Salary Man Escape Recensione: impiegati in fuga

Un puzzle in Realtà Virtuale ambientato nel mondo del lavoro, un rompicapo dalla tematica interessante e dallo stile estetico asettico...

Salary Man Escape Recensione: impiegati in fuga
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  • PS4 Pro
  • Troppo facile citare Job Simulator. Chi se lo ricorda Every Day the Same Dream di Molleindustria? Piccola opera indie del 2009 che raccontava l'alienazione e la ripetitività della quotidianità lavorativa. Al grigio impiegato di Paolo Pedercini non restava che provare a sovvertire l'ordine precostituito, quella routine che ci rende tutti un po' zombie, ogni giorno di più. Anche il povero protagonista di The Stanley Parable non faceva altro che pigiare gli stessi tasti ogni mattina, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. Un bel giorno il computer aveva smesso di funzionare e Stanley era stato costretto ad alzarsi. The Stanley Parable si trasformava quindi in un metagioco (geniale) che rifletteva sul ruolo del giocatore che "non può non fare". E quando il giocatore ci prova, ad alzare la voce e a fare di testa propria, ci pensa la voce narrante a rimetterlo al proprio posto. Salary Man Escape non ha probabilmente la stessa carica indie e "di rottura" dei due titoli appena citati, ma affronta con tono satirico uno dei temi più caldi della contemporaneità: il grigiore della vita da impiegato. E per renderci ancora più partecipi di questa sofferenza, lo fa in realtà virtuale.

    Impiegati in fuga

    Il titolo di Red Accent Studios sceglie la via del puzzle game ma non rinuncia a confezionare una sorta di cornice narrativa, che racchiude i più di settanta livelli dei sei capitoli a disposizione. Ogni puzzle viene così introdotto da una breve nota, in cui il nostro datore di lavoro virtuale non ci risparmia una sana dose d'ironia, giusto per infierire ulteriormente.

    Anche gli impiegati hanno una dignità, cribbio. Non resta che trovare una via di fuga, ed è qui che inizia il gioco. Ogni livello vede infatti un povero impiegato senza volto e senza nome impegnato a raggiungere la porta che lo condurrà al puzzle successivo. Il giocatore non veste i panni dell'impiegato: indossato il visore, dovrà invece interagire con i blocchi presenti in ogni livello per liberare la strada al malcapitato. Immaginate un Jenga in salsa impiegatizia.

    Stile asettico

    Gli sviluppatori hanno optato per uno stile minimalista. Scenari asettici composti da cubi e parallelepipidi grigi, in cui emergono chiazze di rosso: sono i blocchi con i quali possiamo interagire, pad o Move alla mano. A fare da sfondo musiche in stile giapponese che ben si adattano all'atmosfera surreale sia dei puzzle che del contesto. Inutile dire che se i primi livelli sono un gioco da ragazzi, già sul finire del primo capitolo le cose si fanno più complicate.

    Come da tradizione, di livello in livello si aggiungono variabili da considerare: nuove superfici, monete da raccogliere, equilibri da considerare. In Salary Man Escape è la fisica a farla da padrona, nel bene e nel male. Se finora non ci siamo addentrati nelle meccaniche di gioco, è perché i più grandi limiti dell'opera risiedono proprio nell'interazione tra le meccaniche concepite dagli sviluppatori e l'implementazione della realtà virtuale e dell'interfaccia di gioco.

    Move o Pad?

    Se è vero che il visore garantisce immersività, e sulla carta dovrebbe sembrare ideale per gestire al meglio i singoli livelli, nei fatti il titolo di Red Accent Studios si scontra in gran parte con l'inaffidabilità del sistema di controllo. Prendiamo il Move, che già ha dimostrato di essere perfetto in giochi in cui dobbiamo maneggiare blocchi (vedi Tumble VR). Ecco, qui no. In Salary Man Escape il Move è preda di costanti problemi di tracking, tant'è che in più di un frangente risulta macchinoso, se non arduo, agguantare e far scorrere il blocco prescelto. Dal momento che ogni livello è soggetto a un conto alla rovescia, s'intuisce quanto un sistema di controllo incerto possa essere problematico.

    Col joypad le cose migliorano, nel senso che è molto più facile puntare e agguantare i blocchi col puntatore. Col pad, tuttavia, la rotazione del livello è affidati ai due stick. Decisamente meno intuitivo e comodo rispetto al Move, ma la cosa più assurda è che non è possibile invertire l'asse di rotazione nel menu opzioni e la rotazione di base potrebbe non soddisfare alcuni giocatori. Salary Man Escape mette in scena una costante lotta con l'interfaccia e in un puzzle basato sul tempo e sulla precisione è un aspetto su cui non è assolutamente possibile sorvolare.

    Il rigore delle meccaniche

    Se ci spostiamo poi dall'interfaccia alle meccaniche vere e proprie, il gioco mette dei paletti arbitrari forse un po' troppo rigidi (d'accordo, le regole sono regole e bisogna accettarle): i blocchi si possono solo far scorrere, ma non si possono in alcun modo inclinare, rialzare o spostare in alto. Un blocco rosso si è inclinato per errore? Niente da fare, non potrete raddrizzarlo, dovrete ricominciare dall'inizio o dal checkpoint. Considerato il conto alla rovescia, i livelli più avanzati diventano allora un trial and error costante.

    L'impiegato si muove inoltre solo quando la strada è libera, eppure ci sono momenti in cui il percorso sembra libero e l'impiegato non si muove. Questione di millimetri, di blocchi non precisamente posizionati o di piattaforme grigie che si sono disallineate. E qui torniamo all'interfaccia poco fluida, che certo non aiuta in fatto di precisione. Bella l'idea, da rivedere l'esecuzione. Un peccato, considerando che un concept simile, previo qualche ritocco, si sarebbe adattato benissimo a un touch screen. In VR, nonostante l'immersività e l'affascinante colpo d'occhio a 360° sulle strutture cubiche, Salary Man Escape soffre parecchio.

    Salary Man Escape Salary Man EscapeVersione Analizzata PlayStation 4È vero che dopo un po' di pratica si può riuscire a farsi (parzialmente) amico il sistema di controllo di Salary Man Escape, ma rimane la sensazione che tra il giocatore e il piacere dei puzzle rimanga sempre un ostacolo, qualcosa che rovina inevitabilmente l'esperienza di gioco. Il titolo di Red Accent Studios, pur con qualche rigidità eccessiva sul versante delle meccaniche, dimostra freschezza concettuale e originalità sul fronte dell'atmosfera e della cornice narrativa. Eppure non riusciamo proprio a sorvolare sull'interfaccia, che rivela parecchi limiti sia utilizzando il joypad che il Move. Se, indossato il visore, ci si ritrova costantemente a sognare un touch screen, significa che qualcosa non è andato per il verso giusto.

    5.8

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