Recensione Papers, Please

Il thriller distopico di Lucas Pope colpisce come un pugno allo stomaco

Recensione Papers, Please
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  • PSVita
  • Pc
  • Papers, Please è uno dei quei videogame che decidono intenzionalmente di non lasciarsi giocare, col fine di raccontare una storia. Ed in particolare il “thriller” di Lucas Pope racconta una storia di miseria quotidiana, di disfatta e privazione. Racconta di una vita fatta di giorni tutti uguali, di responsabilità schiaccianti; e di un lavoro alienante, insipido. Grigio.
    Anzi: Papers, Please non racconta proprio niente: indaga meccanicamente, con sguardo assente e fare da entomologo, i monconi di tante esistenze perdute, futili, disperate, che si affacciano allo sportello dell'ufficio immigrazione di un paese senza futuro.
    Papers, Please è uno di quei videogame che dimostrano quanto significante e profondo possa essere lo sguardo del software, dando prova che gli strumenti (narrativi, emotivi, visivi) di un sistema interattivo hanno una loro splendida e lancinante unicità.

    Glory to Arstotzka

    E' il novembre del 1982, e il cielo di Arstotzka riflette l'intonaco incolore dei palazzoni delle case popolari. E' il vostro primo giorno di lavoro, e vi avvicinate al gabbiotto della dogana: il regime vi ha dato un appartamento, un salario da fame, ed il compito di far passare o respingere chi si presenta al confine. La vostra giornata è scandita dall'andirivieni di documenti che un'interminabile catena umana vi presenta con scostante regolarità. “Papers, Please”: ed i passaporti logori scivolano nella fessura sotto il vetro sudicio. Ogni mattina, sul banco, c'è un dispaccio del ministero e un libretto con le istruzioni: chi può passare, chi deve essere rimandato a casa, e quali sono i documenti necessari per entrare a Arstotzka. Due timbri sembrano una cosa da poco, eppure bastano per negare la felicità ad una ragazza in cerca di fortuna, distruggere una famiglia, o regalare una nuova vita a chi scappa dal suo Paese.

    In Papers, Please solo questo dovete fare: controllare che tutto sia a posto: che il passaporto non sia scaduto, che il visto lavorativo abbia il timbro ufficiale del consolato, che l'assicurazione sanitaria sia in regola. Basta uno sgarro, un dettaglio fuori posto, e dovete rimandare indietro l'avventore.
    Sulle prime il gioco sembra una strana avventura grafica, uno di quei Puzzle Game minimali in cui aguzzare la vista e l'ingegno, trovare le differenze. Ma ben presto si capisce che non è la componente ludica l'aspetto fondamentale della “distopia” di Lucas Pope.
    Papers, Please vuole trasmettere il senso frustrante di uno scacco esistenziale, il peso insostenibile di una vita fatta di obblighi vuoti. Arrivati alla fine della prima giornata di lavoro capirete subito di essere spacciati: il regime vi paga a seconda delle persone che esaminate, e i soldi vi servono (praticamente tutti) per mantenere la vostra famiglia: la moglie, un figlio, uno zio anziano, che devono mangiare e scaldarsi. Però la situazione politica è delicata, e i controlli richiesti per gli immigranti sono sempre di più. Già dal secondo giorno dovete controllare con attenzione tutti i campi dei passaporti, e poi patenti di guida, lettere d'accompagnamento, visti di transito e libretti di lavoro. Divisi fra l'urgenza di porre attenzione a tutti i dettagli e la necessità di esaminare più persone possibile, vi sentirete morire. Anche perché gli aspetti da tener d'occhio saranno davvero troppi perché non vi sfugga qualcosa: una foto che proprio non ha nulla a che vedere con l'ammasso di pixel che vi sta di fronte, un numero contraffatto, un nome scritto male.
    Ogni errore costa, e mentre tutto va in malora il prezzo degli sbagli è qualcosa che non potete proprio permettervi. Anche perchè senza riscaldamento i parenti si ammalano, e poi si spengono poco a poco, divorati dalla fame e dalla febbre.
    E' difficile raccontare la malinconia esistenziale che Papers, Please riesce a trasmettere. Di fronte allo sportello si presenta un catalogo di disgrazie umane da far impallidire: uomini disperati, distrutti, derisi. Qualcuno se la prende con voi e vi manda al diavolo, qualcuno vi chiede disperatamente aiuto. Ci sono momenti forti come un pugno allo stomaco. Una ragazza dallo sguardo impaurito infila sotto la fessura un biglietto scritto di fretta, dove vi chiede di fermare il suo aguzzino: è da qualche parte in fila, e se lo lasciate passare le ruberà i documenti e la costringerà a prostituirsi. Una donna pare non avere i documenti in regola, ma suo marito ha appena passato il confine, e se la rimandate indietro avrete distrutto le speranze di una famiglia.
    Papers, Please accatasta una serie incredibile di “esistenze a perdere”, e poi vi chiede di legiferare sul loro futuro. Potreste anche decidere di chiudere un occhio, magari mettendo a rischio una parte del vostro salario. Ha ancora un senso la “linea dura”, quando sapete che per vostra moglie non c'è più speranza, e la vedere spegnersi lentamente di giorno in giorno solo perchè non avete i soldi per le medicine?
    D'altro canto l'enormità di parametri da tener d'occhio vi porterà a sbagliare, e alle volte uno sbaglio costerà molto di più di qualche banconota. Lasciar passare un fanatico potrebbe interrompere bruscamente la vostra giornata di lavoro, con lo stesso fragore di una bomba lanciata sui soldati di pattuglia appena dopo il confine. I titoli dei quotidiani che leggerete il mattino seguente dipenderanno dalla vostra dedizione.
    Il contrasto fra la futilità di una routine opprimente e l'enormità delle sue conseguenze è straniante, disturbante a tratti; come disturbante è l'incedere calmo e regolare di queste sagome ombrose, che esistono solo gli attimi che gli concedete, e poi spariscono, dentro o fuori da Arstotzka.

    In Papers, Please c'è anche una progressione ludica, dettata dagli “upgrade” del vostro gabbiotto che vi permettono di svolgere meglio il vostro lavoro, e dalle richieste sempre nuove del governo. Entro una settimana dall'inizio della vostra carriera morente dovrete analizzare impronte digitali, controllare foto a raggi X per sventare traffici illeciti, esaminare timbri di ogni genere. L'interfaccia abbastanza intuitiva permette di sottolineare le discrepanze fra vari elementi con due click: la data sul dispaccio quotidiano e quella di scadenza del passaporto; oppure un paese di emissione non elencato nella guida ufficiale. Trovando qualche falla potrete interrogare il visitatore, magari per chiedergli qualche documento in più. Ma anche se il senso di sfida non manca, è difficile sentirsi trascinati, spronati, se non proprio dall'impietoso sguardo indagatore con cui il titolo si addentra nei vorticosi abissi di una società collassata. Forse l'unica via per resistere è proprio il soave abbandono alla logica del lavoro: sentire l'utilità della vostra vita disgraziata, trasformarsi in una lente rapida e precisa. In un fondamentale, microscopico, efficiente ingranaggio.

    Papers, Please Papers, PleaseVersione Analizzata PCPapers, Please è un titolo duro, cattivo, capace di lasciarvi immersi in un vuoto vertiginoso. Basato su un'idea geniale, retto da una sceneggiatura sublime, è come lo “spaccio universale” di storie di miseria e mortificazione. E' un gioco dalle meccaniche esili e precise, che riesce a costruire una progressione non solo narrativa. Eppure non è l'evoluzione interna delle dinamiche di gioco -e insomma l'aspetto prettamente ludico- che più interessa: a monte c'è l'enormità di meccanismi emotivi perfetti, trascinanti. Papers, Please è un software da preservare e diffondere: perchè dimostra che gli strumenti del videogame sono plastici, proteiformi, e capaci di illuminare un racconto in maniera originale, rara e preziosa. Una vera e propria perla dello sviluppo indipendente, imperdibile per chi sa apprezzare coraggio e inventiva.

    8.5

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