un team italo-inglese di sole quattro persone all'esordio con Eldest Souls, piccolo titolo indie indirizzato ad una nicchia ben specifica di giocatori hardcore. Si tratta di un gioco estremamente semplice nelle sue componenti fondamentali ma molto complicato nell'esecuzione, dal livello di difficoltà tarato vertiginosamente verso l'alto - per la somma gioia degli irriducibili del gaming più brutale e spietato.

    Prima di tutto, però, trovo sia il caso di spendere due parole sul branding del titolo. Essendo un soulslike palesemente ispirato dal successo delle opere di Hidetaka Miyazaki e From Software appare quasi troppo sfacciata la scelta del nome, che richiama contemporaneamente Dark Souls e l'ormai prossimo all'uscita Elden Ring (ecco la nostra più recente anteprima di Elden Ring). Il rischio è che il pubblico lo percepisca a priori come un fac-simile derivativo e di scarsa qualità. Un po' come succede di continuo sui principali store mobile, che pullulano di generici da farmacia dei titoli di successo.

    Una boss rush senza pietà

    Eldest Souls è una sublimazione dei soulslike più famosi del panorama videoludico contemporaneo. L'ambientazione è estremamente ristretta rispetto alle grandi mappe interconnesse tipiche delle opere di riferimento e, allo stesso modo, l'intero gameplay si basa sul combattere contro boss enormi e senza pietà. Non ci sono mob di alcun tipo sparpagliati per la mappa da abbattere per migliorare le proprie statistiche, il che rende l'esperienza sicuramente più immediata ma in qualche modo anche più povera e ripetitiva.

    Non che manchino contenuti, sia chiaro: parliamo pur sempre di un titolo che offre una durata minima di una decina di ore (ma che vi assicuro saranno molte di più, vista la difficoltà degli incontri), eppure il continuo scontrarsi solo e soltanto con boss giganteschi dà una sensazione di mancata progressione che alla lunga può stancare parecchio. Fa parte della sua natura di boss rush ovviamente, ma Eldest Souls scricchiola a causa della sua mancanza di alternative ludiche capaci di far tirare un po' il fiato tra una divinità gigante abbattuta e la successiva. Certo, esistono delle mini quest secondarie, ma sono estremamente semplici e nella stragrande maggioranza dei casi prevedono la raccolta di un oggetto da offrire o mostrare ad uno degli NPC presenti nella mappa in cambio di qualche gradito potenziamento e poco altro. Tali missioni extra non sono obbligatorie, ma la loro risoluzione influirà sul finale. Eldest Souls è un gioco estremamente schietto, forse persino troppo. Una volta portato a termine è possibile cimentarsi nella modalità New Game +, che alza ancora di più l'asticella della difficoltà per i più impavidi e masochisti.

    Gameplay semplice, scontri micidiali

    A livello di gameplay è sorprendente vedere quanto il team di Fallen Flag sia riuscito a mantenere relativamente semplice l'approccio a Elden Souls pad alla mano. Il fulcro del combat system è infatti l'alternanza di colpi leggeri e colpi caricati; questi ultimi, una volta andati a segno, aprono una breve finestra temporale che permette di recuperare gli HP persi ad ogni colpo inferto o, in alternativa, di scatenare un attacco decisamente più potente degli altri.

    Questo dona una connotazione decisamente più tattica agli scontri, che si basano quasi interamente sulla gestione dei tempismi d'attacco e di schivata. Il sistema di combattimento, che prevede anche la selezione di tre stili di lotta intercambiabili tra loro, funziona anche piuttosto bene. Il problema, però, è che soprattutto nelle fasi iniziali del gioco si avverte pesantemente la già citata sensazione di mancata progressione, che rischia di scoraggiare il giocatore di fronte alle continue ripetizioni delle battaglie senza possibilità di tirare mai il fiato. Al di là del primo boss, che funge egregiamente da tutorial per permettere di impratichirsi coi controlli, la lentezza dei movimenti e l'enorme quantità di colpi necessari per abbattere i nemici che ci si parano davanti rende ogni sfida particolarmente ardua da affrontare. Le battaglie sono tutte ben congegnate e prevedono un livello di sfida vertiginoso, ma ognuno dei dieci boss presenti incarna una sfida spietata che troppo spesso rischia di rivelarsi più frustrante che appagante.

    In Eldest Souls si muore con una frequenza impressionante, ma non sempre a causa dei propri errori o della scarsa pianificazione dello scontro. Capita spesso di incastrarsi in porzioni delle arene che limitano i movimenti o dietro agli sprite dei boss, soprattutto quelli fluttuanti. Oppure di non essere fisicamente in grado di tenere a mente l'enorme quantità di pericoli ed input visivi per potersi orientare nello spazio e congegnare una tattica efficace al primo colpo d'occhio. Quando si sopravvive, si ha spesso l'impressione di avercela fatta più per fortuna che per effettiva bravura.

    A chi si rivolge Eldest Souls?

    Eldest Souls, come già detto, racchiude in se tutte le caratteristiche principali del combattimento all'ultimo sangue tipico dei souls. Difficile che possa avvicinarsi ai neofiti del genere, anche se la sua estrema asciuttezza in termini di worldbuilding e narrazione ambientale potrebbe far storcere il naso pure agli appassionati di vecchia data. Eldest Souls va preso per quello che è: un omaggio al gaming più hardcore che ci sia che sembra non voler offrire altro al di fuori della sfida estenuante.

    Si tratta di una via di mezzo che pur avendo i suoi pregi innegabili rischia di farsi dimenticare piuttosto in fretta. L'elemento sicuramente più apprezzabile è l'assenza di oggetti curativi, scelta che impone un approccio al combattimento estremamente aggressivo e frenetico, rendendo di conseguenza ancora più importante la gestione del timing e una concentrazione notevole per imparare a memoria i moveset dei boss, e capire quando potersi curare tramite l'assalto caricato.

    A condire il tutto una pixel art ben realizzata anche se non ispiratissima ed una buona colonna sonora, che va ad infilarsi nel solco di quelle composte da Motoi Sakuraba per Dark Souls, pur non riuscendo mai a raggiungere le medesime vette. Eldest Souls è un buon punto di partenza per Fallen Flag Studio: un titolo lontano dall'eccellenza che però pone le basi per il futuro del piccolo team italo-inglese.

    Le qualità ci sono, forse però Eldest Souls si inserisce in un ambiente in cui emergere rischia di essere troppo difficile, se non si è in grado di ampliare l'offerta ludica per andare oltre quello che a conti fatti sembra più uno scheletro che non un prodotto completo al 100%.

    Una piccola nota a margine per tutti quelli che decideranno di giocarlo su Switch: in modalità portatile il gioco non ha impedimenti tecnici di alcun tipo e gira quasi alla perfezione senza rallentamenti di sorta, ma la frenesia degli scontri e la precisione richiesta nell'imput dei comandi si sposano molto poco con i Joy-Con. Il discorso cambia drasticamente quando si passa alla modalità TV, soprattutto se si decide di utilizzare un Pro Controller.

    Eldest Souls Eldest SoulsVersione Analizzata Nintendo SwitchDa amanti dell’aspetto narrativo del lavoro di Hidetaka Miyazaki più che dell’alto livello di sfida a prescindere, abbiamo fatto fatica a innamorarci di Eldest Souls. Perché, pur tentando in qualche modo di mimare la scrittura frammentata sdoganata da From Software, questo esperimento non riesce ad essere evocativo allo stesso modo. L’esordio di Fallen Flag Studio parla più la lingua di chi è disperatamente in cerca di sfide, rischiando però di lasciare fuori tutti quelli che in un titolo del genere cercano qualcosa in più di un approccio così compiaciutamente hardcore. Eldest Souls finisce allora per diventare un passatempo a suo modo divertente ma che rischia in fretta di trasformarsi in frustrazione, questo perché la sua immediatezza non basta a far emergere una personalità ben delineata. Ci troviamo al cospetto di discreto primo passo, anche se sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa in più.

    7

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