Recensione Perils of Man

Bill Tiller, celebre artist dell’ormai fu LucasArts, si unisce al team svizzero IF Games per confezionare una classica avventura punta e clicca in tre dimensioni, che tenta di mescolare racconto giallo e viaggi nel tempo.

Recensione Perils of Man
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  • Chi è solito monitorare con attenzione le proposte che germogliano di stagione in stagione nei campi verdeggianti delle avventure grafiche, genere tornato in auge grazie alla ricchezza creativa del sottosuolo indipendente e alla fortunata formula episodica sdoganata da Telltale, potrebbe aver già sentito parlare di The Perils of Man. Sviluppato dagli svizzeri IF Games, il progetto ha saputo calamitare la curiosità degli avventurieri di vecchio corso dal momento in cui, al suo annuncio, è stata resa nota la collaborazione del team con uno di quei professionisti che siffatto genere videoludico, in qualche modo, lo hanno instradato fin dagli albori. La personalità in questione è quella di Bill Tiller, veterano del punta e clicca che gli utenti cresciuti a pane e LucasArts non faticheranno a ricondurre all'art design di capolavori conclamati quali The Curse of Monkey Island e The Dig. Debuttato su dispositivi mobile sul finire del 2014 e forte della direzione di un game designer di tal fama, il primo dei preventivati sette capitoli dell'opera - distribuito gratuitamente, a mo' di aperitivo digitale - fu percepito come accenno soddisfacente alle potenzialità di un'esperienza non certo rivoluzionaria in senso ludico, ma di sicuro promettente in quanto a intreccio narrativo e generale atmosfera di gioco. Ciò detto, se gli anni passati davanti allo schermo ci hanno insegnato qualcosa è certamente che non bisogna mai cantare vittoria prima del game over. La forma completa di The Perils of Man, di cui in questa sede analizzeremo la versione PC, ce l'ha ricordato con la stessa amarezza provata da chi, bramando un prodotto di prima scelta, si trova suo malgrado tra le mani un surrogato di pessima fattura.

    Segreti di famiglia

    Strana stirpe, quella degli Eberling. Alcuni dei suoi membri storici, rispettabili uomini di scienza le cui invenzioni hanno contribuito all'evoluzione della società moderna, sono inspiegabilmente - e letteralmente - svaniti nel nulla, senza aver lasciato traccia tangibile dei propri spostamenti. Accadde sul finire dell'Ottocento al geniale Thomas Eberling, proprio quando si trovava all'apice della sua carriera professionale, nonché, circa cinquant'anni dopo, al suo discendente più brillante, Max, definito dai media come una vera e propria "rockstar della comunità scientifica". Sulla sparizione di Max, poi, il mistero rimane tutt'oggi particolarmente fitto: una telecamera di sorveglianza riprese per l'ultima volta le gesta dell'uomo quando, nel corso di una prestigiosa cerimonia di premiazione, egli fece scattare volontariamente l'allarme del teatro ospitante, prevedendo chissà come un incendio imminente e salvando, di conseguenza, centinaia di vite. Nonostante l'opinione pubblica abbia archiviato da qualche tempo la faccenda con la scusa di una sfortunata maledizione di famiglia, la giovane Ana, figlia di Max, non sembra al contrario capacitarsi del perché il padre l'abbia abbandonata senza nemmeno degnarla di una spiegazione. La ragazza, tanto curiosa e sveglia quanto i suoi predecessori, vive ormai da un po' tra le pareti di una villa desolata assieme alla madre, la quale dimostra una quotidiana ossessione verso la presenza di un fantasma che sembra albergare dal momento della scomparsa del marito in quel sito angusto. Peraltro, rimirando spesso una vecchia foto di gruppo, Ana è solita chiedersi perché il genitore, in quell'occasione immortalato con lo sguardo rivolto direttamente verso il sole, non indossasse i suoi inseparabili occhiali a specchio, laddove era solito esibirli in tutti gli altri momenti della giornata, anche in circostanze che non ne richiedessero l'uso. È solo quando la madre porge ad Ana un oggetto indecifrabile, criptico lascito del padre per il suo sedicesimo compleanno, che l'adolescente inizia a investigare sui segreti celati dall'inventore di casa disperso, facendo gradualmente chiarezza sul passato oscuro dei propri stravaganti antenati.
    The Perils of Man accende dunque la propria miccia narrativa su una premessa thriller quantomeno interessante, che riesce in effetti a mantenersi viva e discretamente avvincente per circa un quarto d'avventura, fino a quando, difficile a credersi, Ana entra direttamente in contatto con il frutto delle sperimentazioni attuate dai parenti. Da qui in poi il giallo inizia a mischiarsi con nozioni blande di (fanta)scienza; questo non sarebbe di per sé un problema, se non fosse per un'evidente incapacità da parte degli autori di gestire adeguatamente la sceneggiatura, perlopiù scevra di turning point d'impatto, via via sempre più lacunosa ed eccessivamente sbrigativa nel suo atto conclusivo. Si parla di viaggi nello spazio-tempo, della possibilità di modificare consapevolmente accadimenti passati e di cosa ciò comporti nel viver contemporaneo con soluzioni diegetiche e sceniche fin troppo superficiali, ben lontane dall'efficacia espositiva di altre opere audiovisive che hanno trattato in precedenza gli stessi argomenti - citare i Back to the Future cinematografici e videoludici è forse fin troppo scontato, ma parimenti inevitabile. Di una scrittura fiacca risente anche la caratterizzazione dei personaggi, tra i quali soltanto Ana, di cui udiamo costantemente i pensieri e ragionamenti, riesce a restituire al giocatore sparuti attimi d'empatia, seppur sia anch'essa schiava di una marcata stereotipia di base - è pur sempre la solita, noiosa eroina vezzosa e intraprendente. Detto questo, purtroppo, lo storytelling è solo la punta di un iceberg fatto d'incertezze, il cui fondo si compone di problematiche legate a doppio nodo alla giocabilità della produzione.

    Ana Eberling, temibile esploratrice

    Per quanto concerne la struttura di gioco, e restando sempre in tema di progenitori, The Perils of Man si discosta solo in minima parte dalle rodate meccaniche dei tanti adventure 3D d'annata. Premendo il tasto sinistro del mouse su un qualsiasi punto dello schermo, Ana si muoverà in lungo e in largo tra i vari scenari, ciascuno dei quali composto da più stanze contigue volte a comporre, di fatto, una cinquina di macro-stage ben riconoscibili. Ogni ambiente ospita numerosi hot spot invisibili con i quali è possibile interagire tramite cursore, legati ora agli NPC pronti al dialogo, ora a specifici oggetti di scena su cui, nel caso si decida di cliccarci sopra, Ana spenderà una serie di considerazioni più o meno rilevanti. Gli oggetti intercettati durante l'esplorazione vengono automaticamente aggiunti all'inventario dal software soltanto se necessari alla risoluzione dei puzzle in corso, e il giocatore dovrà in seguito capirne il corretto impiego al fine di perseguire ciascun obiettivo. Alle volte sarà necessario trascinare lo strumento manualmente dall'interfaccia ai punti di scenografia sensibili; in casi meno frequenti, invece, bisognerà combinare più arnesi tra loro per ottenere nuovi e indispensabili artefatti.

    Gli enigmi confezionati dai developer sono il più delle volte logici e tutt'altro che astrusi o insormontabili, eppure l'eventualità che chi al di là dello schermo possa brancolare nel buio per qualche tempo non appare poi così remota. Non necessariamente per proprie mancanze, beninteso: non di rado, infatti, la camera virtuale si colloca a distanze considerevoli da alcuni oggetti chiave - talvolta anche minuscoli - impedendo all'utente di notarne la presenza finché, magari passandoci involontariamente sopra col cursore, non ne appaiano le descrizioni a video. Al fine d'evitare al fruitore momenti di stasi eccessivamente prolungati, IF Games ha ben pensato d'inserire nell'interfaccia un dispensatore d'indizi, che, tuttavia, mostra tristemente il fianco fin dai primi impieghi. La feature prevede infatti una lista di suggerimenti per ogni setting di gioco, che però sono consultabili obbligatoriamente in progressione - ciascuno una volta sola, peraltro - e che, cosa più grave, non vengono aggiornati in relazione ai progressi ottenuti durante la missione. Dispiace che il gameplay del titolo sia così fallace, specie perché, ad avventura inoltrata, abbiamo percepito anche qualche timido - benché fallimentare - tentativo di differenziare l'esperienza dai punta e clicca più tradizionali. Citiamo soltanto il Risk Atlas, un visore che, se equipaggiato, sposta momentaneamente il punto di vista del gamer dalla terza alla prima persona, consentendo ad Ana di visualizzare in rosso i pericoli presenti nei vari luoghi visitati. Tale gingillo è concettualmente coerente con la storia e le tematiche affrontate, ma pecca di uno sfruttamento in-game davvero troppo pigro; passato alla soggettiva della protagonista, infatti, l'utente sarà forzato all'immobilismo e non potrà in alcun modo interagire direttamente con le fonti di rischio individuate. Ancora una volta, in The Perils of Man, la pratica soverchia i buoni propositi con ruvida disillusione. E non è ancora tutto.

    Pasticcio digitale

    Qualcosa è di sicuro andato storto nella realizzazione della sfortunata fatica di Tiller e compagni. Ne è riprova il fatto che, oltre a quanto scritto fin qui, anche il comparto tecnico di The Perils of Man subisca un repentino e palpabile calo qualitativo verso metà dell'avventura, vero e proprio momento-spartiacque tra la mediocrità e il disastro.

    Va detto che di base, e fin da principio, non tutti riusciranno a digerire ambientazioni spoglie di dettagli, modelli poligonali spigolosi e animazioni dei personaggi legnosissime, ai limiti del marionettistico. A sporcarsi con l'incedere del racconto sono però le sequenze cinematiche, piacevoli da osservare nelle fasi iniziali ma pian piano sempre meno rifinite, instabili in termini di frame rate oltre che tagliate brutalmente e rinsaldate all'in-game in malo modo. La stessa sorte tocca tristemente al sonoro, sebbene, in questo frangente, la produzione poggi su basi di partenza un po' più solide. In generale le musiche non sono sgradevoli e il doppiaggio in lingua originale è anzi convincente a livello recitativo, eppure un lavoro di missaggio approssimativo sembra far di tutto per demolire quanto di buono compiuto dagli attori. Capita sovente di percepire sensibili cambi di volume da una frase dialogata alla successiva - dove, peraltro, è spesso il medesimo personaggio a parlare - e non mancano poi fastidiosi istanti di distorsione audio che, pur non riuscendo a disintegrare del tutto una prova artistica nella media, ne scalfiscono marginalmente la bontà.

    Perils of Man Perils of ManVersione Analizzata PCThe Perils of Man ha in sé il germe dell’incompiutezza, che si espande gradatamente nel corso delle circa cinque ore necessarie a risolvere la vicenda e infetta l’opera in ogni suo anfratto, irreversibilmente e senza alcuna pietà. Varcato il termine di un primo atto senza infamia né lode - seppur messaggero di certe intriganti potenzialità sopite - lo sviluppo narrativo del titolo IF Games inizia dolorosamente ad accartocciarsi su se stesso, caracollante e anticlimatico fino al suo esilissimo epilogo, portandosi dietro nomi e volti che il giocatore non faticherà a dimenticare immantinente. E se il sistema di gioco prova qua e là a proporre qualche meccanica fuori dagli schemi delle classiche graphic adventure, sebbene senza convinzione e dunque invano, anche il lato tecnico della produzione si perde inesorabilmente in una spirale di pressapochismo difficilmente prevedibile dalle premesse. Non ci è dato sapere cosa sia andato storto durante lo sviluppo e, ahinoi, non possediamo gli strumenti di Ana per viaggiare nel passato e scoprirlo. Tantomeno, il passato, siamo in grado di rassettarlo.

    4.8

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