Haven Recensione: un umanissimo amore extraterrestre

I creatori di FURI tornano sulle scene con il racconto di un toccante amore adolescenziale, a cavallo tra esplorazione e rhythm game.

Haven Recensione: un umanissimo amore extraterrestre
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  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Emeric Thoa, già autore del brillante Furi (qui potete leggere la nostra recensione di Furi), ha presentato Haven, la sua nuova avventura, in questo modo: "sostanzialmente Romeo & Giulietta, però stavolta si salvano e fuggono su un pianeta deserto". Dopo aver completato quasi tutte le attività disponibili, e dopo aver portato a termine la campagna principale in circa 20 ore, ci sentiamo di aggiungere una piccola postilla alla già efficace descrizione di Thoa: Haven racconta non solo di trascinanti passioni e di complessi intrighi tra dinastie imperiali intergalattiche, ma ci narra anche un amore quotidiano, modesto, vissuto appieno.

    Nonostante un paio di inciampi dovuti all'inserimento di meccaniche non proprio coerenti con i temi narrati, Haven riesce brillantemente a comunicarci un sentimento giovane ma complesso, affidandosi non solo alla qualità dei suoi dialoghi (e rispettivi interpreti), ma anche a un gameplay costruito adeguatamente attorno alla tematica portante del gioco.

    Una storia d'amore interplanetaria

    I fan di FURI in speranzosa attesa di un sequel, sono avvertiti: Haven è l'esatto opposto della prima creatura di Thoa. L'unico punto di contatto tra le due opere di The Game Bakers è in qualche modo un tema, assolutamente centrale: la libertà. Kay e Yu, due innamorati in fuga dal non meglio precisato "Apiario", riescono ad atterrare con la loro nave spaziale su "Risorsa", uno strano pianeta composto da isole collegate dal "flow", una sorta di energia intergalattica alla base di tutti i processi scientifici e fisici dell'universo di Haven.

    Il motivo della loro fuga, il background dei personaggi, la lore del mondo di gioco e il racconto in generale verranno poi approfonditi nel corso dell'intera esperienza, sia tramite dialoghi che con una narrativa più tradizionale.
    Ed è proprio nella parte più classica del racconto che emerge uno dei problemi di Haven. Infatti l'ultima opera di Thoa non si limita solo a narrarci un amore passionale e vibrante, ma aggiunge anche tante informazioni sulla lore, su complotti intergalattici e su imperi dittatoriali interstellari. Al contrario di quanto avveniva con FURI, che faceva della sintesi del suo racconto un elemento di forza, molte di queste "aggiunte" di Haven ci sono parse forzate, e giungono fino al giocatore con l'introduzione di un paio di deus ex machina che servono non solo a portare avanti la trama, ma anche a inondarci di informazioni e nozionistica.

    Ciononostante, l'evoluzione caratteriale dei due protagonisti e del loro rapporto è stata gestita con grande cura, essendo il perno tematico e ludico dell'intero progetto, e non è un caso quindi che in Haven si possano controllare contemporaneamente entrambi i personaggi. Le influenze principali dello studio sono numerosissime, ma le più evidenti risultano Prince of Persia in cel shading del 2008, Flower, Persona e l'indimenticabile Journey (per rendervi conto di quanto potente sia il lavoro di Jenova Chen, vi suggeriamo di cliccare sulla recensione di Journey). Questo elenco di illustri modelli di riferimento potrebbe bastare già da solo per far comprendere come mai la costruzione del rapporto tra i protagonisti sia stata resa con indubbia maestria. Per spiegarlo più a fondo, dobbiamo però entrare a fondo nella descrizione delle meccaniche del gioco.

    Esplorazione e combattimento

    L'esperienza si divide in tre blocchi ludici diversissimi tra di loro, che però cooperano in modo brillante: esplorazione, combattimento e gestione delle risorse. La prima, chiaramente ispirata a Flower e Journey, ci permette di "sciare" tra i blocchi planetari di Risorsa, e si affida a ricompense visive e sonore per stimolare il giocatore nella scoperta di tutti i suoi livelli, data l'estrema facilità di queste manovre.

    Danzare tra l'erba alta e rimuovere la "ruggine" dal terreno grazie all'energia sprigionata dai nostri stivali futuristici si rivela un'attività davvero bellissima, e le straordinarie musiche (dello stesso compositore di FURI) arricchiscono ogni nostro movimento. Inoltre, al contrario delle opere di Jenova Chen, l'esplorazione di Haven si espande anche con brevi missioni secondarie e piccoli segreti, ed è caratterizzata dalla costante presenza dei commenti di Kay e Yu, mentre litigano, parlano di libri o musica, scherzano sul clima o si lamentano per la fame.

    Eppure, a differenza di Journey, in Haven si combatte parecchio, poiché una non meglio precisata "corruzione" ha iniziato a dilagare per il pianeta e le sue isole, infettando le docili creature che lo abitano. Sia chiaro che nel gioco non si uccide mai: piuttosto si cerca di epurare il nemico dalla stessa ruggine che possiamo rimuovere dal terreno nelle fasi esplorative, grazie al "flow" (altra, palese citazione alle opere di Jenova Chen).

    In ogni caso, affidandosi a un mix di influenze tra Persona e Prince of Persia, il sistema di combattimento di Haven unisce la struttura a turni tipica dei JRPG con un tempismo da QTE più occidentale: la velocità dei colpi, delle parate e delle combinazioni speciali cambierà a seconda del tipo di nemico che avremo davanti, e questo obbligherà la coppia in fuga allo studio di tutte le classi di avversari prima di capire con quale specifica combinazione bisogna sconfiggerli.

    Come detto prima, il gioco è l'esatto opposto di FURI, e ciò vale anche nelle sensazioni generate: la rabbia e la frustrazione lasciano il passo a quello che risulta a tutti gli effetti un rythm game un po' particolare. Anche se i nostri eroi dovessero subire molti danni il massimo che accadrà sarà che torneranno al "Nido", l'astronave che fa anche da rifugio di Kay e Yu. Ciò non toglie che alcune battaglie posseggano una loro complessità intrigante, che ci impone di prestare un po' di attenzione, soprattutto per gli esploratori che intendono andare oltre il sentiero sicuro, e che si insinuano tra le gole meno battute delle isole di Risorsa.

    Un po' di survival

    Il Nido rappresenta il terzo elemento ludico, ossia la gestione delle risorse. Haven è in un certo senso anche un survival dallo stampo molto permissivo, affidandosi a meccaniche di fame, stanchezza e salute non tanto per obbligare il giocatore a ritmi estenuanti di ricerca delle risorse, ma per costringerlo a tornare con regolarità nella base, luogo che diventa anche motore principale dell'evoluzione del racconto.

    È qui che potremo creare cure, balsami, ricette, potenziamenti e altri oggetti fondamentali nell'esplorazione del mondo di Haven. Inoltre, la struttura della mappa, una sorta di scacchiera composta da stanze interconnesse che andranno sbloccate singolarmente, rende molto efficace il "loop" creato dagli sviluppatori: dopo la colazione del mattino, si esplora fino a cena cercando risorse, materiali e informazioni; inoltre, se si decide di rimanere a dormire fuori, bisogna farlo solo in zone specifiche e protette.

    Allo stesso modo, prima di ottenere certi potenziamenti non sarà possibile curarsi nelle missioni all'esterno del Nido, e dunque le sessioni di esplorazione e combattimento non potranno mai essere particolarmente lunghe. L'aspetto interessante è che non si avverte mai l'urgenza di completare la zona di mappa in cui si è arrivati, come può capitare con un dungeon crawler o con un roguelike: la ricompensa effettiva di Haven è proprio il ritorno a casa, il nuovo, delizioso e dolce dialogo che si innesca tra Kay e Yu. È in queste fasi che l'idea di Thoa trionfa e prende corpo: grazie a questo semplice ma intelligente trittico di meccaniche non abbandoniamo mai, né visivamente né ludicamente, i nostri eroi, viviamo con loro i momenti di gesta esaltanti e di banalissima quotidianità.

    Se a tutto ciò si unisce un sistema di dialoghi a scelta multipla che si alterna automaticamente tra i due personaggi, e se aggiungiamo la presenza di tante piccole missioni secondarie, Haven emerge come un'esperienza molto ricca e ben pensata: l'opera immagina un'emozione, e su quella decide di impostare un dialogo con il giocatore fatto di racconto e gameplay. La peculiarità maggiore del progetto risiede nel fatto che non pretende di narrare con incredibile serietà il rapporto tra i due Kay e Yu, ma sceglie volutamente di abbracciare a volte toni adolescenziali e leggeri, adattissimi nel mostrare una quotidianità dolcissima, per la quale è impossibile non provare almeno un po' di trasporto, di passione riflessa.

    Un amore calcolato

    C'è però un piccolo, grande problema: la progressione. Infatti, per il completamento di ognuna delle azioni descritte nei precedenti paragrafi si riempirà un'immaginaria "barra del rapporto" (sostanzialmente, un indicatore di grado), ultimata la quale si sblocca una scena speciale e si ricomincia dal nuovo livello. In tal senso è evidente l'influenza di Persona (se volete, potete trovare qui la nostra recensione di Persona 5 Royal), che però purtroppo cozza con la filosofia alla base delle altre ispirazioni: se in un gioco di ruolo incentrato quasi esclusivamente sul gameplay ha senso offrire un meccanismo di progressione basato sui livelli, trasformare in una dimensione "calcolabile" il valore di un rapporto umano è quantomeno fuori fuoco, soprattutto nel caso di un'emozione così complessa come l'amore.

    Se tramite i dialoghi, le interpretazioni degli eccezionali doppiatori e la sceneggiatura Haven riesce a mostrarci dei personaggi credibili, con l'inserimento di un "calcolatore" del loro legame si attutisce di molto la sensazione di essere di fronte a un vero Kay, a una vera Yu. Come si può pensare che un rapporto possa andare solo in avanti, solo "salire" di livello, senza mai avere degli arresti, degli intoppi? E ogni litigio è sempre un arricchimento della coppia, o a volte genera delle crepe nella fiducia verso l'altro? Se prima del calcolatore queste interpretazioni e sottigliezze potevano essere lasciate all'immaginazione del giocatore, con l'aggiunta di un sistema così "ludico" di progressione è impossibile non percepire l'irrealtà di alcune evoluzioni narrative che coinvolgono la coppia.

    La cosa peggiore è che un senso di progressione tradizionale esiste comunque, rappresentato da nemici più forti, armi potenziabili, ricette più potenti e una spinta motoria più elevata durante l'esplorazione. Per fortuna, a fare da contrappeso a questi inciampi c'è una direzione artistica da urlo, che si manifesta sia tramite l'inaspettata ricchezza di creature dai design numerosi e particolari, sia con una colonna sonora straordinaria, sulla quale il team ha investito molte energie: lo si nota dalla splendida sigla iniziale, che richiama le numerose influenze dell'animazione giapponese che hanno partecipato all'ideazione di Haven.

    Haven HavenVersione Analizzata Xbox Series XNonostante qualche intoppo sia stilistico che di design, Haven riesce comunque a raccontare una tradizionale ma efficace storia d’amore affidandosi proprio a quelle parti che gli altri mezzi espressivi di solito nascondono, o lasciano sottintesi: il mito di Yu e Kay viene costruito nelle battaglie con creature aliene e corrotte, ma viene decostruito mentre li vediamo cucinare, andare in bagno o giocare a UNO (sì, non stiamo scherzando!). È per questo che alla fine delle venti ore richieste per completarlo Haven si conferma un racconto d’amore intimo e quotidiano, che rifiuta la pomposità dell’epica per adagiarsi sulla dolcezza dell’adolescenza. Ed è una rarità, nel mondo videoludico.

    8

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