Skelattack Recensione: dalla parte del mostro

Quanti dungeon avete affrontato nei panni dell'eroe senza paura? Preparatevi a un insolito cambio di prospettiva con Skelattack.

Skelattack Recensione: dalla parte del mostro
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Disponibile per
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Switch
  • Xbox One X
  • PS4 Pro
  • Solitamente al giocatore viene chiesto di affrontare con indomito coraggio dungeon pieni di insidie, trappole e scheletri armati fino ai denti. E se per una volta i ruoli si invertissero? La risposta prova a darla Ukuza, un minuscolo studio americano, con Skelattack, titolo annunciato da qualche anno ma lanciato solamente quest'oggi (2 giugno 2020) su PS4, Xbox One, PC e Nintendo Switch sotto l'egida di un publisher d'eccezione: Konami.

    Non lasciatevi trarre in inganno dal pedigree dell'azienda nipponica: le gesta di Skully e del fido pipistrello Imber hanno ben poco a cui spartire col sottogenere metroidvania nato proprio grazie a una delle serie più amate in casa Konami, ma sono invece caratterizzate da una struttura ludica più semplice e immediata, un mix di azione e platform tanto immediato quanto sadico, nel suo ribadire costantemente al giocatore il numero di volte in cui è morto sotto i colpi nemici o dopo un salto mal calcolato. Peccato però che anche il team sembri essere incappato in errori di design non indifferenti, tra un mancato bilanciamento della difficoltà e una pigrizia generale che traspare da più elementi che compongono il gioco, e che non permettono a Skelattack di lasciare concretamente il segno.

    Dalla parte del male

    Skully è un giovane scheletro fresco di morte: la "vita" scorre serena e tranquilla nel suo dungeon, tra una sbornia al Goblin's Goblet, la taverna locale, e del sano shopping dal fabbro di quartiere, almeno fino all'arrivo di un'orda di odiosi umani. La minaccia è concreta: gli invasori stanno assaltando quell'oasi di pace (eterna) per raccogliere la Blue Flame, una sacra reliquia che dona la linfa vitale agli abitanti del dungeon, e intendono sfruttarne l'enorme potere per salvare la vita al proprio Re.

    Il sacrifico di molti per il bene di uno: uno scambio intollerabile per il prode Skully, ignaro della sua vita "in carne e ossa" ma mosso da uno spirito eroico che lo spinge a partire tanto alla difesa del manufatto, quanto al completamento della "Remembrance", un percorso spirituale che lo porta alla ricerca di informazioni sul proprio passato.

    Affrontando le numerose avventure offerte del mondo di gioco, tra fogne in cui aiutare i ratti a recuperare le scorte di cibo, un'inondazione da scongiurare e una pace da ricostruire tra gli abitanti della Lava Forge, scoveremo nuovi dettagli su una trama che cerca di offrire al giocatore degli interessanti dilemmi morali, ma che smorza tutto con un tono forzatamente ironico che solo di rado va realmente a segno. Il tutto fino a un finale inconcludente, che delude al netto di qualche interessante (ma prevedibile) twist. E a poco serve raccogliere i documenti extra che approfondiscono la lore: il mondo di Skelattack è talmente piccolo e "vuoto", oltre che caratterizzato con pigrizia e poco originale, da non riuscire ad affascinare in alcun modo.

    Ossa e spada

    Duole poi constatare come la debole sceneggiatura non riesca minimamente a compensare un gameplay che fatica a ingranare e a trovare una sua identità: come detto, Skelattack scherza con il giocatore ricordandogli delle tanti morti accumulate, attraverso cartelli e battutine, segno della volontà degli sviluppatori di offrire un'esperienza complessa e punitiva in stile Ori and the Blind Forest, da cui il gioco di Ukuza pare trarre ispirazione.

    Alcune scelte di design discutibili, però, denotano però una certa mancanza di coraggio: i checkpoint, ad esempio, sono tanti e troppo frequenti, posizionati in modo tale da smorzare qualsivoglia crescita o appagamento del giocatore (in più di un'occasione ne abbiamo trovato uno prima di un comunissimo mob e uno immediatamente dopo).

    Il livello di difficoltà, inoltre, appare tarato verso l'alto non attraverso stimolanti sezioni pensate per mettere alla prova l'abilità del giocatore, bensì tramite trovate di scarso valore (come trappole che uccidono al contatto e che richiedono un'immotivata ed esagerata precisione) che, una volta superate, lasciano al giocatore con una sensazione di sollievo, più che di soddisfazione.

    Anche la morte perde sapore in Skelattack, in quanto provoca semplicemente la perdita di una percentuale dei cristalli blu in vostro possesso, l'unica valuta che troverete in gioco. Dato che questi oggetti serviranno unicamente per comprare dei potenziamenti per la salute (l'unico oggetto acquistabile dai vendor, ma comunque ne troverete diversi disseminati in aree segrete) e che potrete recuperarli nel giro di una manciata di secondi, la loro scarsa utilità non ci ha mai fatto provare quel brivido lungo la schiena tipico delle esperienza "hardcore", dove il rischio di buttare interi minuti di gioco dona molto più pepe al gameplay.

    Stesso discorso per i combattimenti e per il combat system, la cui semplicità cozza con i ben più complessi pattern di attacco dei (pochi) boss incontrati. Senza tener conto dell'assenza di schivate e parate, ci si chiede quale sia il senso di prevedere unicamente una magia di cura, ma considerare l'attacco a distanza (un osso-boomerang) e il triplo salto come veri e propri incantesimi, richiedendo al giocatore di alternarli con i tasti dorsali durante sezioni platform e scontri concitati.

    A rendere il tutto ancor meno stimolante c'è anche un control-scheme da rivedere, che rende le sezioni platform ben più complesse di quanto dovrebbero: soluzioni come il wall-jump da eseguire con l'analogico risultano davvero scomode, e contribuiscono a rendere frustrante il tempo passato con il gioco.
    Non c'è una crescita né del protagonista né del giocatore stesso, ma solo la gioia derivante dal non dover più mettere mano a sezioni pieni di button mashing e di trial & error.

    Skeletoon

    Non tutto è da buttare in Skelattack, comunque. Lo stile artistico da cartoon adottato dal team è davvero pregevole, e si lascia apprezzare soprattutto per quel che riguarda il design dei personaggi, in particolar modo quelli non giocanti, e alcuni scorci. Uno stile che si prende poco sul serio e che, come detto, scherza e gioca con l'utente in continuazione, tanto nei dialoghi tra i due protagonisti quanto in quelli con colossi di pietra, soldati umani e topi di fogna dallo scarso acume.

    E l'accompagnamento musicale, per quanto non sempre perfettamente coerente nel sottolineare le atmosfere su schermo, denota una certa cura, la stessa che manca al level design in generale, tra riciclo di asset, location segrete non così segrete, e una progressione estremamente lineare, priva di guizzi o di stimoli all'esplorazione.

    Anche in questo frangente, purtroppo, si nota una certa pigrizia da parte del team, costantemente in bilico tra mancanza di coraggio e limiti produttivi che, nella giungla di indie di altissimo livello che vengono pubblicati ogni mese, risultano difficili da giustificare. Chiude poi il cerchio la mancata localizzazione in italiano: saprete sempre cosa fare e dove andare anche senza conoscere perfettamente l'inglese, ma vi perderete gran parte dei dialoghi, complice un abuso di slang e giochi di parole.

    Skelattack SkelattackVersione Analizzata PlayStation 4La premessa interessante e l'egida di Konami non bastano a Ukuza per lasciare il segno con Skelattack: l'action/platformer del piccolo team americano pecca di voglia e ardore, tra un combat system banale, un tasso di difficoltà sbilanciato e pieno di artifici, e una trama che prova a proporre qualcosa di interessante, salvo poi smorzare l'entusiasmo proprio sul più bello. Frustrazione perenne, tante, troppe scelte di design discutibili, e la mancata localizzazione rendono davvero difficile consigliarlo anche ai fan più sfegatati del genere.

    5

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