Ravenbound Recensione: un roguelite open world molto vuoto

Abbiamo giocato a Ravenbound, il Roguelite Open World dalle atmosfere fantasy che si basa sul folklore scandinavo.

Ravenbound
Recensione: PC
Articolo a cura di
Disponibile per
  • Pc
  • PS5
  • Xbox Series X
  • È ormai chiaro che i roguelike siano uno dei generi videoludici più apprezzati dai videogiocatori e la maggior parte delle produzioni indipendenti che hanno riscosso un più che discreto successo in tempi recenti appartiene proprio a questa categoria. Ci vengono in mente le infinite possibilità offerte da The Binding of Isaac, i frenetici tentativi di fuga dagli inferi di Hades e l'azione allo stato puro di Dead Cells.

    Ebbene, il roguelike incontra la dimensione open world in Ravenbound, l'ultima fatica di Systemic Reaction, il team noto al pubblico per aver dato i natali a Generation Zero e a Second Extinction (il nostro provato di Second Extinction è a portata di click), l'FPS a base di dinosauri rinviato a data da destinarsi. Dopo la prova di una vecchia build che aveva fatto emergere più ombre che luci di questa produzione, abbiamo finalmente messo le mani sulla versione finale e siamo pronti a raccontarvene ogni dettaglio.

    Un Roguelite diverso dal solito

    Se c'è una cosa che non piace al team di sviluppo, quella è definire Ravenbound un gioco sui vichinghi. Sebbene una visione distratta delle immagini o dei trailer possa suggerire il contrario per via di alcune somiglianze estetiche, il titolo Systemic Reaction non ha nulla a che vedere con i temi trattati in un Assassin's Creed Valhalla (qui la recensione di Assassin's Creed Valhalla), poiché affonda le sue radici nel folklore scandinavo, in cui si presta più attenzione ad orribili creature come Draugr e Nisser che a capricciose divinità dalla complessa genealogia.

    In quello che gli sviluppatori definiscono un contesto ‘nordic fantasy', il giocatore ricopre il ruolo di una pedina nelle mani di esseri superiori che ci utilizzano per ottenere vendetta. I poteri di questa "pedina" possono essere trasferiti da un essere all'altro e ciò funge da pretesto per giustificare le meccaniche roguelite (esiste una progressione permanente al di fuori delle run), che seguono una filosofia molto vicina a quanto visto in Rogue Legacy. In questo caso non ci troviamo di fronte agli eredi del soldato caduto in battaglia, ma ad ogni decesso ci verranno proposti tre personaggi con tratti unici randomici, tra cui troviamo l'arsenale e la razza d'appartenenza. Oltre agli umani, Ravenbound include anche due tipologie di guerrieri antropomorfi le cui sembianze ricordano quelle di cervi e felini.

    Scelto il nostro Vessel, veniamo catapultati nell'enorme Ávalt, una mappa liberamente esplorabile in ogni suo angolo e dall'estensione notevole.

    Il fine ultimo di ogni partita è quello di sconfiggere tre dei cinque boss e sbloccare l'accesso allo scontro finale, così da compiere il volere dei nostri mandanti. Ovviamente non basta raggiungere i luoghi delle boss fight e annientare i nemici per avanzare, dal momento che Ravenbound è un titolo dal livello di sfida piuttosto elevato e caratterizzato da un sistema di progressione interno alla partita che richiede una certa dedizione da parte del giocatore per essere compreso al meglio. Nel gioco di System Reaction bisogna dimenticarsi del classico loot o dell'accesso ai potenziamenti tramite l'accumulo di esperienza, poiché qui ruota tutto intorno a un mazzo di carte il cui utilizzo non è poi tanto diverso da quanto visto in Heartstone. Eliminando gli avversari e aprendo forzieri si aggiungono al proprio deck delle carte casuali, i cui bonus possono essere attivati solo ed esclusivamente consumando i punti mana indicati su di esse. Tramite questi collezionabili possiamo ottenere nuove armi, armature con più punti difesa e vantaggi di varia natura. Mettere le mani su queste carte non è facile come sembra, poiché per addizionarne anche solo una al mazzo occorre far fuori tutti i nemici in almeno due dei punti d'interesse sparsi in giro per la mappa.

    A tal proposito, è bene precisare che il mondo di Ávalt non è generato proceduralmente, ma sono invece casuali i nemici che si possono trovare al suo interno: questo significa che la nostra partita avrà inizio sempre nello stesso luogo, ma già nel primo checkpoint potremmo trovare, ad esempio, un campo di banditi o un paio di fantasmi di alto livello pronti a farci la festa. L'ideale è quindi individuare le minacce più agevoli da eliminare, sfruttando sapientemente i mezzi messi a disposizione del giocatore. Ravenbound è un action in terza persona e il suo combat system non è dei più complessi.

    Che si stia usando un'ascia a due mani, una spada e uno scudo o una doppia lama, il combattimento funziona in maniera simile su grandi linee: le schivate a tempo attivano un buff temporaneo al danno inflitto, e i parry generano un'esplosione che stordisce i nemici, rendendoli inermi per qualche istante. Sorvolando sull'animazione di difesa, che prevede la generazione di una bolla protettiva, l'intero sistema offensivo si basa su questi due pilastri ed è molto veloce. Siamo lontani dalla rifinitura degli action più blasonati, ma tutto sommato gli scontri fanno il proprio dovere, sebbene non manchi qualche problema.

    La telecamera è probabilmente il difetto più evidente, poiché persino ricorrendo al lock on sul bersaglio è spesso impossibile avere l'azione a schermo sotto controllo e durante le ripetitive e banali boss fight questo intoppo è ancor più evidente a causa della conformazione dell'arena. Anche l'IA dei nemici non è priva di imperfezioni ed è sufficiente che lo scontro si sposti di qualche metro rispetto all'accampamento per far sì che gli avversari inizino ad avere strani comportamenti dovuti alla volontà di ritornare nella loro posizione predefinita. Abbiamo inoltre riscontrato uno scarso bilanciamento fra le varie tipologie di nemici.

    Un chiaro esempio è rappresentato dai goblin, una razza di avversari particolarmente insidiosa da sconfiggere. A differenza di altre creature, questi assalitori agiscono in branco e attaccano contemporaneamente: la confusione che si viene a creare a schermo, unita a hitbox non sempre precise, rende questi scontri a tratti frustranti, poco leggibili e talvolta accompagnati da dipartite ingiuste.

    In giro per un mondo vasto... e vuoto

    Pur rappresentando l'elemento più attraente agli occhi del giocatore che si appresta ad avviare Ravenbound per la prima volta, l'open world non è senza macchia, complici alcuni spigoli che influiscono negativamente sull'esperienza. A conti fatti questa dimensione dal più ampio respiro è un'arma a doppio taglio, si pensi ad esempio alle lunghe e noiose fasi di spostamento. Esiste la possibilità di trasformarsi in un corvo e muoversi rapidamente, ma tale meccanica ha dei paletti che abbiamo trovato inutilmente fastidiosi.

    La maggior parte della superficie calpestabile è priva di punti d'interesse e l'unico modo per assumere le sembianze corvine è raggiungere specifiche postazioni che, pur essendo presenti in gran numero, risultano spesso e volentieri difficili da individuare.

    In Ravenbound non esiste una mappa da consultare e le icone a schermo che contrassegnano la presenza di un checkpoint appaiono solo mentre si vola o ci si trova nelle loro vicinanze: questo particolare, unito all'impossibilità di librarsi in aria in qualsiasi momento, fa sì che buona parte della run la si trascorra correndo nel nulla, rischiando di beccarsi un malus per il troppo tempo trascorso tra una boss fight e l'altra. Difficile da giustificare è anche la presenza del rampino, che proprio come nella vecchia build provata continua a poggiare su animazioni poco convincenti e una scarsa utilità pratica.

    Certo, di tanto in tanto si può trovare qualche rovina o grotta che richiede di richiamare il gadget per raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili, ma si tratta in ogni caso di un elemento marginale che avrebbe meritato una maggior attenzione sia nella sua realizzazione che in un level design che ne esaltasse l'efficacia. Dobbiamo inoltre segnalare la scarsa varietà degli scenari proposti, dal momento che i pochi biomi della mappa sono tutti molto simili fra loro e, come già accennato, la maggior parte di Ávalt è fatta da distese di sabbia, foreste e piccoli specchi d'acqua isolati. Oltre a qualche torre o fortino, di tanto in tanto è possibile incappare anche in contenutissimi centri abitati che fungono da hub.

    In questi luoghi si accettano missioni secondarie che forniscono al Vessel qualche moneta da spendere per recuperare la salute o acquistare ulteriori carte. Peccato però che i dialoghi con cui i personaggi ci affideranno i compiti siano troppo semplici e i pochi NPC presenti a schermo appaiono come fantocci inanimati: stanno fermi e basta avvicinarsi a loro per spostarli come se fossero piume.

    L'esplorazione, così come l'eliminazione dei nemici, sono entrambi fondamentali ai fini della progressione. Ravenbound è infatti un roguelite e presenta alcuni elementi permanenti tra le run, che però non riguardano il semplice potenziamento del protagonista. In tal senso è possibile solo andare a sbloccare nuovi tratti che possiamo trovare casualmente nei personaggi disponibili all'inizio del viaggio, oppure ampliare il deck di carte, così da poter trovare armature, armi e power-up ancora più efficaci durante le partite.

    Fantasy con poca fantasia

    Sul fronte tecnico, Ravenbound non stupisce e utilizza il motore grafico proprietario di Systemic Reaction, che prende il nome di Apex Engine. Sebbene le prestazioni del gioco siano più che discrete e non vi siano fluttuazioni del framerate, la qualità visiva è solo nella media e basta avvicinarsi a qualsiasi nemico o elemento dello scenario per notarne difetti e semplificazioni.

    Nonostante tutto però, Ávalt vanta alcuni scorci degni di nota e in alcune condizioni di luce è piacevole sorvolare la mappa, magari con l'aurora boreale sullo sfondo. Nel corso delle nostre partite abbiamo anche incontrato alcuni bug piuttosto fastidiosi, dal momento che ci siamo ritrovati a dover affrontare boss il cui indicatore della salute non rifletteva i danni subiti, il tutto mentre la telecamera rendeva particolarmente complesso tenere sott'occhio il grosso nemico ed evitare i suoi attacchi.

    La direzione artistica non mostra particolari guizzi ma nemmeno fallisce nel conferire una certa personalità al bestiario. Ci sarebbe piaciuto vedere una maggiore varietà di boss, che purtroppo sono tutti molto simili fra loro.

    Ravenbound RavenboundVersione Analizzata PCRavenbound è la prova evidente che per realizzare un videogioco di successo non è sufficiente avere una buona idea. Pur offrendo un discreto combat system, il titolo di Systemic Reaction è afflitto da una serie di intoppi che non possono essere trascurati. La presenza di un mondo aperto e liberamente esplorabile si è rivelata essere un’arma a doppio taglio per la produzione, vista la scarsa concentrazione di punti d’interesse che rende noiosi gli spostamenti. Altrettanto problematici sono la telecamera e alcuni comportamenti dei nemici, che influiscono negativamente su quanto c’è di buono nel sistema di combattimento. Insomma, proprio come nel nostro primo contatto col gioco, la sensazione che abbiamo avuto è che il prodotto non fosse pronto al debutto sugli scaffali e che necessitasse ancora di interventi più o meno marcati.

    CONFIGURAZIONE PC DI PROVA

    • CPU: Intel i7-10700
    • RAM: 32GB DDR4
    • GPU: Nvidia GeForce RTX 2080 Super
    5.8

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