Recensione Euclidean

Una lenta e spietata agonia verticale tra le architetture di un lontano mondo sommerso contraddistinto da follia e della disperazione umana, rappresentato interamente per mezzo di figure geometriche solide.

Recensione Euclidean
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  • Posando velocemente lo sguardo sulla sinossi di Euclidean, ultimo lavoro degli indipendenti Alpha Waves, è lecito farsi prendere da un po' di sano entusiasmo. Si parla, in soldoni, di una discesa nei meandri oscuri della follia e della disperazione umana, di un universo in geometria solida permeato di un orrore lovecraftiano e, insomma, di una parvenza di quello sperimentalismo che vorremmo vedere impiegato nel medium videoludico molto più spesso di quanto invece accade nell'ordinario. In fondo ci piacciono le storie a lieto fine, e saremmo davvero felici di scrivere di quanto il titolo in questione riesca a convogliare questi lodevoli propositi in un insieme inimitabile, coinvolgente, insomma di valore. Purtroppo, scoccato il -circa- quarantesimo dei minuti utili a giungere ai credit, rimangono solamente tanti dubbi su quanto visto fino a poco prima a video. E, parimenti, molte più sconsolate certezze su quanto giocato.

    Stay a while, stay forever

    C'è anzitutto da fare una riflessione in merito al genere d'esperienza che Euclidean è in grado di veicolare nell'arco della sua pur fugace vita digitale. Nonostante il prodotto, venduto a meno di quattro euro, non precluda una fruizione con i tradizionali mouse o controller, risulta evidente fin dal menù iniziale come quel "supporto per VR" che Steam elenca senza enfasi tra le caratteristiche di gioco sia in realtà ben più che una possibilità d'uso tra le tante. Infatti, senza preamboli né coordinate spazio-temporali, il titolo getta il giocatore nelle viscere di un mondo subacqueo, entro cui egli potrà tentare d'orientarsi soltanto muovendo la propria capoccia virtuale. L'avventura, una caduta libera nell'oblio suddivisa in nove stage, si svolge completamente in soggettiva e mira a restituire un forte senso di spaesamento per tutta la sua durata, dato che ogni cosa, in questo non luogo, è avvolta da un alone di cupezza quasi impenetrabile. Quasi, perché nel corso di ogni livello l'ambiente verrà squarciato di tanto in tanto da lampi di luce istantanei: uno stratagemma che, oltre a tentare di rendere l'atmosfera più tesa e sospesa, aiuta il gamer a prender relativa coscienza degli elementi che lo circondano. Si tratta, nella fattispecie, di un mix di strutture inanimate e animali marini più o meno mastodontici, votato a generare uno scenario metaforico ispirato ai principi di geometrica euclidea, da cui il nome della produzione. Scopo di ogni partita è di evitare verticalmente ciascuno di questi ostacoli -statici o mobili che siano- fino a raggiungere un campo energetico posto sul fondo dell'abisso, che infine teletrasporta l'utente al culmine dell'ambientazione successiva. Per far questo si avrà a disposizione soltanto lo spostamento fisico lungo gli assi spaziali, oltre a un tasto destinato a mostrare in negativo gli impedimenti nelle vicinanze per qualche secondo, abilità che poi richiederà un certo tempo di ricarica prima di essere reimpiegata. Nel caso in cui il nostro fragile corpo sfiorasse anche solo lievemente qualsiasi materia solida sarà subito game over, il che è sinonimo di riprendere la calata dal punto più alto della location conquistata. A meno che non si sia così masochisti da aver opzionato la modalità permadeath all'avvio: in tal caso, ogni errore costerà la perdita definitiva di ogni progresso. Al di là di un minimalismo di gameplay portato agli eccessi, Euclidean paga lo scotto di un ritmo generale davvero troppo blando. Trovandosi immerso in un mondo sottomarino, ogni movimento del videogiocatore/personaggio è di una lentezza esasperante e, malgrado ogni sfida sia di durata medio-breve, completare ciascuno scenario non porta con sé alcun tipo di stimolo. Non c'è stimolo in materia di progressione narrativa, poiché l'intera diegesi si fonda su un astrattismo assoluto, ai limiti dell'indecifrabile, laddove una sola voce cavernosa fuori campo ci accompagnerà con frasi enigmatiche e considerazioni sulla nostra inadeguatezza a varcare le soglie di quel limbo ultraterreno. Non c'è stimolo, soprattutto, in termini puramente ludici, in quanto il susseguirsi di discese verso l'ignoto dà la costante impressione di un'esperienza da vivere passivamente, nell'arco della quale è difficile provare gratificazione per le poche azioni eseguite.

    Capita qualche volta di fallire, vuoi perché i gargantueschi mostri cubici si spostano nell'acqua molto più rapidamente di noi, rendendo complesso schivarli per tempo, vuoi perché, come scrivevamo, non tutto ciò che ci attornia è sempre perfettamente visibile. In questo senso, il trial & error è qui particolarmente tedioso, conseguenza del dover ripercorrere setting che, dopo un primo tour, non hanno nulla di così attraente da meritare una seconda, terza o -Dio ce ne scampi!- ulteriore traversata.

    See No Evil, Hear No Evil

    È proprio nella ricerca di una cifra stilistica personale, dove la produzione, per sua natura, avrebbe dovuto mostrare i denti a fronte di qualche mancanza ludica di troppo, che Euclidean perde definitivamente l'equilibrio prima del tonfo.

    Probabile conseguenza di un budget contenuto, i nove livelli giocano di sottrazione visiva sfruttando il torbidume liquido che pervade ogni angolo dello schermo, e ciascun ambiente vive inoltre di una monocromia marcata e dei già citati effetti di luce intermittente. I brevi attimi che disvelano gli oggetti di scena ne mettono però in evidenza un lavoro artistico davvero poco ispirato, che fatica a concretizzarsi in quel senso di disagio che gli sviluppatori avrebbero voluto trasmettere al giocatore nel corso delle partite. Il discorso cambia leggermente parlando di sonoro, forse l'unico versante in cui il prodotto riesce paradossalmente a brillare. L'in-game fa un uso massiccio del suono dinamico, che ha una ragion d'essere non soltanto nel plasmare il contesto di gioco, ma anche in stretta relazione con la formula di gameplay. Porre attenzione alla provenienza dei rumori ambientali è spesse volte utile a scansare le belve in movimento, così come, trovandoci troppo vicini a una superficie solida, saremo in grado di avvertire il nostro battito cardiaco farsi via via più martellante e deciso. Giocare con le cuffie ben salde alle orecchie è dunque scelta più che saggia, diremmo quasi obbligatoria. Anche perché, più in generale, tutto il comparto audio è di pregio, dall'effettistica ovattata a simulare la permanenza sott'acqua alle poche composizioni di raccordo tra uno stage e il seguente, disarmoniche e volutamente inquietanti.

    Euclidean EuclideanVersione Analizzata PCPur facendosi carico di una filosofia estetico-sensoriale che potrebbe ricordare alla lontana certi preziosi esperimenti di gaming contemporaneo -quelli di Jenova Chen, tanto per citare l’ovvio-, Euclidean non riesce a ottenere minimamente un risultato di simile impatto. Il valore del prodotto non è in grado di sorpassare il pur interessante concept che ne anticipa la genesi, mostrandosi inadeguato sia in fatto di gameplay che nel mettere in atto la sua principale missione, quella di restituire al videogiocatore un’esperienza immersiva, intensa e al contempo disturbante. Si tratta insomma di un lavoro grezzo, freddo, sostanzialmente vuoto, che avrebbe forse beneficiato di maggiori risorse e di una direzione artistica più decisa, ma che, così proposto, ci rende assai difficile consigliarne l’acquisto, nonostante un prezzo di vendita alla portata di tutti.

    5.0

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