Recensione Prince of Persia: The Sands of Time per PS2

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Recensione Prince of Persia: The Sands of Time per PS2
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Disponibile per
  • PS2
  • Gba
  • Xbox
  • NGC
  • Pc
  • Il ritorno del
    principe

    Quasi quindici anni fa, un talentuoso game
    designer di nome Jordan Mechner, stupiva il mondo con un videogioco destinato a
    diventare un grande classico. Chi ha vissuto l’epoca d’oro dei primi home
    computer, non può non ricordare con affetto il suo primo incontro con un titolo
    entrato con forza e di diritto nella storia videoludica. Forse per la prima
    volta un ‘giochino’ riusciva ad incantare con una realizzazione tecnica ed un
    desing stilisticamente ineccepibili persone di ogni fascia di età. Le sinuose
    movenze del principe sono probabilmente il primo vagito di fotorealismo impresso
    nelle memorie dei videogiocatori più anziani; e poco importava che i colori su
    schermo fossero una decina tanto erano sofisticate e rivoluzionarie le
    animazioni del gioco. Trappole letali e frustranti attendevano il protagonista,
    in una corsa contro il tempo attraverso complessi ed estenuanti labirinti.

    Eppure era impossibile arrendersi: c’era qualcosa di magico in quelle poche
    righe di codice, qualcosa che avvinceva e stupiva senza possibilità di replica.
    Tutto questo contribuì a rendere Prince of Persia uno dei primi videogiochi
    d’autore, veri capolavori dell’arte videoludica.

    Raccogliere l'eredità

    L’obiettivo dichiarato della
    Ubisoft Montreal era quindi quello di riportare in auge i fasti di una serie
    che, dopo i primi due gloriosi episodi, ed in seguito ad un infausto tentativo
    di trasposizione in tre dimensioni, rischiava di finire colpevolmente nel
    dimenticatoio. La scommessa era affascinante ma rischiosa, e non erano in pochi,
    visionando i primi work in progress, ad esprimere qualche dubbio. La sensazione
    era di potersi trovare fra le mani un piccolo gioiello o una bieca operazione
    commerciale. È bene fugare fin dall’inizio questi dubbi: la scommessa è vinta,
    il titolo Ubisoft soddisfa ampiamente le aspettative. Ma andiamo con ordine.

    La trama ci porta, ovviamente, indietro nel tempo, nella Persia medievale. Una
    presentazione in full motion video ci cala nei panni di un giovane principe, al
    seguito del padre in una spedizione militare. La voce narrante è quella del
    protagonista, che in una sorta di flashback, racconta le sue avventure. Il
    principe è coraggioso fino ai limiti dell’incoscienza e, nel tentativo di
    compiacere il padre, durante l’assedio al palazzo del Maraja si lancia da solo
    alla ricerca di un tesoro che possa coprirlo di gloria agli occhi del suo re. Un
    cambiamento radicale rispetto all’anonimato e alla passività del primo principe,
    prigioniero forzato delle segrete del suo stesso palazzo, ma soprattutto un
    ottimo lavoro svolto al livello di character design che ci propone un
    personaggio maturo e sfaccettato, arrembante e coraggioso ma al tempo stesso
    viziato e spaccone. Al termine di un primo livello introduttivo, mirato a calare
    il giocatore nella meccanica di gioco, il protagonista entra in possesso del
    pugnale del tempo, artefatto magico dai grandi poteri, ma portatore di grandi
    sciagure. Non è certo questo il luogo per raccontare nei dettagli una trama che
    è parte integrante dell’esperienza di gioco, basti accennare che, in seguito ad
    una propria scelta, il principe scatenerà le sabbie del tempo: una potente
    maledizione che colpirà tutti gli abitanti di un enorme palazzo trasformandoli
    in orde di mostri. Compito del giocatore sarà quindi quello di rimediare al
    proprio errore, riportando le sabbie del tempo nella clessidra che le custodiva
    grazie ai magici poteri del pugnale. Tra salti, trabocchetti, acrobazie e
    combattimenti mozzafiato, il principe avrà l’opportunità di incontrare l’amore,
    fino a raggiunger un finale a sorpresa che non mancherà di stupire.

    Quello che convince e sbalordisce fin dalle primissime battute di gioco è il
    sistema di controllo. Semplice, intuitivo, di facile apprendimento e soprattutto
    capace di regalare grandi soddisfazioni. La levetta analogica sinistra controlla
    i movimenti; un tasto sensibile alla situazione di gioco permette di rotolare e
    saltare; due tasti sono dedicati al combattimento (uno per la spada ed uno per
    il pugnale del tempo); il quarto pulsante del pad consente di riporre le armi e
    di calarsi dagli argini dei burroni. Due dei tasti dorsali invece sono assegnati
    alle azioni acrobatiche e all’utilizzo dei poteri magici del pugnale. È
    incredibilmente semplice come, con la semplice pressione di un unico tasto, sia
    possibile gestire una quantità incredibile di evoluzioni: il principe si
    arrampica, cammina parallelamente sui muri, ondeggia su aste e sporgenze, si
    muove in equilibrio su stretti passaggi ed affronta in generale tutta una serie
    di situazioni normalmente ingestibili. Tutto funziona talmente bene da non far
    rimpiangere nemmeno per un istante l’originale Prince of Persia, complice
    innanzi tutto un level desing di primissimo ordine. Le sensazioni trasmesse dal
    gioco sono di soddisfazione assoluta, mista ad esaltazione pura. È un piacere
    controllare le gesta del principe, un piacere accentuato dalle sue indubbie doti
    atletiche e dalla sensazione di libertà e di padronanza che il sistema di
    controllo permette. Con il tasto ‘L1’ si accede poi ai poteri magici
    dell’artefatto in possesso del protagonista. Con una semplice pressione è
    possibile riavvolgere o rallentare a proprio piacimento il tempo, capacità utili
    per affrontare al meglio i combattimenti o per ritentare salti o passaggi
    particolarmente ostici senza dover per forza riprendere dall’ultimo salvataggio.
    Il tutto è realizzato con grande classe: vedere tornare a ritroso nel tempo
    un’azione sfortunata per riprendere il controllo un attimo prima che tutto si
    trasformi in tragedia è impagabile, così come entusiasmante è svolgere un
    combattimento al rallentatore. E non solo, il pugnale del tempo è in grado di
    regalare una vasta gamma di possibilità al suo possessore, svelate però solo nel
    corso del gioco.

    I combattimenti riescono nel difficile compito di replicare l’epicità e la
    tatticità degli scontri all’arma bianca dei primi capitoli della serie. Semplici
    ed efficaci combo sono accessibili con la pressione dei due tasti adibiti alle
    armi del principe, mentre (in aggiunta agli incantesimi di cui si è già
    accennato) con il pulsante del salto è possibile eludere con una serie di
    capriole gli attacchi degli avversari. Col medesimo tasto si è poi in grado di
    saltare alle spalle dell’avversario con funambolismi di Matrixiana memoria, per
    sferrare attacchi letali da posizioni vantaggiose. Quasi sempre ci si trova a
    combattere in inferiorità numerica, ed è proprio la sensazione di poter gestire
    coreograficamente questi scontri grazie alle incredibili capacità del
    protagonista a rendere esaltante l’affrontare orde di avversari. Unica pecca è
    la forse eccessiva ripetitività degli schemi d’attacco degli avversari, che alle
    lunghe diventano prevedibili, quasi una routine da affrontare per proseguire
    nell’esplorazione del palazzo. È sufficiente però far caso alla classe e
    all’eleganza con cui il tutto si svolge su schermo per perdonare qualche piccola
    mancanza a livello di intelligenza artificiale. Mai noiosi e sempre avvincenti i
    puzzle presenti nel gioco, vera e propria anima della serie. Si spazia da strani
    meccanismi da far scattare in sequenze logiche, fino ad arrivare a complicati
    giochi di specchi da interpretare correttamente per trovare la giusta strada.
    L’ossatura del titolo è però costituita, come era logico attendersi, da enigmi
    legati all’ambiente circostante, al modo in cui far raggiungere al protagonista
    luoghi impervi superando ostacoli e infidi trabocchetti. Ed è qui che Ubisoft ha
    dato il meglio. Lo spirito dell’originale è esaltato da un design dei livelli
    che rasenta la perfezione: impegnativo e mai frustrante, geniale e coreografico.
    L’unico appunto che si può muovere è quello di un’eccessiva linearità degli
    enigmi: c’è sempre un solo modo per raggiungere la meta, una sola chiave
    interpretativa per percorrere l’unica strada attraverso il gioco. Ma è un
    particolare marginale se confrontato con la mole e la varietà di situazioni
    presenti.

    I fasti del tesoro persiano

    Non è azzardato affermare che il vero protagonista di
    questo titolo sia, più del principe, il palazzo maledetto e più in generale
    tutto l’ambiente circostante. È impossibile non farsi rapire dalla bellezza e
    dalla complessità degli scenari. Spesso ci si ritrova inebetiti ad ammirare il
    lavoro svolto dai grafici francesi. Luci beffarde danzano su minareti e gazzebi
    dalla complessa architettura, il giusto contorno alle funamboliche gesta del
    giocatore. La cura maniacale con cui sono realizzati gli ambienti raggiunge le
    sue vette nella gestione degli spazi aperti. Le fonti di luce sono gestite
    ottimamente e non mancano certo piacevoli dettagli come la lussuoreggiante
    vegetazione dei giardini o routine tridimensionali dedicate all’animazione di
    drappi ed arazzi sulle pareti dei palazzi. Quello che più colpisce è il senso di
    maestosità trasmesso dalla scenografia del gioco: spazi immensi dal respiro
    epico contribuiscono a rendere magica la forza narrativa del gioco. Di contro va
    notata una certa semplicità nella realizzazione dei modelli poligonali dei
    personaggi, ma va detto che un sapiente utilizzo delle texture ed un ottima
    gestione delle telecamere, riescono a celare questo piccolissimo difetto.
    Menzione d’onore alle animazioni. Tutto si muove con una naturalezza ed una
    serenità che hanno dell’incredibile. Come già anticipato, assistere alle
    evoluzioni del principe è un piacere per gli occhi, così come lo è vederlo
    combattere. Il mondo circostante poi reagisce in maniera coerente all’incedere
    del nostro eroe: frammenti cadono dagli orli dei precipizi, l’acqua si increspa
    al passaggio, aste e drappi si animano sotto il peso del principe. A tutto
    questo si deve aggiungere una varietà estrema delle situazioni di gioco. Il
    fatto che la storia si svolga interamente all’interno di un palazzo non deve far
    pensare neppure per un attimo alla noia e alla monotonia. Infatti ci si ritrova
    a scoprire sempre nuove ali del maniero: dall’Harem ai bagni, dalle prigioni
    alle torri, fino ad arrivare alle grotte sottostanti e alle fondamenta stesse
    dell’edificio. Non si rischia certo di addormentarsi. Va segnalato il largo
    utilizzo di filtri all’immagine che contribuiscono a dare al gioco un look
    ‘antico’ e magico e l’impiego estensivo di anti alaising. Un piccolo miracolo
    della tecnica, dunque, in considerazione anche del fatto che sono veramente rari
    ed ininfluenti i cali di un frame rate quanto mai solido e stabile. Anche le
    musiche hanno saputo favorevolmente impressionare. Mai ripetitive per quanto
    classiche sono un giusto mix tra l’etnico orientale con percussioni e assoli di
    chitarra rock. Il giusto accompagnamento musicale, gradevole e mai invasivo. Il
    gioco è interamente doppiato in italiano con traduzioni e adattamenti corretti
    ed appropriati. Le voci sono sembrate forse poco adatte, ma sembra di cercare il
    pelo nell’uovo in un lavoro che resta di altissimo livello.

    Un
    piccolo capolavoro

    Come anticipato,
    The Sands of Time riesce nel difficile compito di trasportare in questa
    generazione di console, tutto il fascino, lo stile e il divertimento di un
    grande classico come Prince of Persia e lo fa con una realizzazione tecnica di
    prim’ordine e priva di sbavature. La maestosità degli ambienti, la fluidità
    delle animazioni e la freschezza e complessità degli enigmi fanno di questo
    titolo un acquisto obbligato, un vero must have per qualsiasi videogiocatore. La
    longevità è buona, con una durata complessiva che si aggira intorno alle dieci
    ore di gioco e con una chicca speciale da scovare: l’originale Prince of Persia
    in versione completa. Qualche piccolo difetto non riesce a minare una
    valutazione complessiva che non può che essere entusiastica. Il titolo Ubi Soft
    rappresenta la riscoperta degli action adventure, un’esperienza piacevole e
    coinvolgente rispettosa della tradizione di uno dei migliori videogiochi mai
    creati. Chi ha amato il predecessore non potrà non adorare questa sua nuova
    incarnazione, estremamente curata sotto ogni aspetto. Un gioco da non perdere,
    per nessuna ragione. Anche chi non dovesse trovarsi a suo agio tra piattaforme
    ed azione, o chi avesse odiato a suo tempo le gesta del principe, dovrebbe
    comunque provare almeno una versione dimostrativa: corre il rischio di lasciarsi
    sfuggire uno dei giochi più belli di questa fine 2003.

    [Autore] Andrea -Erik Rekdal-
    Canigiani

    Erik è un redattore
    ambizioso. Follemente ambizioso. Si sforza enormemente di scrivere qualcosa di
    interessante, e, a onor del vero, non sempre ci riesce. Nel far questo, però,
    cerca sempre di consigliare chi lo legge sulla bontà di un gioco, su quanto sia
    ben fatto e sulla quantità di divertimento ricavabile da esso. Tanto tempo fa
    qualcuno lo convinse che, se proprio devi fare qualcosa, allora tanto vale che
    tu la faccia bene; per questo quando scrive su questa testata, spesso finge di
    essere un giornalista, pretesa che gli costa molto in termini di sanità mentale.
    I suoi articoli sono suoi, e, in quanto tali, sono imbrattati della sua opinione
    personale come un muro intonacato di fresco dopo che è passato il peggior
    teppistello da strada. Che poi non ha mai cercato di nascondere il suo punto di
    vista, anche se l’ambizione di cui sopra gli imporrebbe quantomeno una parvenza
    di obiettività. È uno che se li ricorda i bei tempi di Zzap!, del redattore
    mascherato e di Bonavventura Di Bello; che se l’è fatta tutta la trafila, dal
    Commodore 16 in su; per intenderci, uno di quelli illusi che si credono imbevuti
    della ‘sana’ cultura del videogioco. Tollerato dai suoi contemporanei, viene non
    di meno guardato da questi con pallidi sorrisi di malcelata e rassegnata
    benevolenza. Gli unici danni che può causare, in fin dei conti, sono relativi
    alla sua personale salute psichica. È un
    logorroico-dispotico-malinconico-scioperato, fatto questo che lo riempie, di
    tanto in tanto, di una fragile autostima, ma che non gli facilita i rapporti
    umani con i propri simili. Con i gatti, invece, ha da sempre un certo qual
    feeling. Prima o poi riuscirà a combinare qualcosa di buono. In seguito
    occorrerà stabilire se non sia stato troppo tardi.

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