Finding Paradise: Recensione del nuovo gioco dall'autore di To The Moon

Sei anni dopo il magnifico To The Moon, Kan Gao torna a commuoverci di nuovo: Finding Paradise è un racconto intenso, magnetico e coinvolgente.

Finding Paradise: Recensione del nuovo gioco dall'autore di To The Moon
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  • "Il paradiso risiede nei ricordi della nostra infanzia" - Hayao Miyazaki

    L'ibisco è un fiore di una bellezza rara, delicata e sfuggevole. I suoi petali sono estremamente fragili, evanescenti e dalla durata assai limitata, pronti ad appassire al primo rintocco del tempo. Come i ricordi. Eppure le memorie di Colin Reeds, paradossalmente, hanno come comun denominatore proprio l'ibisco: i suoi colori ed il suo profumo aleggiano tra i singhiozzi degli anni, come se fossero l'unica, vera costante di una vita trascorsa a volare in alto, con le ambizioni e con la fantasia.
    È Colin, un vecchio pilota di aerei con la passione per il violoncello, il nuovo paziente della Sigmund Agency of Life Generation: la dottoressa Eva Rosalene ed il dottor Neil Watts sono pronti, pertanto, ad esaudire il suo ultimo desiderio, penetrandogli nella mente per riscrivere il suo passato ed il suo presente, così da illuderlo di non avere più rimpianti. Un po' come hanno già fatto, ormai sei anni fa, con Johnny Wyles, protagonista dell'indimenticabile To The Moon. Questa volta, però, a Colin non basta "semplicemente" raggiungere la luna...
    Finding Paradise è il racconto di un viaggio a ritroso nel tempo, in un continuo andirivieni di frammenti dimenticati o accantonati nei recessi della memoria. Per Kan "Reives" Gao è stata sicuramente un'impresa molto ardua: bissare, eguagliare o quantomeno avvicinarsi alla meraviglia di To The Moon sembrava un compito del tutto impossibile.
    Con grande consapevolezza dei propri strumenti espressivi, l'autore ha quindi deciso di imboccare una strada diversa da quella della pura commozione: laddove la storia di Johnny e River puntava dritto al cuore, fino ad intasare i nostri condotti lacrimali, la vicenda di Colin - almeno inizialmente - sembra stimolare più le corde della riflessione intellettuale. Quando le due anime di Finding Paradise, quella più toccante e quella più psicologica, si fondono in un unico abbraccio, il miracolo si compie di nuovo: serviranno solo cinque ore per giungere alla conclusione di questa magnifica avventura, ma non basterà una vita intera per dimenticarla.

    "I'll ask you to fly away with me"

    Prima di Finding Paradise c'è stato A Bird Story, uno "short game" di appena un'ora che funge da "apripista" alla storia di Colin, raccontandoci la sua amicizia, in età infantile, con un piccolo uccellino che ha amorevolmente salvato ed accudito.
    Non è una premessa essenziale per godersi pienamente la trama di Finding Paradise, ma un'aggiunta che potrebbe comunque, seppur in misura minore, aiutarci a decifrare alcuni simbolismi che puntellano la narrazione. Una volta anziano, in procinto di morire, il protagonista viene assalito dal desiderio di raggiungere uno specifico obiettivo: cosa potrebbe desiderare un uomo come Colin, che durante la sua lunga vita sembra aver portato a compimento tutti gli scopi che si era prefisso? Sul suo capezzale siedono infatti anche la moglie Sofia, da lui amabilmente chiamata ‘Fia, ed il figlio Asher, il cui nome in ebraico significa "felice", "beato", come se fosse la concretizzazione ultima dei suoi successi e dei suoi traguardi. Ma l'agenzia Sigmund non viene interpellata per un capriccio da nulla: i nostri adorati Rosalene e Watts scaveranno quindi a fondo all'interno di una coscienza piuttosto complessa, alla ricerca del vero "sogno" di Colin.
    Allo stesso modo, mentre i due impavidi investigatori dell'inconscio scandaglieranno le profondità della sua anima, Kan Gao si intrufolerà di soppiatto, poco a poco, nel nostro cervello e nel nostro cuore, riservandosi un altro posticino in quella nicchia dei ricordi dove già siede To The Moon.
    Finding Paradise, tuttavia, non tocca le stesse corde "sentimentali" della precedente opera di Freebird Games, e neppure ci prova, se non negli ultimi momenti della narrazione: il suo intento è invece quello di stimolare una riflessione più "concettuale", chiedendo al giocatore di interrogarsi sulla legittimità etica del lavoro di Eva e Neil, sul senso di abbandono e solitudine, sul significato e sull'essenza dei rimpianti, sull'infanzia come culla dei desideri e sul futuro come sipario delle ambizioni. La scrittura di Kan Gao è, ancora una volta, leggera e potente: un romanzo in pixel art dalle venature malinconiche ed intime, che affronta, con stupefacente delicatezza, tematiche tanto inusuali quanto penetranti.

    Ad ogni lacrima si accompagna un sorriso: i dialoghi più intensi e gli istanti più struggenti vengono infatti alleggeriti con tocchi di umorismo e citazionismo mai così ben contestualizzati, tali da permettere a Finding Paradise di non scadere nel pietismo, nella retorica qualunquista o nelle logiche deella facile commozione. È la stessa magia di To The Moon, sebbene il suo effetto possa apparire - com'era inevitabile - meno sorprendente ed originale, anche a causa di un colpo di scena che i giocatori più attenti forse troveranno leggermente prevedibile.
    La grande intuizione di Kan Gao consiste, in sostanza, nell'aver proposto un'esperienza sufficientemente diversa ed al contempo così simile a quella del suo primo capolavoro: una storia più diretta, dall'impatto meno destabilizzante, ma non per questo incapace di suscitare emozioni altrettanto pervasive. Sono questi gli stilemi di uno scrittore che, nel panorama ludico, conosce pochi paragoni: l'abilità delle sue opere di coinvolgerci sul piano emotivo ed intellettuale è una caratteristica che vorremmo non cambiasse mai.

    Something has changed

    Ed invece qualcosa è cambiata: oltre ad una sceneggiatura più dinamica (sfortunatamente solo in lingua inglese), che evolve ed approfondisce il carattere di due sublimi personaggi come Rosalene e Watts, la struttura stessa dell'avventura ha subito un microscopico e quasi impercettibile mutamento, facendosi più vivace e lievemente meno "spettatoriale". Esplorando i ricordi di Colin, oscillando tra la maturità, l'adolescenza e la gioventù, dovremo nuovamente ricostruire la timeline della sua vita, esplorando piccoli frammenti di memorie, all'interno dei quali si nascondono i "link mnemonici" che abbiamo già incontrato in To The Moon.
    Muovendoci lungo l'ambiente, insomma, sarà sufficiente interagire con tutti gli elementi dello scenario - accuratamente posizionati in un mosaico di simbolismi davvero sensazionale - finché non sbloccheremo un nuovo dialogo ed otterremo, come ricompensa, un indizio con cui attivare un "memento", ossia quel particolare oggetto che, in virtù della sua importanza, accomuna tra di loro vari ricordi. Che sia la custodia del violoncello, un libro, un areoplanino di carta o un fiore di ibisco, una volta scoperto il punto di collegamento saremo chiamati a completare un breve minigioco nel quale allineare tre o più simboli identici, fino a farli svanire, in modo tale sbloccare l'apposito memento e passare alla successiva linea temporale.
    Queste sequenze in stile puzzle game sono più elaborate in confronto a quelle di To The Moon: non ci impegneranno per più di una manciata di minuti (e vale anche per gli enigmi più machiavellici), ma intervallano comunque con intelligenza lo svolgersi degli eventi, solleticando la nostra materia grigia al pari della narrazione.

    La banalità dei rompicapi non è un fattore che inficia la piena riuscita dell'opera, perché - a differenza di come accade in un altro titolo story-driven come Last Day of June - in Finding Paradise gli enigmi non sono "funzionali" al racconto, ma solo innocui diversivi tra un dialogo e l'altro. Anzi, se Kan Gao avesse strutturato puzzle troppo complicati, queste fasi di transizione sarebbero diventate solo dei fastidiosissimi ostacoli in grado di frantumare il ritmo dell'avanzamento.
    Di tanto in tanto, ma specialmente verso le battute finali, affronteremo dei siparietti che scimmiottano il gameplay di vari generi videoludici: sequenze un po' più interattive davvero spassose, inserite al momento opportuno per alleviare la portata drammatica di alcuni avvenimenti. Sono simili frangenti a rendere Finding Paradise un gioco dal sapore squisitamente agrodolce, una sapiente mistura di tristezza e ironia.

    "Con il giusto accompagnamento, tutto può diventare una melodia"

    Nei lavori di Freebird Games la fortissima carica empatica è veicolata non soltanto da uno script ineguagliabile, ma anche da una cornice audiovisiva sensazionale, a tal punto da funzionare anche da sola, senza alcun supporto testuale (è il caso - ad esempio - di A Bird Story, un gioco privo di qualsiasi linea di dialogo ma comunque pienamente comunicativo).
    Finding Paradise trova nella pixel art la migliore confezione possibile per la sua estetica minimalista e suggestiva: la presenza di espressioni facciali appena abbozzate, con tono quasi caricaturale, trasmette infatti un forte senso di tenerezza e stupore infantile.

    Ma uno dei principali "memento" che collega le opere di Kan Gao assume le forme di una nota musicale. Le dita danzano sul pianoforte e le mani accarezzano un violino, mentre le immagini scorrono a schermo come se volteggiassero seguendo la partitura di uno spartito. C'è un'armonia che si percepisce ad ogni istante, e che diviene imprescindibile compagna della storia.
    Anche in Finding Paradise la colonna sonora irretisce ed ipnotizza: manca, è vero, un pezzo strumentale dotato della stessa forza di For River, ma sarebbe anche ingiusto aspettarselo. Quello che conta è che la purezza della voce di Laura Shigihara torni un'altra volta ad allietarci con un brano appassionato e sognante come Wish my life away (da ascoltare, però, soltanto dopo aver completato il racconto di Colin). La melodia, in questo caso, si esprime meglio di qualsiasi parola.

    Finding Paradise Finding ParadiseVersione Analizzata PCDopo aver amato To The Moon fino alle lacrime, non potevamo che salutare il nuovo progetto di Kan Gao con l’entusiasmo di un bambino che scopre per caso il posto dove sbocciano i fiori di ibisco. Ciononostante, mentre scorrevano i titoli di coda, abbiamo compreso un dettaglio fondamentale: per apprezzare interamente Finding Paradise occorre liberare la mente dalla traccia del precedente capolavoro, dalle emozioni e dalle aspettative che aveva generato. Quello di Colin Reeds è un racconto diverso, meno sentimentale, ma pur sempre cerebrale ed accorato. Un esempio di scrittura sopraffina, malinconica e divertente, che dondola avanti ed indietro tra il riso e il pianto come fa con le memorie. Kan Gao è riuscito a scavare così a fondo nel nostro inconscio da commuoverci di nuovo: e neppure l’intervento di Rosalene e Watts, ormai, potrebbe rimuovere questa sensazione. Nella nostra vita di videogiocatori, infatti, Finding Paradise si è impresso come un ricordo che non potrà mai essere cancellato.

    8.8

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