No Longer Home Recensione: un indie che tocca il cuore

Humble Grove mette in scena un piccolo dramma ordinario, confezionando una delle esperienze più toccanti dell'ultimo anno.

No Longer Home Recensione: un indie che tocca il cuore
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Disponibile per
  • Pc
  • Xbox One
  • Switch
  • Il 2021 è stato un anno particolare per la la scena indipendente, un sottobosco di team composti a volte anche solo da tre o quattro persone, lontani dai riflettori della scena mainstream. È stato un anno sì particolare, eppure in pieno fermento: del resto, una buona fetta dei prodotti indipendenti pubblicata negli ultimi 365 giorni è nata in un periodo storico complicato, che ha portato le persone ad avere molto tempo da dedicare a se stesse e riflettere sulle proprie esistenze.

    In questo senso non è assolutamente un caso che No Longer Home sia addirittura il secondo videogioco incentrato sul trasloco di quest'anno dopo quella piccola grande perla di Unpacking (a tal proposito correte a leggere la recensione di Unpacking). Si tratta di due traslochi diversi, sia per modalità di approccio che per sfere emotive toccate, che però trovano entrambi il modo di raccontare qualcosa di estremamente intimo, e di farlo in maniera tale da colpire nel profondo e lasciare il segno. La differenza sostanziale tra le due opere consiste nel fatto che No Longer Home è molto meno un giocattolo videoludico, e molto più un'esperienza narrativa.

    Un gioco imperfetto, ma...

    Diciamocelo chiaro e tondo fin da subito: valutando i suoi singoli elementi, No Longer Home non è considerabile un bel videogioco in senso stretto.

    È un'avventura punta e clicca alla vecchia maniera, lenta e legnosa nell'interazione, che strizza palesemente l'occhio a produzioni del calibro di Kentucky Route Zero sia nella progettazione che nell'esposizione, senza esserne mai all'altezza dal punto di vista pratico. Ciononostante, No Longer Home non può essere dissezionato e analizzato con freddezza chirurgica. Questo perché l'obiettivo di No Longer Home è quello di raccontare una storia intima e personale, non quello di essere un videogioco dalle meccaniche appaganti. Il cuore pulsante è il messaggio che vuole comunicare, e non il modo in cui viene comunicato. Un'opera perfetta nella sua imperfezione, gigantesca nella sua brevità e profondissima nella sua semplicità estrema.

    Questo perché si tratta di una (semi)autobiografia che racconta di Ao e Bo, amici ed amanti che studiano in Inghilterra e che si affacciano sulla vita adulta e sull'ansia del futuro, pronti a venire separati dalla scadenza del visto da studente di Ao, costretto di lì a poco a tornare in Giappone dalla sua famiglia, lasciandosi dietro tutto e tutti. Qui emerge con prepotenza la barriera d'accesso del gioco: l'empatia. No Longer Home infatti parla una lingua ben precisa, che è comprensibile solo se si è disposti ad ascoltarla e, soprattutto, se ci si è trovati direttamente o indirettamente coinvolti in una situazione simile a quella dei suoi due protagonisti.

    È una storia come ce ne sono tante e che di straordinario non ha assolutamente nulla. Ao e Bo si amano, sognano una vita assieme ma questa loro aspettativa si infrange contro il muro della burocrazia e degli obblighi sociali. Sono costretti a separarsi perché a imporlo sono le regole, devono crescere controvoglia perché a richiederlo sono le aspettative della società in cui vivono, nonostante nessuno dei due sembri pronto a farlo.

    Sulla soglia degli eventi

    La forza della narrazione di No Longer Home sta nel fatto che il gioco non racconta il trauma di questa separazione, ma il periodo di tempo in cui i suoi protagonisti sono chiamati ad accettarne l'incombenza e a convivere con essa.

    Ao e Bo infestano il loro appartamento come se fossero fantasmi, rivivono i ricordi associati alla casa e alla loro convivenza, e cercano di far fronte alla tristezza aggrappandosi alla nostalgia per qualcosa che esiste ancora, benché stia per finire. I loro discorsi sotto le stelle, l'affetto con cui si sostengono a vicenda e la rabbia silenziosa che si cela dietro alle loro parole non fanno altro che rendere ancora più tangibile il dolore e la rassegnazione. Lo si capisce perfettamente dalla paura che hanno di farsi promesse, spaventati come sono dal timore di non poterle rispettare.

    No Longer Home è un'opera in grado di fotografare alla perfezione una generazione intera, un gioco che parla della post-adolescenza contemporanea con tono disilluso e comprensivo. Approcciarsi al titolo se si è incastrati in una situazione molto simile a quella dei due protagonisti provoca uno strano effetto: da un lato è facilissimo sentire lo stomaco chiudersi di fronte a Bo e alla sua angoscia per ciò che il mondo si aspetta da lui ora che ha terminato gli studi, dall'altro ci si sente meno soli ad affrontare l'ignoto. Molto varia, insomma, in base alla sensibilità e al vissuto del singolo. Quella di No Longer Home è un'esperienza che è stata in grado di far emergere ansie e preoccupazioni, di fotografarle perfettamente dandogli unq forma e, proprio per questo, di alleviarne il peso. E lo ha fatto grazie alla capacità di dimostrare che non si è mai soli, anche nei momenti più confusi e difficili della propria vita.

    È per questo che alla fine diventa quasi impossibile non voler bene ad Ao e Bo, così come è impossibile rimanere impassibili di fronte al loro piccolo ed ordinario dramma personale. Per non parlare delle difficoltà legate alla propria identità di genere o al proprio orientamento sessuale, che qui sono raccontati con una delicatezza davvero sorprendente

    La forza delle esperienze

    Serve poco per arrivare alla fine di No Longer Home, all'incirca un paio d'ore che bisognerebbe giocare di fila senza interruzioni per permettere al titolo di veicolare nella maniera più corretta le emozioni dei due protagonisti: due esseri umani che sentivano la necessità di raccontare la loro storie e di comunicare un messaggio.

    E forse non avrebbero potuto farlo diversamente, se non tramite il videogioco. Di fronte ad un bisogno così evidente la cosa peggiore che si possa fare è, probabilmente, concentrarsi sull'impalcatura traballante che regge il tutto. Anche perché quell'impalcatura, per quanto imperfetta, nasconde una grandissima attenzione per dettagli solo all'apparenza secondari come la narrativa ambientale. Strano a dirsi, soprattutto di fronte ad un'interazione con l'ambiente che su Switch funziona abbastanza male, ma l'operaracconta di più quando rimane in silenzio che quando permette di scegliere le linee di dialogo con cui mandare avanti la narrazione. No Longer Home meriterebbe due ore del tempo di chiunque proprio perché è un'esperienza di grandissimo valore, capace come davvero poche altre di entrare in risonanza con chi sta dall'altra parte dello schermo. Basta solo un po' di empatia.

    No Longer Home No Longer HomeVersione Analizzata Nintendo SwitchAl netto di un comparto tecnico di scarso livello, soprattutto su Switch, No Longer Home è una delle esperienze più toccanti dell'anno. Indipendente fino al midollo, il gioco di Humble Grove racconta i drammi della quotidianità in quella che è una semi autobiografia dei suoi due autori, incastrati in uno dei momenti più confusi e difficili della loro post-adolescenza. È un'opera brevissima, completabile in una sola seduta di poco più di due ore, capace però di toccare nel profondo.

    8

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