Fin dai tramonti grafici stilisticamente perfetti, sfumati del colore polveroso dei vecchi film, fin dalle note solitarie e vibranti di un Folk, anticipatore d'altri tempi, fin dal rumore di tenebra dei tamburi dei grossi calibri, e dell'esecuzione perfetta di una freccia scoccata nel buio, e ancora fin dall'attesa tremante in cui la mano più salda e veloce deciderà le sorti dell'ennesimo duello, Red Dead Revolver si dimostra, innegabilmente, di un'originalità ludica sprezzante, mediata da una ricchezza inimmaginabile di situazioni sonore, grafiche e meccaniche, sul sentiero di un'ambientazione mai prima d'ora sfruttata e mai dopo adesso tanto rivalutata. Dalle mani sapienti di Rockstar Games prende vita l'idea di un selvaggio West interattivo, per certi versi ancora abbozzata, nella caratterizzazione cittadina della sola Brimstone, città di frontiera, ma coerente in ogni dettaglio con i sogni generazionali d'indiani e pistoleri macchiati di solitudine, di diligenze e treni da assaltare, di ranch immersi nel verde mugghiare dei tori, di onore e vendetta, di sguardi (e mezzogiorni) di fuoco da sotto le tese largheggianti dei cappelli sporchi. Il viaggio attraverso le terre dell'Ovest comincia con l'ardore giovanile di un figlio, sotto i cui occhi si compie il massacro impunito della famiglia, per mano di un generale che pagherà, al momento, l'atrocità commessa con la perdita d'un braccio, mediata dallo stesso protagonista in gesto disperato, grazie ad una pistola ardente che gli varrà il nomignolo di Red Hand, a causa dell'ustione sulla mano destra. Il giovane Red si muoverà dunque, tappa per tappa, alla ricerca della sua vendetta lungo un percorso le cui linee guida sono definite durante i primi momenti di gioco e mai variate nel corso dell'avventura, ma la cui freschezza e varietà tematica tengono alto l'interesse ed il divertimento in ogni istante. Red Dead Revolver è, in definitiva, uno sparatutto in terza persona, in cui l'attenzione del giocatore è calamitata verso il numero dei proiettili nel cinturone e la cura delle proprie armi, verso i colpi precisi alla testa degli avversari e la prontezza di riflessi. Vista l'ambientazione, le armi di Red consistono di vecchie pistole sei colpi e fucili dal cane mobile, esclusa qualche arma da lancio come coltelli o, raramente, dinamite. Il sovrappiù di nemici che si è costretti ad affrontare impone necessariamente che si debba far bene attenzione al numero di colpi rimasti in canna (dati i tempi di ricarica), e sia necessario fare il miglior uso possibile di ogni bossolo, mirando alla testa dei Banditos di strada in modo da freddarli senza pietà in un lampo d'aria che annuncia al giocatore la loro morte, mentre, cadendo, ci lanciano le ultime minacce strozzate dalla polvere e dal sangue. Certo, se non fosse per l'”occhio di lince”, un'apposita modalità che permette di rallentare il tempo non tanto per scansare i proiettili quanto per individuare e agganciare le varie parti del corpo di un bersaglio, al fine di scaricare con velocità inesprimibile quanti più colpi possibile sul malcapitato, la struttura portante del gioco sembrerebbe piuttosto collaudata e ben poco originale. E' necessario poco tempo, tuttavia, per accorgersi che il sistema di gioco è studiato in favore del protagonista, in modo che le armi più precise siano più propense a colpire nei punti giusti, cosicché, nella foga polverosa dello scontro, sia la scena globale di cui il giocatore debba godere, la sua rapidità e coesione, la sua fotogenia. E' l'anima cinematografica del Western, difficile da riprodurre al di fuori delle pellicole, di fronte alla quale persino al letteratura s'era arrestata, e che in Red Dead Revolver è costruita a dovere e vive nelle mani stesse del videogiocatore, oltre che negli effetti grafici, sonori e nei dialoghi. Ed a completare il quadro basilare e canonico delle terre selvagge, i duelli all'ultimo sangue, con la pistola nella fondina, in cui chi estrae più veloce può dirsi vincitore. Il sistema è d'una semplicità estrema, e consiste in due rapidi tocchi per impugnare ed estrarre, prima che - ancora una volta - il tempo si dilati e ci sia data la possibilità di cercare i punti migliori da colpire. La precisione estrema con il quale ci vengono proposti gli scontri è talmente apprezzabile, di fronte alle figure intere degli avversari, che spesso verremo a chiederci quando sarà possibile effettuare il prossimo duello, e ancora più volte grideremo di rabbia quando, spiazzati dalla velocità dell'avversario, sapremo ancor prima dei colpi esplosi chi l'avrà vinta. Ed ecco: con le conoscenze di base possiamo avviarci, passo passo, prima attraverso villaggi abbandonati e cadenti, cercando riparo dietro i carri merci mentre fucilieri d'occasione cercano di farci fuori dall'alto, poi verso la civiltà, difendendo il treno per Brimstone dall'assalto di banditi a cavallo, già intravedendo una continua variazione su tema del gameplay principe che finirà per soddisfarci appieno. E' proprio nella città, e durante i primi incarichi che lo sceriffo del luogo ci propone, che si perde l'occasione dell'approfondimento ludico e, di conseguenza, la “laudem” che avrebbe spezzato definitivamente la concorrenza annuale. Si può imputare, senza dubbio, una poca profondità e varietà dei luoghi cittadini esplorabili, sebbene non manchino gli intramontabili (l'emporio, il sarto, il saloon), e una totale assenza di interattività, sia con i personaggi (che ci propongono frasi d'occasione il cui unico pregio è il doppiaggio) che con gli oggetti. Infine, prima di addentrarsi nei meandri storici della nostra dannazione familiare e proseguire alla cerca del Generale Diego, i personaggi che saremo chiamati a combattere esulano fin troppo dal comune western inoltrandosi sulle strade di un semi-fantastico leggermente fuor di luogo. Ma è cosa di poco conto, in fondo: da Brimstone parte l'avventura vera e propria, correlata di interventi esterni autonomi degni di lode e memoria. Oltre a Red conosceremo una serie di personaggi secondari, coi quali saremo chiamati ad affrontare singole missioni, tutte ben integrate nella storia e con il loro personale carattere. Jack Swift, un damerino inglese dalle doppie pistole, Annie Stokes, una proprietaria che dovrà salvare il proprio Ranch dall'assalto intimidatorio del governatore, Shadow Wolf (malamente tradotto Lupo Che Ringhia), cugino di Red che dovrà salvarlo dalla prigionia accidentale, persino Diego in persona durante l'assalto ad un ponte conteso fra nordisti e sudisti, ed un soldato che dovrà scortare una diligenza all'interno di riserve indiane. E', insomma, un tripudio di situazioni e architetture diverse e ben organizzate, che mescolano le diverse scuole cinematografiche (la prima, dell'epopea indiana, la seconda, dei conflitti armati e degli assalti ai forti, e l'ultima dei pistoleri solitari) e ricreano con maestria le locazioni tipiche di un'epoca intera di Western. Sarà un piacere, dunque, completare il gioco al 100% (raggiungibile con meno fatica rispetto ai canoni di Rockstar), al fine di sbloccare tutte le locazioni per i duelli in Multiplayer, così da non dimenticare mai con quanta precisione sia stata trasportata la varietà cromatica che contraddistingue le terre selvagge, attraverso canyon e città fantasma, miniere e forti armati, fino alla residenza sontuosa del governatore. Il tutto, illuminato da sapienti giochi di luce, con sovraesposizioni che caratterizzano al meglio la soleggiata natura delle lande dei Gringos. E, sebbene la stessa cura non sia riconoscibile nella modellazione dei personaggi, il risultato grafico finale, opportunamente condito di distorsioni, blur, bagliori accecanti, è indiscutibilmente elevato ed adeguato all'azione, costantemente, per chi ha l'occasione, impallinato sui 60 Frame per Secondo, senza rallentamento di sorta. E, infine, non si può non rimanere estasiati di fronte a tanta meraviglia sonora. Il concerto di archi e chitarre lugubri che si para di fronte al giocatore è impedibile. In ogni momento, la colonna portante riesce a dispensare le giuste emozioni. Il gioco di musiche a cui si assiste in Red Dead Revolver è una costate citazione dalle produzioni cinematografiche più famose (per chi abbia la costanza d'esplorare il periodo Pre Sergio Leone), finché non si incappa, nei momenti tranquilli della città, nella musica indimenticabile di “Lo Chiamavano Trinità” ed è impossibile non lasciarsi scappare un sorriso. In più, le campionature dei proiettili, dei colpi a mani nude e delle voci, offre una concertazione indimenticabile e dona uno spessore notevole ai protagonisti. Infine, dopo ventisette tappe, Red Dead Revolver si conclude. Con serenità, come molti western, senza rimandi a seguiti. Con una coerenza eccellente, proiettati verso un Ending Theme di tutto rispetto. Del resto, Red afferma, semplicemente: “Non è mai stata una questione di soldi”. Ed a noi piace crederlo fino in fondo. E piace ricordarlo mentre ci è data la possibilità di affrontare alcuni livelli di gioco sotto nuova luce nella modalità “cacciatore di taglie”, e mentre invece cerchiamo di ottenere buoni risultati (di Precisione, Velocità, Colpi Subiti e Combo Effettuate) per sbloccare quanti più elementi possibili, spesso arene e personaggi, da poter utilizzare nella modalità multiplayer, ben realizzata e varia abbastanza da offrire qualche pomeriggio di divertimento. E ancora, fino ai tramonti inevitabili del divertimento, quando abbandoneremo Red Dead Revolver sugli scaffali dei bei ricordi senza mai dimenticarlo, per il coraggio, il carattere, ed il mondo da sogno che ha saputo riprodurre.
Recensione Red Dead Revolver per PS2
Leggi la nostra recensione e le opinioni della redazione sul videogioco Red Dead Revolver per PS2 - 1199
Fin dai tramonti grafici
stilisticamente perfetti, sfumati del colore polveroso dei vecchi film, fin
dalle note solitarie e vibranti di un Folk, anticipatore d'altri tempi, fin dal
rumore di tenebra dei tamburi dei grossi calibri, e dell'esecuzione perfetta di
una freccia scoccata nel buio, e ancora fin dall'attesa tremante in cui la mano
più salda e veloce deciderà le sorti dell'ennesimo duello, Red Dead Revolver si
dimostra, innegabilmente, di un'originalità ludica sprezzante, mediata da una
ricchezza inimmaginabile di situazioni sonore, grafiche e meccaniche, sul
sentiero di un'ambientazione mai prima d'ora sfruttata e mai dopo adesso tanto
rivalutata. Dalle mani sapienti di Rockstar Games prende vita l'idea di un
selvaggio West interattivo, per certi versi ancora abbozzata, nella
caratterizzazione cittadina della sola Brimstone, città di frontiera, ma
coerente in ogni dettaglio con i sogni generazionali d'indiani e pistoleri
macchiati di solitudine, di diligenze e treni da assaltare, di ranch immersi nel
verde mugghiare dei tori, di onore e vendetta, di sguardi (e mezzogiorni) di
fuoco da sotto le tese largheggianti dei cappelli sporchi. Il viaggio attraverso
le terre dell'Ovest comincia con l'ardore giovanile di un figlio, sotto i cui
occhi si compie il massacro impunito della famiglia, per mano di un generale che
pagherà, al momento, l'atrocità commessa con la perdita d'un braccio, mediata
dallo stesso protagonista in gesto disperato, grazie ad una pistola ardente che
gli varrà il nomignolo di Red Hand, a causa dell'ustione sulla mano destra. Il
giovane Red si muoverà dunque, tappa per tappa, alla ricerca della sua vendetta
lungo un percorso le cui linee guida sono definite durante i primi momenti di
gioco e mai variate nel corso dell'avventura, ma la cui freschezza e varietà
tematica tengono alto l'interesse ed il divertimento in ogni istante. Red Dead
Revolver è, in definitiva, uno sparatutto in terza persona, in cui l'attenzione
del giocatore è calamitata verso il numero dei proiettili nel cinturone e la
cura delle proprie armi, verso i colpi precisi alla testa degli avversari e la
prontezza di riflessi. Vista l'ambientazione, le armi di Red consistono di
vecchie pistole sei colpi e fucili dal cane mobile, esclusa qualche arma da
lancio come coltelli o, raramente, dinamite. Il sovrappiù di nemici che si è
costretti ad affrontare impone necessariamente che si debba far bene attenzione
al numero di colpi rimasti in canna (dati i tempi di ricarica), e sia necessario
fare il miglior uso possibile di ogni bossolo, mirando alla testa dei Banditos
di strada in modo da freddarli senza pietà in un lampo d'aria che annuncia al
giocatore la loro morte, mentre, cadendo, ci lanciano le ultime minacce
strozzate dalla polvere e dal sangue. Certo, se non fosse per l'”occhio di
lince”, un'apposita modalità che permette di rallentare il tempo non tanto per
scansare i proiettili quanto per individuare e agganciare le varie parti del
corpo di un bersaglio, al fine di scaricare con velocità inesprimibile quanti
più colpi possibile sul malcapitato, la struttura portante del gioco sembrerebbe
piuttosto collaudata e ben poco originale. E' necessario poco tempo, tuttavia,
per accorgersi che il sistema di gioco è studiato in favore del protagonista, in
modo che le armi più precise siano più propense a colpire nei punti giusti,
cosicché, nella foga polverosa dello scontro, sia la scena globale di cui il
giocatore debba godere, la sua rapidità e coesione, la sua fotogenia. E'
l'anima cinematografica del Western, difficile da riprodurre al di fuori delle
pellicole, di fronte alla quale persino al letteratura s'era arrestata, e che
in Red Dead Revolver è costruita a dovere e vive nelle mani stesse del
videogiocatore, oltre che negli effetti grafici, sonori e nei dialoghi. Ed a
completare il quadro basilare e canonico delle terre selvagge, i duelli
all'ultimo sangue, con la pistola nella fondina, in cui chi estrae più veloce
può dirsi vincitore. Il sistema è d'una semplicità estrema, e consiste in due
rapidi tocchi per impugnare ed estrarre, prima che - ancora una volta - il tempo
si dilati e ci sia data la possibilità di cercare i punti migliori da colpire.
La precisione estrema con il quale ci vengono proposti gli scontri è talmente
apprezzabile, di fronte alle figure intere degli avversari, che spesso verremo a
chiederci quando sarà possibile effettuare il prossimo duello, e ancora più
volte grideremo di rabbia quando, spiazzati dalla velocità dell'avversario,
sapremo ancor prima dei colpi esplosi chi l'avrà vinta.
Ed ecco:
con le conoscenze di base possiamo avviarci, passo passo, prima attraverso
villaggi abbandonati e cadenti, cercando riparo dietro i carri merci mentre
fucilieri d'occasione cercano di farci fuori dall'alto, poi verso la civiltà,
difendendo il treno per Brimstone dall'assalto di banditi a cavallo, già
intravedendo una continua variazione su tema del gameplay principe che finirà
per soddisfarci appieno. E' proprio nella città, e durante i primi incarichi
che lo sceriffo del luogo ci propone, che si perde l'occasione
dell'approfondimento ludico e, di conseguenza, la “laudem” che avrebbe spezzato
definitivamente la concorrenza annuale. Si può imputare, senza dubbio, una poca
profondità e varietà dei luoghi cittadini esplorabili, sebbene non manchino gli
intramontabili (l'emporio, il sarto, il saloon), e una totale assenza di
interattività, sia con i personaggi (che ci propongono frasi d'occasione il cui
unico pregio è il doppiaggio) che con gli oggetti. Infine, prima di addentrarsi
nei meandri storici della nostra dannazione familiare e proseguire alla cerca
del Generale Diego, i personaggi che saremo chiamati a combattere esulano fin
troppo dal comune western inoltrandosi sulle strade di un semi-fantastico
leggermente fuor di luogo. Ma è cosa di poco conto, in fondo: da Brimstone parte
l'avventura vera e propria, correlata di interventi esterni autonomi degni di
lode e memoria. Oltre a Red conosceremo una serie di personaggi secondari, coi
quali saremo chiamati ad affrontare singole missioni, tutte ben integrate nella
storia e con il loro personale carattere. Jack Swift, un damerino inglese dalle
doppie pistole, Annie Stokes, una proprietaria che dovrà salvare il proprio
Ranch dall'assalto intimidatorio del governatore, Shadow Wolf (malamente
tradotto Lupo Che Ringhia), cugino di Red che dovrà salvarlo dalla prigionia
accidentale, persino Diego in persona durante l'assalto ad un ponte conteso fra
nordisti e sudisti, ed un soldato che dovrà scortare una diligenza all'interno
di riserve indiane. E', insomma, un tripudio di situazioni e architetture
diverse e ben organizzate, che mescolano le diverse scuole cinematografiche (la
prima, dell'epopea indiana, la seconda, dei conflitti armati e degli assalti ai
forti, e l'ultima dei pistoleri solitari) e ricreano con maestria le locazioni
tipiche di un'epoca intera di Western. Sarà un piacere, dunque, completare il
gioco al 100% (raggiungibile con meno fatica rispetto ai canoni di Rockstar), al
fine di sbloccare tutte le locazioni per i duelli in Multiplayer, così da non
dimenticare mai con quanta precisione sia stata trasportata la varietà cromatica
che contraddistingue le terre selvagge, attraverso canyon e città fantasma,
miniere e forti armati, fino alla residenza sontuosa del governatore. Il tutto,
illuminato da sapienti giochi di luce, con sovraesposizioni che caratterizzano
al meglio la soleggiata natura delle lande dei Gringos. E, sebbene la stessa
cura non sia riconoscibile nella modellazione dei personaggi, il risultato
grafico finale, opportunamente condito di distorsioni, blur, bagliori accecanti,
è indiscutibilmente elevato ed adeguato all'azione, costantemente, per chi ha
l'occasione, impallinato sui 60 Frame per Secondo, senza rallentamento di
sorta. E, infine, non si può non rimanere estasiati di fronte a tanta meraviglia
sonora. Il concerto di archi e chitarre lugubri che si para di fronte al
giocatore è impedibile. In ogni momento, la colonna portante riesce a dispensare
le giuste emozioni. Il gioco di musiche a cui si assiste in Red Dead Revolver è
una costate citazione dalle produzioni cinematografiche più famose (per chi
abbia la costanza d'esplorare il periodo Pre Sergio Leone), finché non si
incappa, nei momenti tranquilli della città, nella musica indimenticabile di “Lo
Chiamavano Trinità” ed è impossibile non lasciarsi scappare un sorriso. In più,
le campionature dei proiettili, dei colpi a mani nude e delle voci, offre una
concertazione indimenticabile e dona uno spessore notevole ai protagonisti.
Infine, dopo ventisette tappe, Red Dead Revolver si conclude. Con serenità, come
molti western, senza rimandi a seguiti. Con una coerenza eccellente, proiettati
verso un Ending Theme di tutto rispetto. Del resto, Red afferma, semplicemente:
“Non è mai stata una questione di soldi”. Ed a noi piace crederlo fino in fondo.
E piace ricordarlo mentre ci è data la possibilità di affrontare alcuni livelli
di gioco sotto nuova luce nella modalità “cacciatore di taglie”, e mentre invece
cerchiamo di ottenere buoni risultati (di Precisione, Velocità, Colpi Subiti e
Combo Effettuate) per sbloccare quanti più elementi possibili, spesso arene e
personaggi, da poter utilizzare nella modalità multiplayer, ben realizzata e
varia abbastanza da offrire qualche pomeriggio di divertimento. E ancora, fino
ai tramonti inevitabili del divertimento, quando abbandoneremo Red Dead Revolver
sugli scaffali dei bei ricordi senza mai dimenticarlo, per il coraggio, il
carattere, ed il mondo da sogno che ha saputo riprodurre.
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