
Last Labyrinth Recensione: un brutale puzzle per PlayStation VR
Angosciante ed enigmatico come pochi altri giochi in realtà virtuale, Last Labyrinth è un'esperienza ispirata ai capolavori del maestro Fumito Ueda.

Non sapevamo esattamente cosa aspettarci da Last Labyrinth, ma dopo aver appreso che il titolo già disponibile da qualche mese su Steam e PlayStation VR fosse stato sviluppato da alcuni ex-collaboratori di Fumito Ueda, autore di ICO e Shadow of the Colossus, la curiosità di provarlo ha immediatamente prevaricato su qualsiasi altra esigenza. Avvalendosi della realtà virtuale, il trio composto da Hiromichi Takahashi, Atsuko Fukuyama e Tetsuya Watanabe ha infatti confezionato un intrigante escape room che, similmente a quanto proposto dai titoli del maestro Ueda, prova a ricamare all'interno dello schermo un legame assai profondo fra l'avatar del giocatore e un'entità digitale. L'operata targata Amata K.K. potrà non raggiungere la profondità dell'inarrivabile The Last Guardian (per maggiori informazioni recuperate la nostra recensione di The Last Guardian), ma nel complesso è comunque riuscita a farsi apprezzare grazie alla presenza di enigmi ambientali piuttosto intricati e stimolanti.
Uniti nel pericolo
La principale differenza fra Last Labyrinth e i titoli del sommo Ueda è rappresentata dall'avatar del giocatore: mentre ICO e The Last Guardian ponevano l'utente nei panni di un ragazzino alla scoperta di un mondo vasto, misterioso e affascinante, il tetro prodotto confezionato da Amata K.K. ci costringerà a impersonare un individuo costantemente imbavagliato e per giunta legato a una sedia a rotelle. Nonostante le pesanti restrizioni, questa figura non meglio specificata avrà comunque la facoltà di muovere la testa e le dita, in modo tale da poter sfruttare il laser posto sul proprio capo e l'interruttore situato nella mano destra per indicare elementi di rilievo alla giovane compagna di disavventure. Intrappolati in una lugubre magione dalle tinte tenebrose e angoscianti, già nelle battute iniziali della vicenda ci renderemo conto di non essere i soli prigionieri dell'ambigua villa, in quanto una giovanissima e graziosa fanciulla di nome Katia si paleserà dinanzi al nostro avatar. Sfortunatamente non potremo comprendere una sola parola dell'idioma utilizzato dalla gracile ragazzina, ma la comunicazione fra i due personaggi sarà la chiave per superare quattordici stanze brulicanti di enigmi impegnativi e dalla difficoltà sempre maggiore.
Come intuibile, il compito del giocatore sarà quello di utilizzare il laser per suggerire gli interruttori e gli oggetti con cui interagire, nella speranza di aprire di volta in volta le porte bloccate e proseguire oltre. La piccola e tenera Katia, di conseguenza, sarà quasi un'estensione dei nostri arti inutilizzabili, in quanto, durante l'intera avventura, eseguirà soltanto i nostri ordini e si limiterà di tanto in tanto a chiedere conferma delle azioni da compiere: in quei casi il giocatore non dovrà far altro che muovere fisicamente la testa per annuire o, viceversa, scuoterla a destra e a sinistra per rifiutare ed elargire nuove istruzioni alla fanciulla.

Di primo acchito Last Labyrinth potrebbe sembrare una classica avventura punta e clicca, con un'unica e terrificante differenza: laddove la natura trial and error del suddetto genere ludico, in genere, consente ai giocatori di provare a risolvere un puzzle fino alla sua completa soluzione, la vena horror/thriller di Last Labyrinth condurrà a conseguenze fatali e angoscianti al benché minimo sbaglio.
Se la soluzione di un indovinello permetterà di accedere alla stanza successiva o comunque a uno dei tanti (e quasi mai allegri) finali possibili, un errore anche banale provocherà l'inevitabile e straziante morte della piccola Katia, che per giunta si spegnerà in modi disumani e raccapriccianti sotto lo sguardo impotente del giocatore, "colpevole" di averla guidata verso un destino crudele.

È forse questo l'aspetto meno convincente di Last Labyrinth: se le tinte oscure e misteriose del prodotto sposano alla perfezione la natura dell'escape room, dover assistere continuamente alla morte di una bambina innocente, che per giunta sarà uccisa in maniera sempre più brutale ed esplicita, anche a causa dell'elevato tasso di difficoltà degli enigmi, ci è parso a tratti angosciante in maniera troppo gratuita ed esasperata.
Il braccio e la mente
Sebbene i vari puzzle ci siano parsi stimolanti e ben costruiti, non abbiamo potuto fare a meno di notare una curva di difficoltà alquanto sbilanciata: se i primi rompicapo sono tutto sommato risolvibili anche al primo tentativo, ad un certo punto del gioco abbiamo assistito ad un'impennata eccessivamente improvvisa.

Se, ad esempio, il superamento della stanza con le serrande e gli ingranaggi a incastro richiede una sana dose di logica, assimilare le assurde regole del gioco da tavolo Doubutsu Shogi - tanto in voga in Giappone ma completamente estraneo al pubblico occidentale - ci ha costretti a fare molta più pratica del previsto. Un elemento che potrebbe spaventare i neofiti del genere e, al tempo stesso, incentivare l'acquisto da parte degli hardcore gamer, che proprio in Last Labyrinth troveranno certamente pane per i loro denti.
A tal proposito, l'unico reale intoppo è rappresentato dalla lentezza complessiva dell'azione e della stessa Katia: dover impartire gli ordini alla fanciulla, per poi aspettare puntualmente che questa abbia il tempo di eseguirle, tende purtroppo a rendere assai prolisse alcune fasi del gioco, soprattutto durante la ripetizione di un enigma fallito.

Il vero ostacolo per poter giungere ai titoli di coda, insomma, non è rappresentato dalle 7-10 ore necessarie per sbloccare tutti i finali e dare un senso all'avventura, né dal vertiginoso tasso di sfida dei rompicapi proposti, bensì dalla capacità del giocatore di sopportare le numerose sezioni - anche piuttosto lunghe - in cui si rende indispensabile ripetere le stesse meccaniche fino allo sfinimento.
Opprimente e spietato
Dal punto di vista prettamente grafico, Last Labyrinth è un prodotto quasi impeccabile. I dettagliati modelli poligonali di Katia e dell'altro personaggio incontrato durante la vicenda vantano infatti delle animazioni molto curate, fluide e credibili, soprattutto quando sono chiamati a interagire coi numerosi oggetti circostanti.
Essendo principalmente composto da stanze anche piuttosto ristrette, le tetre texture che compongono i pavimenti e le mura della magione, seppur ripetitive, riescono nel fondamentale compito di trasmettere al giocatore una palpabile sensazione di tensione. I colori spenti dei fondali, difatti, contribuiscono ad allestire un'atmosfera opprimente, snervante e perfettamente in linea con gli angoscianti toni della narrazione. Azzeccatissima, poi, la decisione dello staff di non includere alcuna colonna sonora, in questo caso sostituita da echi ed effetti sonori puntuali e d'impatto.
Last LabyrinthVersione Analizzata PlayStation 4Cupo ed enigmatico come pochi altri titoli in realtà virtuale, Last Labyrinth è un’esperienza unica e originale, che ha cercato di rielaborare e far proprio il delicato tema della cooperazione tra esseri viventi incapaci di comunicare verbalmente tra loro, tanto caro ai lavori del maestro Ueda. Il team di Amata K.K. ha il merito di aver confezionato un’avventura stimolante, intelligente e impegnativa, che siamo certi saprà rallentare e complicare l’esistenza anche gli appassionati più esperti di puzzle game. Il biglietto di ingresso assolutamente fuori mercato, fissato a ben 45 euro, potrebbe tuttavia scoraggiare qualsiasi curioso: ne consigliamo quindi l'acquisto prevalentemente ai fan più sfegatati del genere e a tutti coloro alla ricerca di una produzione tanto complessa quanto angosciante.
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