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Anteprima Videogiochi
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Dopo essere stati travolti dal ciclone Fares con A Way Out (ve lo ricordate? Ecco la nostra recensione di A Way Out), una delle più belle sorprese della scorsa generazione, ammettiamo candidamente che nutrivamo aspettative piuttosto importanti per la nuova produzione di Hazelight. D'altronde riteniamo che l'estro visionario del game designer, la sua incontenibile e contagiosa pazzia, siano tratti ormai rari nel panorama videoludico, nonché strumenti preziosi per dare forma a esperienze indimenticabili, capaci di lasciare un segno profondo e indelebile nella memoria collettiva dei giocatori. In questo senso, It Takes Two rappresenta l'ennesima manifestazione di un fervore creativo indomabile, motore di una produzione che ribadisce a chiare lettere il grande talento del team svedese.
A tre anni dall'uscita di A Way Out, ritrovarsi a tradurre in parole le sensazioni suscitate dall'ultima opera di Hazelight è un'esperienza piacevolmente nostalgica, una sorta di agrodolce déjà-vù sospeso tra due volontà agli antipodi: il desiderio di descrivere - con dovizia di particolari - ogni tassello del mosaico ludico composto da Joses Fares, e la consapevolezza che ogni dettaglio potrebbe sottrarre al pubblico un prezioso frammento di un'avventura unica.
Esattamente come per le imprese di Leo Caruso e Vincent Moretti, il tratto più esaltante It Takes Two è la sua incredibile capacità di sorprendere a ogni passaggio, di inebriare i sensi dei giocatori con un costante senso di meraviglia, frutto maturo di una direzione creativa vulcanica e imprevedibile, che trasuda passione. Il nuovo titolo dell'etichetta EA Originals è a tutti gli effetti una sentita lettera d'amore al mondo dei videogiochi, una celebrazione corale fatta di citazioni e strizzate d'occhio ai classici che hanno scandito l'evoluzione del medium, e che nel gioco di Fares vanno a comporre le mille sfumature di un gameplay in continuo divenire. L'assetto fondamentale del titolo è quello di un action-adventure cooperativo con una forte componente platform, costruito a partire da una manciata di meccaniche tanto semplici quanto efficaci: i protagonisti Cody e May possono effettuare doppi salti, brevi scatti direzionali, arrampicarsi sulle strutture dello scenario, rimbalzare di parete in parete, utilizzare una sorta di rampino per oscillare tra le piattaforme e scivolare lungo "rotaie" di vario genere.
Sin dalle prime battute della campagna, questi elementi di base vengono poi valorizzati da un level design nientemeno che eccellente, plasmato per massimizzare la varietà generale dell'esperienza spingendo i giocatori ad applicare i rudimenti del gameplay in contesti sempre diversi, e mantenere così inalterato l'ottimo ritmo che contraddistingue l'avventura. Il tempo di prendere confidenza con le dinamiche di base, ed ecco che l'eclettismo della ricetta di Hazelight comincerà a manifestarsi con la somministrazione costante di nuovi elementi ludici, che nella gran parte dei casi andranno ad integrarsi con quelli principali.
Una precisazione giustificata da alcuni dei momenti più stupefacenti della campagna, nei quali il gameplay di It Takes Two cambierà in maniera netta e repentina, adottando soluzioni appartenenti ai generi più disparati, dai tps ai gdr isometrici. Queste sezioni, che spesso durano appena una manciata di minuti, si fanno portavoce dell'incredibile cura riposta da Hazelight nella costruzione dell'esperienza, che muta di continuo e con naturalezza senza però manifestare flessioni marcate nella qualità complessiva dell'insieme.
In questo senso, It Takes Two può perfino rivelarsi il peggior nemico di sé stesso, visto che alcune porzioni della campagna - soprattutto nel terzo scenario - mettono in mostra trovate ludiche così sorprendenti da ridefinire i suoi stessi parametri e, conseguenza, le aspettative degli utenti. L'area in questione, colma di citazioni alla "saga mariesca" e in particolare a sua maestà Super Mario Galaxy (uscito nel 2007 su Wii, ecco la nostra recensione di Super Mario Galaxy), ospita quella che è in effetti la parte migliore dell'avventura, ma questo non vuol dire che il resto del gioco sia in alcun modo rinunciatario o manchevole.
A dirla tutta, prima di mettere le mani sul prodotto finito avevamo il timore che la longevità di 15 ore prevista dallo sviluppatore (It Takes Two può in realtà essere tranquillamente finito nel giro di 10-12 ore) potesse minarne l'efficacia, ma siamo lieti di confermarvi il contrario: al netto di qualche occasionale e fisiologica fluttuazione - soprattutto nella parte finale - l'opera si mantiene su livelli eccellenti, anche nelle fasi in cui il ritmo della progressione si fa più compassato per lasciare gli utenti liberi di concedersi qualche giocosa "distrazione". Nel corso della campagna vi capiterà infatti di imbattervi in aree più ampie modellate come dei veri e propri "parchi a tema", dove l'interattività ambientale subirà un'impennata significativa per invogliare Cody e May a dedicarsi a qualche goliardica diversione: tra colossali torri di Jenga da abbattere, incantevoli caroselli e foto ricordo con tanto di sfondi intercambiabili, queste sezioni premieranno la vostra curiosità con dosi abbondanti di spasso, aggiungendo un'ulteriore nota di sapore alla ricetta di Hazelight.
Anche nei momenti in cui la progressione si fa più lineare e sincopata, It Takes Two non manca di offrire ai giocatori una gran quantità di inviti all'esplorazione, nella forma di percorsi secondari disseminati di easter egg (alcuni vi faranno sganasciare) e divertenti minigiochi. La campagna ne contiene ben 25 (alcuni in piena vista e altri più difficili da trovare), tutti differenti, ben congegnati e pensati per aggiungere una gradevole sfumatura competitiva all'esperienza, talvolta con conseguenze dirompenti sui rapporti col vostro "compagno di giochi".
La gamma delle attività spazia dal tiro al bersaglio a improbabili gare ippiche, e alcune di queste si basano sulle peculiari abilità che Cody e May dovranno padroneggiare in ciascun livello. Un ottimo pretesto per parlare di un altro aspetto chiave della formula di Hazelight, recuperato dal precedente A Way Out e notevolmente ampliato.
Come anticipato, It Takes Two è un'avventura co-op che può essere giocata esclusivamente in compagnia di un amico (in locale o online): un concept per certi versi radicale, che nel tempo è diventato uno dei tratti distintivi della cifra stilistica di Josef Fares. La filosofia creativa del game designer segue delle regole ben precise, progettate per rinsaldare il rapporto di "codipendenza ludica" tra i giocatori e promuovere una comunicazione costante, senza la quale è praticamente impossibile raggiungere i titoli di coda.
Questo perché tutte le capacità che Cody e May guadagneranno nel corso del gioco saranno sempre complementari, in modo da rendere la collaborazione tra i protagonisti un elemento essenziale per la progressione. Come anticipato nell'ultima anteprima del titolo, ad esempio, nel secondo mondo i due comprimari saranno dotati di peculiari armi da fuoco che dovranno essere utilizzate in maniera sinergica, sia per sconfiggere i nemici che per risolvere gli enigmi ambientali. Con il suo spara-resina Cody potrà quindi appesantire le piattaforme sparse per il livello in modo da riposizionarle a portata di salto, nonché ricoprire avversari e ostacoli con un involucro vischioso e altamente infiammabile. Un guscio che May dovrà poi incendiare col suo potente cannone lancia-fiammiferi, utile anche per attivare alcuni interruttori dalla distanza. Nello scenario successivo a Cody verrà invece data la facoltà di alterare le sue dimensioni (da scricciolo a gigante), mentre May potrà contare su un paio di stivali magnetici con i quali muoversi agilmente ignorando i vincoli gravitazionali.
Nel rispetto delle dichiarazioni iniziali, eviteremo di spendere troppe parole sulle possibili interazioni tra lo scenario e questi due strumenti, ma possiamo garantirvi che in alcuni frangenti le idee messe in campo da Fares e soci ci hanno lasciato letteralmente senza fiato, schiantati da una salva di bordate d'entusiasmo. Il continuo avvicendarsi di meccaniche differenti - e asimmetriche - esalta i pregi di un level design magistrale, che asseconda ognuna di queste variazioni disponendo sul percorso dei giocatori sfide ed enigmi ambientali modellati per accordarsi all'assetto situazionale del gameplay.
Per quanto alcuni espedienti siano ripetuti nel tempo, e determinate soluzioni risultino più brillanti di altre, la diversità situazionale proposta da It Takes Two è semplicemente straordinaria. Una considerazione che possiamo tranquillamente estendere anche alle ottime bossfight che scandiscono il viaggio di Cody e May, assolutamente in linea con i dogmi cooperativi alla base della produzione.
Durante questi scontri, generalmente multifase e ricchi di personalità, dovremo concertare un piano d'azione basandoci sulle specifiche dotazioni dei due protagonisti, e in qualche caso ci troveremo ad affrontare sequenze di gioco totalmente divergenti. Peraltro la distanza tra le imprese ludiche dei comprimari garantisce a It Takes Two una cerca rigiocabilità, per quanto lo stesso Fares abbia dichiarato che si tratta di un effetto incidentale della rotta produttiva di Hazelight.
Dal canto nostro, riteniamo che il titolo meriti sicuramente una seconda run a parti inverse, anche perché il bilancio dell'esperienza può variare anche in maniera significativa. Sebbene l'opera mostri tutto il suo valore a prescindere dal personaggio interpretato, abbiamo notato che Cody tende a rivestire più spesso ruoli di "supporto", mentre il gameplay nei panni di May risulta talvolta più dinamico e ritmato.
Lungi dall'essere un vero e proprio difetto, questa disuguaglianza risulta comunque coerente con la caratterizzazione dei protagonisti, al centro di un affresco narrativo carico di sfumature fiabesche e pennellate di meravigliosa follia.
It Takes 2 si apre al capolinea di una storia d'amore, l'ultima tappa di un matrimonio naufragato in una palude di incomprensioni e dissapori. Tra Cody e May si è rotto qualcosa, e a pagarne le conseguenze è soprattutto la figlia Rose, affranta dal gelo che ora riempe ogni stanza della casa di famiglia, ancora colma dei ricordi di una vita. La bambina non sa esattamente cosa abbia spinto i genitori ad allontanarsi l'uno dall'altra, ma è decisa a fare tutto il possibile per riaccendere la fiamma del sentimento che un tempo li univa, per spezzare quel glaciale silenzio.
La speranza corre lungo le pagine del "Libro dell'Amore" del Dr Hakim, massimo esperto delle relazioni di coppia nonché inesauribile fonte di frasi da cioccolatino: scorrendo tra le righe del manuale, Rose spera di trovare un'arma per affrontare il mostro che ora minaccia di distruggere la sua vita.
Con gli occhi pieni di lacrime, stringendo tra le mani due bambole con le fattezze dei genitori, la piccola dà voce al suo più grande desiderio. "Non potete mollare. Voglio che siate di nuovo amici". Se decenni di lungometraggi animati e film per famiglie ci hanno insegnato qualcosa, è proprio che non c'è magia più potente del desiderio di un bambino, specialmente quando viene dal cuore. Colpiti da un misterioso sortilegio, Cody e May scoprono quindi di aver abbandonato i loro corpi e di essere ora intrappolati nelle bambole di Rose, senza alcun indizio sul da farsi.
A chiarire la situazione ci pensa un estatico Dr Hakim in versione libro animato, che con l'entusiasmo di un affabulatore d'altri tempi spiega ai due che non potranno ritornare alla normalità prima di aver completato il suo programma terapeutico. A partire da questa premessa narrativa, Hazelight costruisce un racconto vivace e delicato, che tratta temi universali utilizzando l'ironia della sceneggiatura e l'efficacia del gameplay per trasmettere un messaggio di valore. Il tutto senza la pretesa di dispensare verità assolute o impartire lezioni sulla vita di coppia, perché l'obiettivo dello sviluppatore resta sempre e comunque il divertimento.
Un traguardo raggiunto in pieno col supporto di una scrittura brillante, che riempe la campagna di momenti esilaranti e scandisce in maniera intelligente l'evoluzione del rapporto tra i protagonisti, fino a un finale forse un po' frettoloso ma comunque denso di emozioni. Lungo la strada faremo la conoscenza di memorabili "soggetti", primo fra tutti lo stesso Dr Hakim, palpitante incarnazione della follia di Fares (il game director si è occupato del mocap del buon dottore). La caratterizzazione dei personaggi e del mondo di gioco può tranquillamente essere annoverata tra le eccellenze della produzione, complice un comparto artistico di grande impatto che alimenta quel senso di costante meraviglia che per molti versi definisce l'esperienza.
Anche sul versante squisitamente tecnico, It Takes Two testimonia i passi avanti fatti dal team di Hazelight: dopo i risultati altalenanti ottenuti con l'Unreal Engine in A Way Out, il nuovo gioco dello studio mette in mostra un comparto grafico deliziosamente pregevole, che anima un mondo ricco di dettagli e straordinariamente suggestivo. Ogni aspetto della messa in scena, dalla gestione dell'illuminazione all'effettistica, passando per la modellazione poligonale e le animazioni, mostra chiaramente la stessa cura che caratterizza per intero la produzione, peraltro valorizzata da una regia raffinata e sapiente, che cambia dinamicamente registro per accordarsi con le esigenze del momento.
L'unico vero neo sul fronte tecnico è rappresentato dalla modellazione dei personaggi "umani" (presenze solo occasionali), nettamente inferiore a quella delle controparti giocabili sia in termini di design che di realizzazione. Anche per quel che riguarda l'ottimizzazione generale, It Takes Two si dimostra un titolo sorprendentemente solido e performante: sulla nostra configurazione siamo riusciti a giocare in 4K, con tutti i settaggi al massimo, senza riscontrare grossi cedimenti sul fronte del frame rate, quasi sempre ancorato alla soglia dei 60 fps.
Curiosamente i cali più consistenti si notano durante le cutscene, e in particolar modo in concomitanza con i repentini cambi d'inquadratura che spesso spezzano i dialoghi, ma probabilmente si tratta di un problema che verrà corretto con un update. Qualche ulteriore fluttuazione può manifestarsi durante le sequenze più concitate, o magari nelle zone più aperte, specialmente quando i giocatori si allontanano l'uno dall'altro e il motore si ritrova a dover renderizzare due porzioni diverse del mondo di gioco.
Proprio come in A Way Out, infatti, anche giocando a distanza lo split screen verticale ci offrirà sempre una finestra sulla partita del nostro compagno, in modo da permettere agli utenti di coordinarsi al meglio e favorire la comunicazione. In linea di massima, però, non siamo mai inciampati in fluttuazioni così gravi da compromettere la godibilità del gameplay. Merita sicuramente una plauso l'attenzione dedicata dal team alla "qualità della vita" dei giocatori, che si manifesta su diversi fronti.
Da una parte il sistema di controllo, sempre reattivo e funzionale, permette agli utenti di assimilare ogni nuova meccanica di gioco con naturalezza, mentre dall'altra la composizione dell'interfaccia favorisce la leggibilità di ogni frangente ludico. In chiusura, non possiamo astenerci dallo spendere qualche parola sul comparto sonoro, costellato di musiche in grado di esaltare il senso di meraviglia trasmesso dal gameplay e sottolineare egregiamente i guizzi registici di Fares (per approfondire ecco il nostro speciale Josef Fares tra cinema e videogiochi). Anche il doppiaggio (in inglese con sottotitoli in italiano) si attesta sui medesimi livelli qualitativi, e valorizza l'ottimo lavoro svolto dal team sul fronte della caratterizzazione.
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