La recensione di Heavy Rain: una perla di rara bellezza su PS3

Una perla di rara bellezza

Heavy Rain
Recensione: PlayStation 4
Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS3
  • Pc
  • PS4
  • Da sempre, ma negli ultimi anni in particolare, l’intento di molti sviluppatori di videgiochi è stato quello di creare nuove modalità d’interazione tra utente e mondo virtuale.
    Diverse sono le correnti di pensiero sviluppatesi, tutte accomunate dall’intento di accrescere l’immedesimazione dell’essere umano in un "avatar".
    La conclusione più ovvia, per molti di questi game designer, è stata l’abbattimento di alcune delle barriere fisiche che bloccavano il giocatore, rendendolo così virtualmente libero -posti i necessari paletti- di esprimersi.
    Alcuni, poi, hanno notato come tanta libertà d’azione fosse inutile senza un mondo organico, vivo ed in continuo mutamento in cui inserire il giocatore; un mondo che lo stesso utente potesse, in qualche modo, plasmare.
    Altri ancora, infine, sono giunti alla conclusione che un personaggio “vuoto”, quasi completamente libero d’agire in un mondo vivo non contava poi così tanto; sono quindi carisma, personalità e modo di fare di un personaggio che permettono più d’ogni altra cosa al giocatore d’immedesimarsi nel proprio Alter Ego.
    E’ da questi basilari presupposti che è partito, diversi anni fa, David Cage, fondando Quantic Dream e portando avanti, prima con Omicron poi con Farenheit, un ambizioso e rischioso progetto.
    Il progetto, in sostanza, consisteva nel cristallizare i concetti di cui sopra in un’avventura guidata, per certi versi simile ad un’avventura grafica, completamente basata sulla narrazione e nella quale la narrazione stessa potesse essere -tramite bivi- radicalmente modificata dal giocatore.
    Un libro-game virtuale più che un videogioco nel senso più comune del termine, dove tutto doveva essere veicolato da una sapiente programmazione degli script, in combinazione a meccaniche Quick Time Event che mettessero alla prova il fruitore, permettendogli d’interagire.
    Inutile dire che, per un motivo o per l’altro (carenze tecnologiche, inesperienza, mancanza di adeguati sostegni economici, tempi di sviluppo stringati...) entrambi i titoli finirono -a posteriori- con il risultare dei traballanti apripista per quello che ci aspetta quest’oggi.
    Grazie all’incondizionato supporto di Sony, a cui va il merito di aver creduto in quest’idea, David Cage e il suo team sono finalmente riusciti a sviluppare il loro sogno senza compromessi, creando ciò che tutti conosciamo come Heavy Rain, ultima fatica Quantic Dream in esclusiva per Playstation 3 dal 24 Febbraio.

    Hollywood in una manciata di gigabyte

    L’aspetto più importante di Heavy Rain è senza ombra di dubbio la trama, chiaramente ispirata -nelle idee- ad alcuni dei thriller più avvincenti degli ultimi anni, tra i quali scorgiamo Zodiac (simpaticamente citato all’interno del gioco stesso) e Saw.
    La vicenda è incentrata infatti sulla serie di omicidi che porta le autorità, ancor prima che iniziamo a giocare, ad aprire un’inchiesta su un fantomatico serial killer, soprannominato “il killer dell’Origami”.
    Il suo modus operandi è sempre lo stesso: vittime molto giovani (sotto i 10 anni) appartenenti a famiglie disagiate, rapite, uccise per affogamento entro un determinato numero di giorni e ritrovate in luoghi simili tra loro, seppur distanti.
    Nel ritmato crescendo che porterà alla possibile risoluzione del caso iniziamo piano piano a conoscere i quattro protagonisti, slegati tra loro e, in alcuni casi, inizialmente estranei alla vicenda.
    Si parte con Ethan Mars, architetto di successo e felice padre di due figli, donatigli da una splendida moglie con cui vive la relazione perfetta in una casa fantastica, nel quartiere residenziale più tranquillo della città.
    La vita che ognuno di noi sognerebbe (non a caso), almeno fin quando un catastrofico ed irreversibile evento non turba per sempre l’equilibrio idilliaco della coppia, che si sfalda irreparabilmente.
    La psiche di Ethan subisce un tremendo scossone, le cui conseguenze lo porteranno, per svariati motivi, molto vicino alla vicenda “dell’Origami”.
    Il secondo attore è Norman Jayden, un giovane profiler dell’FBI inviato da Washington per indagare sul serial killer, che si avvale di un nuovissimo prototipo iper-tecnologico chiamato ARI: un paio di comunissimi occhiali abbinati ad un guanto che consentono al detective di analizzare ed immagazzinare in tempo reale qualunque traccia chimico-organica.
    Le sua determinazione e le sue integerrime qualità morali, in chiara contrapposizione alla dipendenza da stimolanti, lo porteranno a seguire una pista ben precisa, irta di scontri diretti con colleghi ed “avversari”.
    Troviamo poi Scott Shelby, investigatore privato designato dalle famiglie delle vittime del killer per far luce su una vicenda che pare sfuggire alla polizia ogni giorni di più.
    La sua mole goffa ed imponente ed il suo carattere da “bonaccione” nascondono un uomo più che mai determinato, che non disdegna, ove servisse ad uno scopo “più nobile”, l’uso della forza bruta.
    L’ultima, ma non meno importante, è Madison Page, avvenente giornalista afflitta da una curiosa forma d’insonnia che non le da pace quando si stende nel suo letto, costringendola spesso ad inforcare la fidata motocicletta per un poco allettante tour dei Motel di zona.
    Anche lei, inizialmente estranea, diventa protagonista delle indagini (aiutata dal fiuto giornalistico) quasi per caso, nell’intento di aiutare un “amico” e redimere la propria coscienza.
    Ognuno di questi personaggi, in Heavy Rain, avrà un suo personalissimo destino, sul quale influiranno in primis le scelte del giocatore ed in un secondo momento le azioni legate agli altri protagonisti.

    Non si tratta di giocare ma di interpretare

    Parlare di gameplay riguardo ad una produzione come Heavy Rain è quasi impossibile, poichè per sua stessa natura il titolo non può nemmeno essere iscritto in una delle pur tante categorie che popolano il mondo che tanto ci appassiona.
    Dal punto di vista prettamente ludico, insomma, si tratta fondamentalmente di un’evoluzione di ciò che possiamo chiamare film-interattivo.
    Le azioni consentite “normalmente” al giocatore consistono infatti nel camminare, girare lo sguardo ed attivare/disattivare le funzionalità degli occhiali ARI (solo nel caso di Jayden, tra l’altro).
    Tutto quel che resta, dalla raccolta degli indizi all’interazione con l’ambientazione e con gli altri personaggi, è veicolato da un sofisticato sistema che integra nello scenario stesso le varie scelte collegate agli script, veicolate da un sistema riconducibile al Quick Time Event.
    La vera evoluzione, di cui Cage è il padre e il Sixaxis la madre, è il mutamento stesso del sistema, che si adatta alla scena rappresentata a schermo ed aggiunge innumerevoli nuove possibilità.
    Ad ogni azione dei personaggi è infatti collegato un utilizzo “realistico” del controller: nella scalata di un avvallamento fangoso (una delle prime scene), ad esempio, vedremo assegnati due tasti alle mani e due ai piedi.
    Mantenendo alternata la pressione su due di questi simuleremo l’arrampicata.
    Se all’inizio -giustamente- avremo tutto il tempo per assimilare questa metodologia, che si ripresenterà sistematicamente ed in molti modi diversi, con l’approfondirsi della vicenda (e la sempre più marcata pericolosità delle situazioni) incorreranno alcuni elementi di disturbo atti a trasmettere tutte le sensazioni dell’avatar.
    Quando saremo sotto torchio, ad esempio, in ansia o in situazioni particolarmente concitate, visualizzeremo le icone legate alle azioni in maniera molto disturbata (distorte, tremolanti, sfocate...) e avremo tempi decisionali (legati alla permanenza su schermo delle stesse) decisamente più ristretti.
    Parte dell’emotività del personaggio viene quindi trasmessa al giocatore che, grazie anche alla sapiente implementazione della vibrazione, sperimenterà un tasso di coinvolgimento ed immedesimazione mai provato prima.
    Tutto questo soprattutto alla luce dell’importanza, tangibile da subito, delle scelte effettuate, capaci non solo di influire sulla sopravvivenza stessa dei protagonisti, ma anche sullo svolgimento, più o meno lineare, delle indagini.
    La mancata raccolta di alcune prove, ad esempio, porterà ad una più difficile identificazione dei possibili sospetti, che costringerà ad un’investigazione supplementare per trovare in un altri modi particolari indizi-chiave.
    Ci saranno poi dei momenti, al di là del classico schema delle scelte, in cui il giocatore sarà chiamato a ragionare, a ricordare particolari già vissuti, a collegare assieme vari elementi per risolvere determinate situazioni.

    Un’analisi lucida ed obbiettiva, tuttavia, non può esimersi dal descrivere, al di là della perfetta alchimia che in Heavy Rain unisce sin dal primo momento uomo e macchina, quelli che sono i difetti della produzione.
    Troviamo, in particolare, un sistema di controllo (per quel che riguarda il movimento) un po' troppo macchinoso; necessità (che approviamo) di contestualizzare l’inerzia ed evitare movenze irreali non sempre si sposa alla perfezione con le modalità di spostamento (legate ad R2 ed al superato sistema "character relative") e cozza, in particolare, con la poca libertà di movimento della telecamera, limitata a due sole prospettive.
    E’ poi la natura stessa del titolo ad essere, per qualcuno, fonte di maggior scetticismo.
    L’esperienza non deve e non vuole scostarsi dai binari della vicenda narrata: minima e sempre guidata è infatti l’interattività con l’ambiente circostante e con i personaggi presenti, molti dei quali relegati a mere routine computerizzate in movimento.
    Infine, nonostante le scelte condizionino pesantemente la vicenda, non è sempre possibile modificare gli avvenimenti, anche ritornando sui propri passi, in quanto, come dichiarano gli sviluppatori stessi, è stato necessario inserire alcune scene “chiave” a passaggio obbligato.
    Anche alla luce di una struttura non impeccabile Heavy Rain non accusa il colpo; anzi, si rafforza, e lo fa soprattutto sovvertendo le funzioni del videoplayer e donandogli il duplice ruolo di protagonista ed osservatore onnisscente.
    Se in tutti gli altri giochi è l’avatar che assume le sembianze di chi impugna il controller, qui è il giocatore a divenire Ethan, Norman, Scott e Madison (personaggi con anima, personalità ed una forte caratterizzazione psicologica), interiorizzando la vicenda ed interpretandone in tutto e per tutto le parti.

    L’atmosfera al di là dei numeri

    Tecnicamente Heavy Rain non è la rivoluzione Copernicana che molti ancora si aspettano: pur mostrando invidiabili pregi, infatti, il titolo cede il fianco a qualche difetto, dovuto soprattutto alla mole di lavoro sottesa alla produzione.
    Una differenziazione va fatta, in primis, per quanto concerne i modelli poligonali, molto buoni se consideriamo i protagonisti e i principali comprimari ma non del tutto soddisfacenti andando ad osservare tutte le comparse, ovvero tutti quei famosi “manichini” che hanno solamente il ruolo di animare le location.
    Tanta differenza, tale quasi da far sembrare abozzati i secondi, è da ricercarsi nella gran quantità di risorse spese per la creazione degli attori principali e secondari, interamente digitalizzati utilizzando controparti reali (ben 14 sezioni di casting con un totale di 90 attori selezionati su oltre 450 provinati).
    Grazie alle più avanzate tecniche di motion capture, in parte le stesse utilizzate da James Cameron per Avatar, è stato poi possibile ricostruire 30mila animazioni uniche che compongono gran parte del comparto visivo, girando dal vivo e digitalizzando tutte le sezioni più concitate.
    E’ chiaro quindi che tutti questi sforzi, capaci da una parte di produrre un’accuratissima recitazione digitale, abbiano pesato dall’altra sulla qualità delle cosiddette comparse, realizzate in certi casi con un riuso spietato di modelli.
    A fare la differenza in Heavy Rain sono però l’ambientazione e l’atmosfera.
    La prima (benchè sempre limitata da barriere invisibili), a partire da texture e shader, rasenta davvero la perfezione: la ricchezza di dettagli è impressionante, così come la qualità degli stessi, la solidità della modellazione poligonale ed ogni altro minimo particolare.
    E’ la seconda però il vero cuore pulsante dell’intero comparto tecnico.
    Prima di tutto la pioggia: l’incessante elemento sul quale si incentra il continuum narrativo dell’ultima fatica Quantic Dream non funge solamente da mero artefatto coreografico, ma contribuisce anche a sottolineare e rimarcare continuamente le tonalità cupe ed oppressive della vicenda, martellando il giocatore e creando una costante atmosfera ovattata che non gli permette di ragionare lucidamente.
    Gran parte di un così riuscito comparto artistico va però attribuito alla colonna sonora, registrata ingaggiando un’orchestra nientemeno che negli studi di Abbey Road.
    L’accompagnamento sonoro di Heavy Rain è quanto di più espressivo, drammatico, commovente ed incalzante si sia mai sentito in un videogioco: la colonna sonora, in ogni momento, è semplicemente perfetta, in quanto capace di suscitare sempre adeguate e fortissime emozioni.
    Ultimo ma non meno importante il doppiaggio, completamente in italiano nella versione che troveremo sugli scaffali tra un paio di settimane.
    La versione italiana, al di là della performance sopra le righe di Pino Insegno (Ethan Mars) e di qualche altro "voice actor" di bravura non comune, si presenta abbastanza inferiore, qualitativamente, rispetto alla controparte inglese, ovvero quella registrata dagli attori che hanno fisicamente recitato i dialoghi.
    A differenza di quella nostrana, quest’ultima presenta una grande varietà di dialetti che vanno dal più stretto British English allo slang americano da ghetto; dettagli che contribuiscono ad aggiungere qualche sfumatura in più ad una già spettacolare caratterizzazione caratteriale.
    A differenza di molte produzioni dei giorni nostri, in ogni caso, il doppiaggio (escluso quello dei figli di Ethan, difficili da sopportare) è davvero di qualità eccellente.

    Heavy Rain Heavy RainVersione Analizzata PlayStation 3Heavy Rain non è perfetto e non è esente da difetti. Tuttavia, a suo modo, è davvero rivoluzionario; non perchè foriero di particolari innovazioni o di tecnologie capaci di settare nuovi standard, ma semplicemente per essere stato in grado, in un’era di cloni, di staccarsi con leggerezza dalle logiche di mercato, per mettere in primo piano gli scopi ultimi del media videoludico (e non): intrattenere, coinvolgere ed emozionare. Ebbene Everyeye intende premiare un gioco diverso dagli altri. Un vero e proprio capolavoro, che deve essere definito tale non tanto perchè sia in possesso di qualità tecniche e ludiche oggettivamente perfette, ma perchè si tratta di un'opera in grado di unire giocatori e non giocatori davanti allo stesso schermo, in grado di lasciare qualcosa, di far pensare e di far parlare di sé anche, e soprattutto, dopo l'ending theme, facendo desiderare ardentemente di mettere in gioco la propria esperienza condividendola con gli altri. Heavy Rain, molto probabilmente, non farà grandi numeri, non dominerà le classifiche di vendita, ma rimarrà unico e per questo per sempre scolpito nel cuore dei videgiocatori.

    9.7

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