Recensione Guwange

Recensito lo sparatutto 2d Cave ambientato nel Giappone feudale

Recensione Guwange
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Xbox 360
  • Se avete a mente la forma classica degli sparatutto bidimensionali, Guwange vi sorprenderà.
    Se avete a cuore la sintassi a scorrimento continuo, Guwange vi sorprenderà.
    Se adorate i leitmotiv techno punk dello sparo ignorante e compulsivo, Guwange vi sorprenderà.
    Il titolo Cave uscito nel 1999 in sala giochi per il publisher Atlus rappresenta l'esempio migliore della follia stilistica della casa di Dodonpachi, la massima edificazione di un gameplay di rottura con ogni precedente paradigma dello shooter 2d: Guwange non ha alcun fratello gemello in Toaplan, Irem o Konami, né lo ha avuto nei dieci anni successivi alla pubblicazione. E' sinonimo del più genuino e autentico art design di Cave, germogliato multidirezionalmente secondo ramificazioni ora fantascientifiche, ora biotecnologiche, ora belle-epoque, ora gothic lolita.
    Tenere i fili di un estetica raffinata nell'impatto bidimensionale prima ancora che in quello ludico impensierisce ogni software house degna di questo nome, ma non Cave che ha fatto della conoscenza di ogni singolo sprite che circola come mina vagante sul verticale schermo il proprio tratto distintivo. Guwange è il rovesciamento di tale cadenza ritmica, la reinvenzione dell'abc di Donpachi e relativo seguito, la vocazione alla sperimentazione continuata poi con l'orizzontale Project no Arashi.
    Ora che lo sparatutto del 1999 esce per la prima volta dagli schermi arcade e approda su console casalinghe attraverso una conversione pubblicata come Live Arcade di Xbox 360, anche a noi europei è offerta la possibilità di emergere dagli schemi precostituiti attraverso venticinque anni di pilotaggio di astronavi, per godere di un classico che si trova perfettamente a proprio agio nei secoli feudali e nelle campagne del Sol Levante.

    Era Muromachi: ultima frontiera

    Appariremmo pacchiani e di sicuro banali se vi dicessimo che al fugace colpo d'occhio sembra una pellicola di Kurosawa. Più o meno il periodo è quello: era Muromachi, quattordicesimo-sedicesimo secolo, età feudale nipponica centrata in pieno. E' il tempo dei samurai, dei signori della guerra, delle magniloquenti fortificazioni, delle cittadelle edificate su blocchi di pietra trapezoidali.
    Ma possiamo essere più audaci: dicendo che Guwange pare tanto la versione più impestata di proiettili e maggiormente florida in dettagli di Kiki Kai Kai, seminale sparatutto da bar per mano di Taito. Eccezion fatta per la vena ironica che muoveva i coraggiosi combattenti in vestaglia della casa di Space Invader, si contempla in entrambi i prodotti un'insidia data dagli attacchi nemici, in forma di sparo o eccezionalmente di contatto diretto, ma anche l'accettazione di un level design tortuoso, costruito non a dorso di creature che si librano nell'aria ma tra boschi sacri e templi fortificati, tra arbusti secolari e muretti difensivi. Nello specifico di Guwange la scelta di sviluppare l'azione in ogni caso ben impiantati a terra si dimostra se non altro originale, più radicale anche del precedente ESP Ra. De. che aveva eliminato le astronavi in favore di appiedati techno-adolescenti.
    Il level design si modifica di conseguenza, pensando a più livelli di sparo, così come ad attacchi provenienti non solo frontalmente ma da tutte e quattro le direzioni, chiamando il giocatore a gestire con maniacale concentrazione l'ordinaria artiglieria e il potere dello Shikigami. Quest'ultimo si attiva alla prolungata pressione del tasto di fuoco: laddove nel canone Cave ciò corrisponde a un rallentamento della velocità dei proiettili e ad una enfatizzazione della distruttività sprigionata dall'artiglieria, in Guwange si evocherà una sorta di protettore indirizzabile contro il drappello di nemici. Il potere dello Shikigami risulta particolarmente utile per eliminare piccoli drappelli di nemici deflagrati come se colpiti da esplosioni, mentre nel caso di avversari più coriacei (leggasi boss di fine livello) la facoltà di bloccare temporaneamente i colpi dell'opponente migliorerà in men che non si dica attacco e difesa nei confronti di tali bestioni.
    Padroneggiato lo Shikigami entrerete in sintonia con la mistica di Guwange, con l'alternanza tra bombe (direzionabili), raffiche di proiettili e protettore etereo. Si comporta di conseguenza il sistema di punteggio, il quale privilegia anzitutto lo sparo compulsivo elargendo maggiori bonus allo sterminatore senza sosta di legioni, a colui che si sa maggiormente destreggiare con continuità tra i campi di battaglia architettati dai designer Cave.
    Originale anche il sistema della salute, qui non connesso al numero di volte in cui si viene colpito ma bensì ad una barra suddivisa in tre: all'esaurimento di ciascuna parte si smarriranno i power up raccolti precedentemente, mentre quando non resterà alcuna lineetta dell'ultima sarà l'inevitabile Game Over.
    Capirete che lo sparatutto Cave non è per nulla un ordinario shoot'em up, quanto piuttosto la compresenza di elementi tratti da ESP Ra. De. e sfrenate citazioni agli action da bar degli anni '80; una miscela che farà contento specie l'appassionato del genere e ancor più quello dei maniac shooter, colui che più di tutti ha la necessità di dosare ogni tanto la tipologia di sparatoria che viene proposta ai suoi polpastrelli e alla sua pupilla.

    Poche idee e pure confuse

    Il porting da scheda arcade a Xbox 360 si può intendere come arcade perfect. La magnifica direzione artistica bidimensionale si presenta agli occhi del giocatore Microsoft in tutto il suo dettaglio e la sua fluidità, non avendo incertezze di sorta, nemmeno quando lo schermo è invaso da truppe e/o da proiettili multicolori.
    Avremmo preteso un simile risultato in termini di animazioni e frame rate anche se la conversione casalinga fosse stata proposta su Playstation 2, mentre sull'attuale ammiraglia Microsoft ci sembra lecito attendere un restyling grafico in linea con quelli ottimi concepiti per Deathsmiles, Espgaluda II e Mushihime-sama Futari. Invece nulla: ci ritroviamo a giocare alla stessa versione del 1999, per di più costretti all'interno di fastidiose due barre laterali che evitano accuratamente all'azione di svilupparsi a tutto schermo, specie quando si gioca girando lo schermo di 90 gradi selezionando l'ovvio Tate mode.
    Le modalità di gioco non fanno faville: si va dall'Arcade al Blue Mode (una particolare versione della prima che modifica leggermente sistema di punteggio e posizionamento dei nemici), senza dimenticare il Training e Xbox 360 Mode. Quest'ultima invita ad abbandonare l'arcade stick, il miglior controller per fruire di Guwange, per affidare tra le mani il classico pad di Xbox 360: il gioco è il medesimo dell'Arcade Mode, a modificarsi è il sistema di controllo assegnando l'evocazione dello Shikigami al dorsale R mentre il suo movimento è gestito grazie all'analogico destro. In soldoni si ha una semplificazione del gameplay: viene meno la scelta tra sparo normale e Shikigami, così come mantenendo sempre presente quest'ultimo sullo schermo tutti i proiettili appaiono rallentati facilitando di gran lunga l'eliminazione dei nemici. Non si capisce bene cosa voglia proporre l'Xbox 360 Mode: i puristi lo rifiuteranno poiché tradisce le solide basi dello sparatutto Cave, i neofiti ci prenderanno gusto e finiranno per dimenticare l'Arcade senza apprezzare la profonda alchimia di sparo di cui discorrevamo nel precedente paragrafo.
    Dal lassismo di una conversione poco coraggiosa non si salva neppure il sonoro di stampo tradizionale nipponico, il cui ritmo è scandito da prepotenti tamburi taiko: non solo per difetti audio dell'hardware arcade le musiche tendono ad essere coperte dalle fastidiose vocine dei protagonisti (pazienza: questo difetto lo si può correggere dal menù delle opzioni), ma anche per l'incomprensibile scelta di proporre solamente la colonna sonora originale e non anche le versioni riarrangiate per amore della polifonia uscite su Compact Disc qualche anno più tardi.

    Guwange GuwangeVersione Analizzata Xbox 360Non nascondiamo che da Guwange su Live Arcade ci aspettavamo di più. Folgorati dai trattamenti di cui Mushihime Sama Futari e Deathsmiles hanno goduto nel trasporto su Xbox 360, coniugando l'Alta Definizione con il rispetto dell'estetica bidimensionale, pretendevamo analoghi risultati anche per il videogame qui recensito. Lo sparatutto originariamente sviluppato da Cave nel 1999 si propone come rottura della stra-abusata ambientazione fantascientifica e volante degli shoot'em up, ripescando un'ambientazione passata (il feudalesimo nipponico) e regalando tre character appiedati. Probabilmente timorosa che la software house potesse essere identificata da lì in eterno con Dodonpachi, Cave ha agito affinchè meccaniche ed estetica ne uscissero rivoluzionati, sancendo una poderosa cesura con quanto fatto prima. Su Xbox 360 abbiamo un porting arcade perfect con l'aggiunta di qualche modalità inedita (l'Xbox 360 Mode è in ogni caso totalmente errato) e nessuna miglioria grafica. Si spera che in futuri Live Arcade la casa nipponica possa offrire la medesima qualità delle recenti edizioni su disco.

    6.5

    Che voto dai a: Guwange

    Media Voto Utenti
    Voti: 28
    6.2
    nd