Recensione Halo: Mortal Dictata

Il romanzo che chiude la trilogia dedicata a Kilo-5

Recensione Halo: Mortal Dictata
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  • L’universo di Halo è troppo grande per il solo Master Chief. Nonostante l’ingombrante armatura e la caratura delle sue gesta, era questione di tempo prima che Microsoft decidesse di espandere ulteriormente il brand. Halo 3: ODST, FPS pubblicato su Xbox 360 nel 2009, fu solo un assaggio. La futura serie TV, confermata non troppo tempo fa, è quindi un risultato facilmente pronosticabile dopo il successo ottenuto dalla lunga serie di romanzi che stanno progressivamente conquistando il cuore di buona parte dei fan.
    Così, dopo aver scoperto ulteriori dettagli della lotta contro i Covenant e le storie dedicate ai Precursori, la trilogia che vede come protagonista la squadra speciale Kilo-5 giunge a conclusione con Mortal Dictata. A seguito dell’incoraggiante avvio con Glasslands, che in qualche modo fungeva anche da antipasto ad Halo 4, e dopo l’incalzante Thursday War, eravamo piuttosto curiosi di sapere come se la sarebbe cavata la bravissima Karen Traviss nella chiusa di questo complesso trittico di romanzi che, più di altri, mettevano in discussione le scelte politiche ed etiche dell’ONI prima e dopo la grande guerra contro le ostili forze aliene.
    La buona notizia è che Mortal Dictata non è solo il libro più riuscito della mini-serie: la profondità dei temi trattati è tale da stravolgere in più di un senso le convinzioni fin qui assodate dei fan.

    Mio padre: un terrorista

    Il primo impatto con Mortal Dictata non è sicuramente dei più facili. La narrazione inizia dove Thursday War si era interrotto: con Kilo-5 in missione su Venezia. Il pianeta, che in qualche modo ricorda la Moss Eisley starwarsiana o l’Omega di Mass Effect, è un ricettacolo di ribelli, criminali e alieni in fuga che convivono con una popolazione locale da sempre tagliata fuori dagli interessi del governo terrestre. Il terreno è insomma fertile per i vecchi rancorosi delle colonie, ancora scottati dal trattamento riservatogli dall’ONI e per nulla dimentichi della rivolta per l’indipendenza. Proprio sulla superficie del pianeta un uomo sta trattando per l’acquisizione di un vascello da guerra Sangheili, con una potenza di fuoco più che sufficiente per vetrificare intere metropoli nel giro di pochi secondi. Non è un terrorista qualsiasi: è il padre di Naomi, la Spartan di Kilo-5.
    Basta questo minuscolo dettaglio per scatenare una serie di conseguenze e ripercussioni morali che animano l’intreccio sin dalle primissime pagine del libro. Mentre l’operazione sotto copertura raggiunge il suo climax a metà della narrazione, che a conti fatti rappresenta la parte in cui si concentra la maggior parte dell’azione e degli scontri a fuoco, i dilemmi legati al passato di Naomi si intrecciano con le scelte politiche dell’ONI. L’avvicendamento ormai prossimo dell’ammiraglio Paragosky con Serin Osman complica ulteriormente una situazione già delicata: ai fuochi di ribellione mai estinti delle ex-colonie, si aggiungono le preoccupazioni, e le spese militari, necessarie per tenere a bada parte degli alieni decisi a riorganizzarsi e riprendere il conflitto contro gli eretici umani.
    In un simile contesto politico-militare, credibile e assolutamente coerente, a poco meno di un anno dagli eventi di Halo 3 in cui l’umanità era vicinissima all’estinzione, stona la forza ostentata dall’ONI: già padrona della Galassia e capace di dispiegare spie e squadre operative in tutti gli scenari che ne richiedono l’intervento.
    Fatto salvo per questa svista, Karen Traviss dà ancora una volta prova di tutto il suo talento. L’efficacia dello stile adottato si quantifica empiricamente nelle pagine che scorrono con una velocità impressionante, quasi si fosse segretamente costretti dai cliffhanger saggiamente disposti a leggere un capitolo dopo l’altro, senza sosta. La caratterizzazione dei protagonisti, la loro evoluzione all’interno della trilogia, restituisce personaggi sfaccettati, credibili, coerenti anche quando prendono decisioni inaspettate. Il focus, in Mortal Dictata, è tutto su Naomi e BB: la potentissima intelligenza artificiale che inizia a fare i conti con la propria mortalità e fallibilità.
    Il risultato è un’avventura inaffrontabile per chi si è perso le puntate precedenti, visto il notevole (e spesso pesante) bagaglio di "know how" di cui bisogna essere equipaggiati per restare al passo con gli eventi, ma godibile e da vivere con il cervello sempre attivo. La potenza emotiva con cui vengono affrontate certe tematiche morali, legate agli orrori della guerra e ai metodi di addestramento delle unità Spartan, trascendono gli equilibri interni della saga, ponendo pesanti interrogativi circa la condotta etica del lettore stesso. I confini del giusto e sbagliato restano per lungo tempo sbiaditi e sfocati grazie ai continui ribaltamenti del narratore, che cambia spesso schieramento proponendoci ora il punto di vista dei membri del Kilo-5, ora quello dei ribelli.
    In tutto questo, come se già non bastasse la quantità imbarazzante di contenuti che si diramano per le oltre cinquecento pagine che compongono il tomo, è apprezzabile l’approfondimento sulla cultura dei Kig-Yar: sinora tra le razze dei Covenant più ignorate.

    Halo: Mortal Dictata Halo: Mortal DictataVersione Analizzata LibriHalo: Moral Dictata è l’esemplare conclusione della trilogia dedicata ai membri di Kilo-5. Questa mini-serie incentrata sugli aspetti politici dell’ONI ha regalato all’audience un roster di protagonisti meraviglioso, che in quest’ultima puntata raggiunge ulteriori livelli di complessità psicologica. I quesiti morali che dovrà affrontare Naomi, divisa tra gli indissolubili doveri di uno Spartan e l’innato amore per il padre, si fondono con gli orrori di cui è artefice l’ONI: anch’essa lacerata dagli errori commessi in passato e i mali necessari richiesti da una guerra che ha quasi causato l’estinzione della razza umana. In un quadro simile, dopo un inizio affascinante e una parte centrale che non lesina colpi di scena e accese battaglie, stona lievemente la conclusione fin troppo semplicistica. Dopo aver riletto sotto una diversa lente buona parte degli eventi narrati nei capitoli precedenti e aver rivisto il parere sull’operato della Dottoressa Halsey, Karen Traviss, fin lì impeccabile, si concede un epilogo sì aperto, ma fin troppo netto nei giudizi etici. Una concessione chiaramente indirizzata a tutti coloro che amano gli happy ending (sebbene qui la situazione sia ben diversa da come ce la si aspetterebbe), che tuttavia non inficia il giudizio su quello che resta il romanzo più appassionante della trilogia e uno dei più avvincenti della saga in generale.

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