Narita Boy Recensione: il futuro è fatto di pixel

Arriva direttamente da Kickstarter un'avventura indipendente a base di anni '80, synthwave e misticismo in codice.

Narita Boy
Recensione: Multi
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • PS5
  • Xbox Series X
  • Non ricordo bene quando e dove sia nata questa inarrestabile ondata di nostalgia per gli anni '80, ma so che - da diverso tempo e in media differenti tra loro - è ormai tutto un trionfare di scanline modello tubo catodico (ciao Retrobigini!), palette violacea rischiarata dai neon in perfetto stile retrowave e synth a profusione. Un ritorno a un improbabile futuro-passato sulle prime a dir poco inebriante. Specie per chi, come me, negli anni '80 ci è nato effettivamente e con quelle suggestioni ci è davvero cresciuto: un certo tipo di estetica e di modo di comunicare non possono non avere una risonanza speciale per noi, che ormai (ultra)trentenni con quegli immaginari torniamo al senso di meraviglia e di sorpresa di quando eravamo bambini.

    Esagerare però, si sa, non fa mai bene. Ed ecco perché, dopo i freschissimi exploit di Kung-Fury, Stranger Things e Hotline Miami (a proposito, eccovi la nostra recensione di Hotline Miami Collection), alla settecentesima riproposizione dell'immancabile griglia wireframe che si estende all'infinito vista in Tron, si inizi ad avvertire una certa ridondante stanchezza di fondo. Perché OK la celebrazione, OK la rievocazione nostalgica dei bei tempi andati, ma l'impressione è che spesso ci si nasconda con furbizia dietro al facile amarcord e al citazionismo spinto per celare una disarmante pochezza di idee e di contenuti di fondo. Un rischio che fortunatamente è riuscito a evitare con agilità e classe Narita Boy, opera prima del team indipendente spagnolo Studio Koba: un videogame che in realtà si gioca tutto o quasi proprio sul trionfo portato agli eccessi degli inconfondibili eighties, con la capacità non comune di dar vita a un universo fatto di misticismo digitale, eroismo e inattesa umanità.

    Il richiamo della Trichroma

    Narita Boy racconta la storia di un bambino per metà occidentale nato in Giappone, nella città di Narita: un piccolo genio destinato a seguire le orme del padre, designer di videogiochi, diventando nientemeno che il Creatore. Negli anni '80 infatti Lionel Pearl si affermerà come un figura dai tratti messianici, capace di generare un autentico culto della sua persona grazie a Narita One, ovvero la console dal successo inarrestabile su cui si trova in esclusiva Narita Boy, nientemeno che il videogame più venduto al mondo. Se vi sembra che la trama ricalchi quella di Ready Player One e che si incarti un po' su sé stessa, non vi preoccupate: è tutto assolutamente voluto, in un trionfo di analogie che si ripetono tra loro e che sconfina in quello che sta succedendo nel reame digitale del gioco stesso.

    Sì, perché in Narita Boy tutto è collegato, e il gioco-nel-gioco partorito dalla creatività di Lionel Pearl è in realtà un'altra dimensione nient'affatto fittizia: uno scenario retto dal potere della Trichroma (un raggio di tre colori che richiama

    ancora una volta al mondo digitale, al segnale RGB... ma anche ovviamente a The Legend of Zelda), caduto nel tempo in rovina perché una forza oscura vuole dominare e sovvertire gli equilibri non soltanto nel suo universo, ma anche nel nostro. Aspettatevi, nelle circa sette ore di avventura, una duplice enfasi narrativa: da una parte tanti approfondimenti testuali, purtroppo solo in inglese, relativi al reame digitale e alla sua lore fatta di codici e brillanti analogie al linguaggio specifico della programmazione. Dall'altra invece un forse inatteso guizzo di calore umano, con il toccante racconto delle vicende di Lionel che, seppur tramite brevi linee di testo, riesce a emozionare grazie alla scrittura alquanto convincente.

    Questo perché, di base, Narita Boy è in realtà il compimento di un sogno assai concreto: una produzione nata grazie a una raccolta fondi su Kickstarter, che segue da vicino le orme di Eduardo Fornieles, il Director del gioco. Fornieles, esattamente come il personaggio fittizio di Lionel Pearl, è stato un occidentale trapiantato in Giappone, che per anni ha lavorato nel settore del gaming. Dopo aver abbandonato Friend & Foe, lo studio di esuli dal Team ICO che a distanza di tempo avrebbe dato alla luce Vane (per saperne di più, eccovi la recensione di Vane), il creativo ha deciso di ritornare in Spagna e di dedicarsi anima e corpo a qualcosa che sentisse profondamente suo. E così sono nati prima Studio Koba, piccola realtà di sviluppo con l'ambizione di creare "esperienze uniche e bizzarre", e poi appunto Narita Boy.

    Un regno (digitale) da salvare

    Ludicamente, il debutto del team di Barcellona si presenta come un action bidimensionale che include elementi platform e una spruzzata di indole metroidvania: non aspettatevi l'esplorazione aperta a più vie e stratificata del Symphony of the Night di turno, quanto piuttosto alcune fasi di backtracking - peraltro abbastanza pigre e mai davvero convincenti in termini di puro level design - all'interno di un contesto comunque lineare.

    Tra qualche piccolo enigma, mini sezioni di piattaforme e tanti combattimenti a ondate all'interno di arene a schermata fissa, Narita Boy scorre con piacere, intervallato con frequenza dai già citati passaggi puramente narrativi. Se il sistema di combattimento tutto sommato funziona e diverte sempre di più - anche per merito di una progressione costante, che fino all'epilogo continuerà a mettervi a disposizione abilità nuove e diverse - risulta invece impossibile non esprimere forti riserve sui comandi, che in particolar modo nei salti mancano totalmente di quella sensazione di controllo e di precisione che si desidererebbe. Intendiamoci, nulla che possa davvero compromettere l'insieme, anche perché non sono previste fasi platform al millimetro in stile Ori and the Blind Forest, però si tratta comunque di uno scivolone abbastanza inatteso che è giusto sottolineare.

    A maggior ragione se si considera la prodigiosa magnificenza del comparto audiovisivo della produzione, contraddistinta da uno stile, una classe e una cura per i dettagli a dir poco fuori dal comune. Se in termini di gameplay Narita Boy se la cava e intrattiene il giusto, in questo senso siamo al contrario nell'ambito dell'eccellenza più assoluta: la direzione artistica è sublime, la pixel art a schermo - che deve molto a Superbrothers: Sword & Sorcery - a mani basse tra le migliori viste dell'ultimo decennio e le animazioni impeccabili. Per non parlare di una colonna sonora a dir poco sensazionale, semplicemente perfetta nel dare colore e calore a una dimensione da puro sogno tecno-digitale, pervaso di una spiritualità e di un'atmosfera impagabili.

    Il vero e ultimo merito di Narita Boy sta, in definitiva, tutto lì: esattamente come promette di fare la console Narita One, l'opera prima di Studio Koba ti prende e ti teletrasporta con forza in un universo fatto di pixel e suggestioni retrofuturistiche che non può non lasciare il segno. Aprendo squarci su un affascinante regno a malapena accennato, che ti lascia però - anche in considerazione di un finale molto interlocutorio - con la voglia di saperne di più e la sensazione di non averne affatto avuto abbastanza.

    È dunque chiaro che nel firmamento indie sia nata una nuova, folgorante stella: il debutto di Studio Koba non sarà al livello del gotha dei fenomeni di razza tipo Studio MDHR o Team Cherry, ma la software house spagnola rimane di certo fra quelle da tenere d'occhio per gli anni a venire. Aspettando di tornare a imbracciare, si spera il prima possibile, la nostra fidata Technosword.

    Narita Boy Narita BoyVersione Analizzata Xbox Series XNarita Boy è un'esperienza tutta da vivere e da gustare, deliziosamente a cavallo tra due mondi (sempre e comunque fatti di pixel, con tanto di bombature simulate del monitor CRT ai lati dello schermo). Un'avventura nel senso più esotico e letterale del termine, capace di suggestionare con il folklore sfuggente di una dimensione lontana eppure così familiare per chi - come me - gli anni '80 li ha vissuti eccome. Peccato per qualche evitabilissima sbavatura a livello ludico, che finisce per creare una certa dissonanza tra un gameplay funzionale e piacevole, ma invero mai stellare, e comparto audiovisivo davvero fuori parametro. Per 24.99€ (oppure a costo zero se si è abbonati al servizio Game Pass su Xbox), vale decisamente la pena di lasciarsi inebriare dall'enigmatico potere della Trichroma.

    8.5

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