Recensione Silent Hill: Origins

Viaggio senza ritorno alle origini del male

Recensione Silent Hill: Origins
Articolo a cura di
Disponibile per
  • PS2
  • Psp
  • Sense the difference

    Silent Hill è, prima ancora di essere un videogame, un’esperienza viscerale. Chiunque abbia giocato anche un solo capitolo di questa serie ricorderà perfettamente le ore trascorse in un perenne stato di angoscia e agitazione misto ad un terribile senso di impotenza ed inquietudine continua. Grazie ad un potere suggestivo enorme che va ben oltre al puro e semplice orrore visivo generato dalle aberrazioni genetiche di Resident Evil, Konami ha saputo creare un gioco che si nutre delle paure più recondite dell’animo umano concretizzandone le perversioni e le deformità attraverso vere e proprie rappresentazioni fisiche del male. Silent Hill: Origins ci conduce per mano alle radici di questo male, alla sua causa scatenante, all’origine di tutto: preparatevi, dunque, perché sarà un viaggio senza ritorno.

    Viaggio nel cuore dell’oscurità

    Come ben sapete, questa volta a fare i conti con la cittadina maledetta è Travis Grady, un camionista che si ritrova a passare per Silent Hill proprio la notte in cui Alessa venne bruciata viva.

    Salvando la ragazzina dalle fiamme, Travis viene coinvolto in una serie di avvenimenti che, lentamente ed inesorabilmente, porteranno a galla il suo doloroso e terribile passato ormai perso e sepolto assieme ai ricordi della sua infanzia. A discapito dei buoni propositi, la storia si sviluppa in maniera molto più lineare e prevedibile rispetto agli altri episodi, come se non avesse nient’altro da dire se non quello che ormai è noto a tutti (del resto è una maledizione dei prequel); una sensazione piuttosto spiacevole, probabilmente legata al fatto che, conoscendo già bene la vecchia trama e i personaggi che ne hanno fatto parte, viene a mancare quell’alone di mistero che avvolgeva gli eventi rendendoli affascinanti: ormai sappiamo già tutto di Alessa e di sua madre Dahlia, senza contare che se otto anni fa il comportamento del Dott. Kaufmann e dell’avvenente Lisa appariva incomprensibile, oggi ogni gesto è fin troppo chiaro e non suscita lo stesso inconsapevole sgomento di allora.

    Si tratta di un discorso che vale, ovviamente, per gli aficionados e che perde totalmente di significato di fronte a quella manciata di giocatori che si avvicinano solo ora alla saga, ma ciò non toglie che il background narrativo di questo capitolo, per quanto ben intessuto e articolato, purtroppo non è coinvolgente come quello degli altri.

    Mappa, chiave, porta

    L’intreccio narrativo poco intrigante, fortunatamente, non ha nulla a che vedere con la straordinaria atmosfera di tensione ed inquietudine insita in ogni singolo minuto di gioco. Su consiglio degli stessi sviluppatori, si procede ad effettuare la prova pratica oscurando a dovere l’ambiente circostante ed indossando gli auricolari in modo tale da respirare l’essenza stessa di Silent Hill fin da subito.

    L’impatto iniziale è devastante: dal silenzio della strada deserta si alza una musica impercettibile, che diventa prepotentemente forte man mano che ci si avvicina al centro abitato (si fa per dire) e alla consapevolezza di quanto questo titolo si sia attenuto agli standard qualitativi a cui la blasonata serie Konami ci ha abituato nel corso degli anni.

    Come si accennava nel test effettuato durante la Game Developer Conference di Lipsia, questo episodio non denuncia grosse inversioni di tendenza, al contrario, si dimostra pienamente coerente con il modello stilistico sino ad oggi adottato. La struttura di base è sempre la stessa e trova il suo centro nevralgico nell’esplorazione degli ambienti subordinata al ritrovamento di oggetti (chiavi, attrezzi ecc.) finalizzati al proseguimento dell’avventura e alla pura e semplice sopravvivenza del nostro character.

    Non manca inoltre una buona dose di enigmi e puzzle da risolvere, la maggior parte dei quali squisitamente macabri, che riescono a spezzare di tanto in tanto l’ansia delle sessioni esplorative e l’agitazione provocata dai combattimenti.

    Similmente al quarto episodio della serie, alcuni strumenti di offesa reperibili all’interno degli scenari hanno una durata limitata che dipende sia dal tipo di arma che dal materiale con cui è realizzata. A tale proposito occorre però fare una distinzione tra le varie armi da mischia disponibili poiché accanto a quelle più tradizionali (bastoni, rasoi, ganci da macellaio, cacciaviti, coltelli, katane, lance, martelli, mannaie, chiavi inglesi addirittura i porta flebo dell’ospedale!) sono stati introdotte alcune varianti “monouso” più ingombranti ed efficaci che possono essere persino lanciate addosso ad un nemico lontano attraverso una pressione prolungata del tasto di azione X mentre ad una distanza ravvicinata bastano e avanzano per mettere ko l’avversario seduta stante. Nonostante si tratti di un’ottima aggiunta al gameplay, il ricorso a queste pesanti armi usa e getta (televisori, cassette degli attrezzi, macchine da scrivere ecc.) si paga in termini di velocità d’attacco senza contare che, molto spesso, non c’è abbastanza tempo per caricare l’attacco o aspettare il momento giusto per colpire. Per fortuna questo problema viene ovviato dalla rassicurante presenza di armi da fuoco che assicurano una tempestiva e sempre efficace difesa dalle oscure presenze che infestano ogni angolo della città. La prestanza fisica del protagonista, tuttavia, fa sì che in parecchie situazioni anche la sola forza dei suoi pugni sia sufficiente a sbarazzarsi di un mostro di media grandezza e contemporaneamente fa sorgere un inquietante dubbio circa il livello di difficoltà di Origins; un dubbio che viene confermato dalla sovrabbondanza di munizioni, armi e rifornimenti presenti nell’inventario alla fine dell’avventura e che in effetti fa seriamente riflettere sulla facilità con cui si riesce a terminare il gioco in modalità Normale in poco più di cinque ore.

    Al passo coi tempi

    Un tocco di classe rispetto alla struttura originaria del franchise arriva dall’inclusione di eventi quicktime, ormai piuttosto comuni in molte produzioni contemporanee, che si verificano principalmente durante gli scontri ravvicinati: in certi casi capita di doversi liberare dalla stretta altrui premendo ripetutamente il pulsante d’azione mentre in altri, avvinghiati al nostro nemico come una coppia di innamorati, si rende necessario eseguire la corretta sequenza di tasti per sottrarsi allo scomodo abbraccio.

    Questa applicazione, sebbene non inventi nulla di nuovo, riesce ad offrire un ulteriore approccio alle situazioni di combattimento rendendole al tempo stesso molto più realistiche ed elettrizzanti: in questo modo il giocatore viene ammonito, più di quanto non sia già, a non sottovalutare le creature che gli passano accanto perché non sa mai quale di queste potrà saltargli addosso da un momento all’altro.

    Sì perché a differenza degli altri capitoli, in Silent Hill Origins, accanto ai solite deformità menomate e affette da evidenti problemi di deambulazione, vi sono alcuni nemici piuttosto agili che possono saltare alla gola Travis con una velocità inaspettata.

    Non va comunque dimenticato che, tra le papabili opzioni di sopravvivenza, c’è sempre quella della fuga, irrinunciabile in certi frangenti ma pur sempre legata alle energie del giocatore; il che non consente di ricorrere all’evasione in modo indiscriminato.

    New entry anche la possibilità di gestire l’inventario sia tramite menu che in tempo reale attraverso i tasti direzionali di PsP costituendo un egregio compromesso tra immediatezza e riflessione lasciando decidere all’utenza la linea di condotta che più desidera in base alle proprie inclinazioni: finalmente i giocatori più audaci possono accedere al proprio equipaggiamento col fiato dei mostri sul collo, mentre i meno coraggiosi possono tranquillamente fermarsi a scegliere con calma l’arma adatta al tipo di situazione e magari sorseggiarsi una bella bevanda energetica mentre l’azione è in pausa. Un aspetto che invece lascia molto a desiderare è la telecamera automatica la quale, malgrado l’inedita opzione di centratura (tasto L1), non riesce a seguire come dovrebbe i passi di Travis mettendolo troppo spesso in condizione di sparare alla cieca senza vedere chi o che cosa si sta avvicinando. Da una parte potremmo definire questo difetto come un pregio perché contribuisce a rendere l’atmosfera più tesa e spaventosa (il mostro che si avvicina, il personaggio indifeso) ma d’altro canto stiamo parlando di un videogame ed è inutile negare che l’assenza di una visuale sgombera da qualsivoglia ostacolo visivo costituisce sempre motivo di frustrazione.

    Dulcis in fundo, il passaggio dalla città normale a quella maledetta. E’ ormai noto che, contrariamente alle passate edizioni, questa volta il varco tra i due mondi non si apre in modo automatico ma avviene a discrezione dell’utente interagendo con le superfici riflettenti dislocate lungo il cammino. Il sospetto che si tratti di una “falsa libertà” viene presto confermato perentorietà di questo gesto in determinati punti del gioco: nonostante si possa entrare e uscire dagli specchi a proprio piacimento, in realtà tale manovra è esclusivamente dettata dall’ esigenza del momento e spesso serve per raggiungere aree della mappa inaccessibili oppure oggetti chiave necessari al proseguimento dell’avventura.

    Gioia per gli occhi e dolore per le orecchie


    Un’atmosfera così densa non sarebbe stata possibile senza un adeguato comparto tenico. Al pari delle versioni casalinghe, questo prodotto handeld sfoggia una quantità di dettagli spaventosa soprattutto nella realizzazione degli interni e nella caratterizzazione del personaggio principale, Travis, al quale si affianca una buona gamma di creature orrorifiche di ogni forma e dimensione: particolarmente impressionante l’effetto lucido donato alla pelle, se così possiamo chiamarla, di alcuni mostri che rende alla perfezione l’idea di una superficie oleosa e viscida. Il perenne noise effect che accompagna il franchise sin dagli albori (nato come artificio per mascherare le imperfezioni tecniche di Playstation One e divenuto in seguito un marchio distintivo), va di pari passo con la fitta cortina di nebbia che avvolge gli esterni, meno ricchi di particolari ma ugualmente angoscianti, rendendo ogni cosa indistinta e celano ai nostri occhi minacce imminenti. Gli ottimi filmati in computer grafica si alternano alle cut-scenes (molte delle quali in bianco e nero) narrative dal taglio visibilmente cinematografico. Notevoli anche gli effetti di luce ed ombra derivanti dalla piccola torcia da taschino, sia per quanto riguarda i riflessi sia relativamente alle ombre proiettate dagli oggetti investiti in tempo reale dal suo raggio; tanta abbondanza visiva però paga il prezzo della frammentazione delle location in microaree e frequenti seppur brevi caricamenti di circa 7-8 secondi tra una zona e l’altra.

    Spettacolare la colonna sonora curata da Akira Yamaoka e composta da brani squassanti, pezzi melodici e tanti tantissimi intermezzi taglienti come lame di rasoio che irrompono nel silenzio dell’esplorazione solitaria senza preavviso alcuno. Il sonoro è talmente penetrante e vivido da rendere l’esperienza di gioco realmente disturbante, quasi morbosa, tanto da non accorgervi di avere i nervi a fior di pelle e il dito indice involontariamente contratto sul tasto R1 (posizione di attacco) ogni volta che si apre una porta o ci si trova in un luogo inesplorato. Suoni nitidi e agghiaccianti ci accompagnato per tutta la durata del gioco senza darci un attimo di tregua, suoni laceranti come cigolii, lamenti, gorgoglii, gocce d’acqua che si infrangono diventano vividi e reali come se provenissero dalla stanza anziché dalla console.

    Silent Hill: Origins Silent Hill: OriginsVersione Analizzata PSPCi si aspettava qualcosa di più a livello narrativo ma per il resto, Silent Hill: Origins è un titolo eccellente soprattutto dal punto di vista tecnico. Ferma restando una struttura ludica piuttosto classica, ritoccata qua e là in modo da risultare più attuale, in questa produzione ritroviamo lo stesso ritmo incalzante e opprimente che abbiamo amato negli altri episodi. I difetti riscontrati nella gestione della telecamera e una longevità non proprio all’altezza delle aspettative (cinque ore di gioco con un po’ pochine anche considerando di volerlo rigiocare per sbloccare i vari finali e costumi alternativi) non bastano a cancellare l’effettiva bontà di questo titolo a cui, volenti o nolenti, si continua a rimanere incollati nonostante l’incredibile senso si fragilità ed impotenza che riesce a trasmettere. Da non perdere.

    7.5

    Che voto dai a: Silent Hill: Origins

    Media Voto Utenti
    Voti: 36
    7.8
    nd