Recensione Project Zero per PS2

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Recensione Project Zero per PS2
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    Mai sazio del celebre parco giochi – che gode d’illustri e terrificanti titoli – il genere del Survival Horror s’arricchisce, grazie a Tecmo, d’una avventura unica che si erge fra i molti esponenti di una tanto popolata famiglia. Fuori dagli schemi, arriva sui nostri schermi, riadatto stilisticamente per l’occidente, Project Zero.

    Ormai il metro di misura fondamentale della garanzia di un buon titolo, è diventato – se a torto o a ragione, lascio a voi deciderlo- l’originalità del mezzo. Nella fattispecie, è la causa dell’angosciante senso di timore (perché di far Paura, diciamolo, spesso c’è solo l’intenzione) la primordiale preoccupazione degli sviluppatori e dei fruitori. Stancamente esasperati dalle lamentele della critica sul non più inusitato sistema di provocare tremarella, tacciati di non riuscire a vedere oltre i classici Zombie e Mutanti, i creatori di Project Zero si sono rifugiati, con molta eleganza senza dubbio, nell’inquietante presenza di fantasmi e spettri. Intangibili eppur egualmente letali, le ectoplasmatiche infestazioni della grossa, cadente magione in cui saremo chiamati alla ricerca di un fratello perduto, risultano intrise d’un certo fascino, e riescono, a conti fatti, a svolgere al meglio l’inquietante funzione che molto meno velatamente veniva adempita dai colleghi più “materiali” in titoli del calibro di Resident Evil, Extermination (già, qualcuno lo ricorda ancora), Silent Hill.
    Particolarità fondamentale, la loro intrinseca immunità a obsoleti proiettili, spranghe e pugnali da sopravvivenza fa convergere l’arsenale in dotazione alla protagonista in un’insolita Macchina Fotografica: proveniente dalle credenze popolari indigene, il sacrilego rapimento d’anima insito nel farsi fotografare, viene qui utilizzato per disfarsi delle anime tormentate che dimorano nel Palazzo Himuro. Ecco quindi la nostra buona dose di originalità: primo punto a favore.
    Adesso, procediamo con ordine.

    Seppur non svelandovi troppi dettagli, anticipo che la trama di Project Zero risulta magistralmente orchestrata: sulle tracce di vostro fratello, scomparso durante la ricerca del professor Takamine – scrittore di successo – vi troverete proiettati in una intrigante storia. Alla luce della luna, verrete a conoscenza di macabri e inumani rituali, attraverso registrazioni, articoli di giornale, flashback perfettamente integrati. L’investigazione viene qua e là frammentata dalle solite “inversioni di rotta”: spesso tornerete sui vostri passi per ottenere determinati oggetti indispensabili. E al di là della fondamentalmente irrinunciabile struttura degli “enigmi”, buonissima introduzione è quella che vede come protagonista, un’altra volta, la vostra macchina fotografica. Scoprire passaggi segreti e indizi su dove cercare l’oggetto che vi permetterà di andare avanti saranno attentamente “dispensati” dalla vostra compagna col Flash: scattando foto ad alcuni luoghi della casa, l’immagine prodotta, diversa da quella inquadrata, indicherà la giusta via da seguire.

    Oltre alla velata onniscienza dell’armamentario sopra indicata, dedico alcune righe alla spiegazione precisa di come esso possa liberarvi dai fastidiosi spettri che minacceranno seriamente la vostra salute.
    Lontano dalla solita visuale che vi accompagna per tutto il gioco (Character Relative, per intenderci), la modalità di scatto vi offrirà una First Person View. Seppur assai più lentamente, mantenendo la fotocamera puntata, potrete muovere il personaggio per allontanarvi dai temibili fantasmi. La levetta analogica sinistra, inoltre, permetterà di spostare la visuale. Controllare al meglio questa modalità è la giusta chiave di vittoria: più terrete uno spettro nel centro luminescente del vostro mirino, più la macchina fotografica accumulerà potere: di conseguenza, uno scatto provocherà assai più danni all’avversario. Notare che, ovviamente, il numero di foto a vostra disposizione è limitato, quindi risparmierete “colpi” se riuscirete a tenervi a debita distanza dallo spettro, comunque mantenendolo sempre inquadrato. Impresa assai ardua quando i suddetti ectoplasmi vi costringeranno a rapidi spostamenti, magari apparendo alle vostre spalle.
    Durante il gioco, inoltre, è possibile trovare pellicole con potere intrinseco maggiore del normale, in modo da causare più danni agli spettri, o sbloccare funzioni speciali della macchina fotografica (comunque regolamentate nell’uso dalle cosiddette e non meglio specificate “gemme di potere”).
    Fotografare spettri non sarà sempre e comunque una pratica votata alla sopravvivenza: spesso, con vostro grande sussulto, verrete assaliti da visioni improvvise, accompagnate da un palpitare incostante (Dual Shock, ovviamente) e un inaspettato, lugubre latrato. Riuscire ad immortalare queste fugaci apparizioni vi fornirà, oltre che una grande soddisfazione, uno spropositato numero di punti, utili al potenziamento della camera a cui avevo accennato.
    Altre volte, seguendo la luce blu dell’indicatore in basso a destra (gialla se si tratta di fantasmi non innocui), potrete fotografare locazioni apparentemente normali, che nascondono invece un’inquietante presenza.
    Immancabile, dopo tutta la vostra fatica, l’opzione di salvataggio dei vostri capolavori.

    Pregi stilistici e tecnici non mancano di adornare Project Zero: la realizzazione dell’imponente struttura al chiaro di luna è decisamente magistrale, piena di piccoli dettagli, nascosti nel buio, in attesa di essere svelati dalla flebile luce della vostra torcia, proiettando ombre dai contorni distorti. L’atmosfera lugubre di decadenza regna sovrana, circondandovi completamente, lasciandovi in balia degli angoli inaccessibili, dei vuoti saloni cadenti, dei suoni, perfettamente riprodotti, di una notte incantata. Soli di fronte all’ignoto, per niente rassicurati dall’immediato, e subito morente, flash. Il buio tornerà a farvi paura, il cuore sobbalzerà.
    E spesso maledirete la lentezza del vostro personaggio, ed il suo incappare in onnipresenti e inesistenti ostacoli: la collisione poligonale, in effetti, risulta di poco sfasata, e i 60 Hz non rimediano troppo alla calma di movimento.
    Tuttavia poco da imputare al titolo Tecmo: effetti grafici utilizzati al meglio, per creare, attraverso inquadrature distorte, sfumati bianchi e neri, disturbi d’immagine, inquietudine ad ogni passo.
    Colori smorzati dal buio, e lampi blu di anime.

    Buon risultato quindi, al fine. Magari troppo distanziato dalle esigenze dei puristi, e da quelle di chi cerca la sua dose d’azione quotidiana, ma decisamente apprezzabile. Forse, di nuovo, e come sempre, la longevità lascia a desiderare, ma la particolarità del titolo giustifica pienamente la sua presenza nelle biblioteche videoludiche.

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