Robinson: The Journey Recensione per PlayStation VR

Dinosauri, astronavi alla deriva e una grafica da capogiro nel primo gioco targato Crytek dedicato a PlayStation VR.

Robinson: The Journey Recensione per PlayStation VR
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  • PS4
  • La realtà virtuale forse è il futuro, ma questo gioco potrebbe non essere il futuro della realtà virtuale. Questa non può essere una semplice recensione, del resto questo non è un semplice gioco per la realtà virtuale. Con Robinson The Journey, Crytek sta cercando di scrollarsi di dosso lo spettro del fallimento nel modo più coraggioso possibile, ovvero sfidando il mercato con uno dei giochi più "completi" mai sviluppati in esclusiva per questa nuova e presunta frontiera dell'intrattenimento elettronico. Robinson The Journey non è infatti la solita esperienza per la PlayStation VR, limitata all'apparenza nello scopo e nelle meccaniche di gioco, ma un'avventura che non vuole rinunciare a nulla, anche a costo di sembrare ridondante, fuori posto. Del resto è proprio questo ciò che molti chiedevano e continuano a chiedere alla VR: un gioco "normale"; quante volte lo avete sentito? Quante volte è balenato nella testa anche a voi? Come se la realtà virtuale fosse compatibile con tutto, e già sappiamo che non lo sarà per un bel pezzo, figuriamoci con gli attuali limiti tecnici che ne tarpano in parte le ali oggi. Robinson The Journey è la dimostrazione che con questa tecnologia è necessario un approccio totalmente diverso dal solito, e cercare di riprodurre le solite esperienze, per quanto spettacolari, difficilmente può bastare.

    Sopravvalutare la libertà

    Robinson The Journey ha tutto: una grafica senza compromessi e non semplificata per fretta o per colpa del budget, una longevità superiore alla media che si attesta sulla sei ore ma da cui se ne possono trarre almeno altre due, dinosauri giganti (perché i dinosauri giganti ci stanno sempre bene), e un'assoluta libertà di movimento, al contrario delle postazioni fisse e i teletrasporti in cui si sono rifugiati per comodità tanti altri giochi per la VR. Sarebbe un gioco fantastico se non trasgredisse così tante regole, ancora non scritte questo è vero, della realtà virtuale, rivelandosi fin da subito un'avventura forse troppo stancante per quello che ha davvero da offrire. Innanzitutto, c'è un motivo per cui la maggior parte dei giochi per VR non prevedono il classico movimento libero: è faticoso, e può generare molta più motion sickness di quello che ci si aspetterebbe da un'azione tanto normale. Per ovviare a questa fastidiosa evenienza, Crytek ha incluso un paio di opzioni che a prima vista potrebbero sembrare troppo limitanti, ma che in realtà si riveleranno sul lungo periodo delle preziose alleate. La prima e più importante opzione, essenziale per evitare di fuggire dalla realtà virtuale in preda ai sudori freddi dopo pochi minuti di gioco, è quella che limita la classica rotazione sul posto a degli inoffensivi "scatti" da 35 gradi circa. Non è però abbastanza, visto che i controlli di questo gioco (ma non solo di questo gioco visto che è un difetto ricorrente dei giochi in prima persona su VR) hanno un grande difetto: quando si cammina in avanti, la direzione cambierà anche in base a dove avremo rivolto lo sguardo. Se camminando verso una roccia vi girerete per guardare alla vostra sinistra, il personaggio inizierà a scivolare avanti e anche un po' a sinistra, creando uno scollamento tra le nostre percezioni che può generare malessere, anche duraturo.
    Proprio per questo motivo, la mia prima volta con Robinson The Journey non è stata delle più piacevoli, ma già dalla seconda partita le cose sono iniziate ad andare molto meglio (con qualche ricaduta durante una delle ultime partite e non so il perché). Ma torniamo all'aiuto che introduce gli scatti nella rotazione: bastano pochi minuti per non farci più caso, e questo vale anche per i movimenti a teletrasporto di Batman Arkham VR, segno che la libertà non è poi così preziosa, e si può tranquillamente riempire il tempo passato a spostarsi da una zona importante all'altra con del vero gameplay, esattamente come fanno già tanti altri progetti, e non solo dedicati alla realtà virtuale (vi basti pensare a due dei giochi più venduti di sempre: Myst e Riven).

    Eliminare i classici spostamenti è importante anche perché abbatte quasi completamente la barriera d'ingresso che ha impedito fino a oggi a molte persone di godersi i videogame: in Arkham VR tutti possono fare tutto perché ogni azione è pensata per essere naturale, istintiva; quindi non importa se tu sei un giocatore di lunga data o meno, saprai come aprire un cassetto, come estrarre e riporre dalla cinta ogni bat-strumento e senza neppure il rischio di dimenticartelo, e se ti vuoi spostare punti lo sguardo e premi il pulsantone.
    Altro che triangolo, cerchio, L1 e tutti gli altri pulsanti che molti non hanno mai visto, e che ora devono andarsi a cercare con un visore in testa. Ecco perché di riflesso anche il mancato supporto del PlayStation Move appare come un'occasione tremendamente sprecata (dicono che forse verrà aggiunto in seguito, ma non ci metterei la mano sul fuoco). Del resto non è solo una questione di rendere le cose più o meno semplici, o più o meno intuitive: ho imparato nel corso delle mie esperienze con la VR, fin dai tempi dei primi devkit firmati Oculus Rift, che avere il controllo diretto delle proprie mani in contesti simili è spesso indispensabile per ingannare totalmente il cervello.

    Ora, converrete con noi che trovarsi davanti a un gioco in cui il personaggio principale tiene in mano un affare del tutto simile a un Move, senza però che il Move venga supportato, è effettivamente assurdo, ma il vero guaio non è grafico (nemmeno è bella questa mano sempre protesa su un lato) ma di interfaccia, perché obbliga il gioco a rendere sfida anche le azioni che dovrebbero essere naturali, strappandoci spesso dall'illusione di essere davvero noi ma da un'altra parte.

    Robinson, finalmente...

    Dopo questa lunga digressione, entriamo finalmente nel vivo di questo nuovo progettone Crytek. Robinson The journey è un'avventura a tutto tondo, con alcuni enigmi interessanti e tantissima esplorazione. Il gioco procede lentamente, cercando di sottolineare in ogni modo la lunga permanenza di questo giovane che, in seguito al collasso dell'astronave su cui viaggiava, si è ritrovato improvvisamente solo soletto sul misterioso pianeta Tyson III. La sua unica compagnia è una IA installata in una sorta di televisore sferico e volante (che può ricordate in parte il Wheatley di Portal 2 e il robot Gerty, interpretato da Kevin Spacey in Moon, film da cui Robinson The Journey si ispira anche per il design della tecnologie) e Laika, cucciolo di dinosauro che il nostro alter-ego accudisce in cambio di affetto e qualche goffo aiuto.

    Quello che in un primo momento può sembrare un altro walking simulator, e non ci sarebbe comunque nulla di male, si rivela col tempo un gioco dai molteplici aspetti, tra cui una spiccata propensione alle scalate, di alberi giganti, colline e quant'altro si metterà tra noi e il nostro obiettivo. Tutto questo non è un caso, visto che Crytek ha rilasciato recentemente un altro gioco, questa volta esclusiva Oculus Rift, intitolato The Climb, in cui lo scopo è proprio scalare montagne. In Robinson The Journey il funzionamento della scalata è pressoché identico a quello di The Climb, giusto qualche differenza nelle sfumature di gameplay, perché Robinson non è certo uno scalatore professionista. Funziona pressapoco così: quando vi avvicinerete a una superficie scalabile compariranno due mani trasparenti davanti a voi, pronte per afferrare tutti gli appigli a disposizione, che per essere agguantati andranno prima mirati semplicemente guardandoli con il visore. Per afferrare una sporgenza è necessario premere e poi tenere premuto (se lo mollate anche la mano mollerà la presa) il grilletto sinistro se state utilizzando la mano sinistra, e quello destro se la mano in movimento è quella destra. La forza di questo sistema è che in gioco ha una progressione davvero convincente, se vogliamo realistica, senza però rinunciare alla versatilità: a patto di rimanere nel campo d'azione delle nostre invisibili braccia virtuali, è possibile fare incroci e cambiare superfici (da liane completamente verticali a più amichevoli rami orizzontali... ) scegliendo percorsi e correggendo prese, per guadagnare quei pochi importanti centimetri che ci separano dall'ambita vetta. E attenti a guardare di sotto come degli eroi: io ora lo faccio sempre, ma una volta sono rimasto talmente di sasso che ho mollato la presa senza accorgermene, ed è stato come rigurgitare un mulo, vivo! Per mia e vostra fortuna, il sistema di checkpoint di questo gioco sembra funzionare abbastanza bene, lasciandoci anche la libertà di sperimentare con azioni un po' più pericolose (secondo me è possibile in certi livelli saltare da una liana all'altra, ma ancora non ci sono riuscito).

    Scanner Crusoe

    No, quello che il protagonista stringe nella sua mano destra (amici mancini, ahimé non potrete cambiarla, mi spiace... bisogna pensare anche a queste cose sviluppando per la VR, cara Crytek) non è un PlayStation Move, sebbene sia molto simile. L'affare, che non penso il gioco abbia mai chiamato con un nome, e se lo ha fatto mi è sfuggito, si può usare in due modi, per puntare con un laser determinati oggetti e spostarli (ma anche ruotarli e lanciarli) e per scannerizzare le numerose forme di vita presenti su Tyson III (quando le "inquadrerete" con il fascio di luce predisposto, al loro interno compariranno tanti punti di luce, quelli verdi vanno raccolti puntandoci lo sguardo sopra, e quelli rossi evitati). Per interagire con il mondo di gioco di Robinson The Journey, per risolvere i suoi numerosi puzzle ambientali (uno mi ha tenuto bloccato per un'ora almeno, poi ho capito che la soluzione ero... io!) e per utilizzare i diversi passatempi che lo sfortunato Robinson si è costruito nei dintorni della capsula di salvataggio che chiama casa, non serve altro.

    Nonostante il ritmo blando, in Robinson The Journey c'è anche azione, non quella che è possibile trovare nel solito gioco tutto "pew pew pew" perché non c'è spazio per le armi su Tyson III, ma di certo al titolo Crytek non mancano gli espedienti per mettere in circolo anche un po' di sana adrenalina. A far gridare al miracolo, più che gli immensi dinosauri, ci pensa la mappa che è possibile richiamare (non sempre, peccato...) premendo X sullo schermo della nostra IA. Questa mappa non è altro che una riproduzione in scala dell'area in cui ci troveremo, un vero e proprio modellino che galleggia attorno alla nostra testa (tra l'altro questo è anche l'unico modo per vedere le fattezze dello stesso Robinson), talmente sbalorditivo che per me avrebbero potuto farci tutto il gioco, e non sto scherzando. Per mostrare agli amici la bellezza di questa mappa che sembra un diorama, ho provato a salvare un video in cui l'attivavo e disattivavo, salvo scoprire che senza il visore è impossibile capire che tipo di scherzo giocano le prospettive... magie della realtà virtuale. Invece ci hanno deluso le interazioni con il nostro dinosauro da compagnia Laika, che è possibile richiamare, mandare in giro e persino far ruggire, ma senza grandi conseguenze di gameplay. Un'occasione sprecata!

    Moon Patrol

    Crytek è soprattutto tecnica, e il suo motore grafico ne è l'espressione massima, dai tempi del primo Far Cry fino a Ryse, passando naturalmente per le meraviglie di Crysis, per molti anni il nemico Numero 1 di tutte le schede grafiche di fascia alta. Robinson The Journey non fa eccezione, e crea attorno a noi il più stupefacente mondo di gioco mai visto attraverso un visore per la realtà virtuale. Uno sforzo produttivo considerevole, e la prova che una "semplice" PlayStation 4 è in grado di fare ancora miracoli, anche in VR. Robinson The Journey però ha una particolarità: ciò che è vicino è straordinariamente chiaro, più di ogni altro gioco visto girare su PlayStation VR, ma in lontananza i dettagli perdono terribilmente di dettaglio, impastando l'immagine al punto da minarne l'indubbia spettacolarità.

    Una doppia qualità che senza dubbio pesa sul comfort generale, ma che fortunatamente si assottiglia man mano che ci faremo prendere dall'elaborata ambientazione messa in piedi dagli artisti Crytek. Per chi ama osservare con la bocca spalancata, in questo gioco ce ne è da vedere: pterodattili che ti sfiorano la testa saettando per gli infiniti rami di una giungla cercando di raggiungere un pappagallo tanto colorato quanto veloce, Velociraptor che tentano di azzannarti i piedi mentre cammini sospeso su un ponte di rocce, lucciole che illuminano morbide grotte rosso fuoco, immani e spettrali astronavi conficcate tra colossali montagne, laghi di catrame abitati da ributtanti vermi pesce e... poi basta, altrimenti vi roviniamo le sorprese migliori ma dovreste aver capito. Anche l'audio è di prima categoria, ed è completamente tradotto in italiano, quindi non dovrete nemmeno sorbirvi i sottotitoli, che in VR sono decisamente insopportabili.

    Robinson: The Journey Robinson: The JourneyVersione Analizzata PlayStation 4Robinson The Journey è un titolo davvero affascinante, che forse cerca di fare più di quanto realmente serve, commettendo di conseguenza una serie di piccoli grandi errori. È chiaro che Crytek è rimasta anche in parte vittima dalla mancanza di know-how, che però al momento non ha nessuna software house. La realtà virtuale, Robinson The Journey ce lo conferma, necessita di un “alfabeto” completamente nuovo, non ha insomma quel libro di regole auree che i videogiochi classici si sono costruiti in oltre quarant'anni di storia, e ogni progetto è di per sé anche un esperimento. Questo gioco fa di tutto, ma davvero di tutto, per apparire normale, il primo “vero gioco vero” per la realtà virtuale, eppure paradossalmente stupisce meno di altri titoli già disponibili sul PlayStation Store, titoli che molti sminuiscono, a prima vista minori, ma che in realtà appaiono molto più in linea con questa tecnologia del maestoso Robinson The Journey. Ecco, forse abbiamo una nuova regola da inserire nel grande libro della realtà virtuale: l'ordinario, anche se fatto meglio, perderà sempre contro lo straordinario.

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